CONVEGNO MISSIONARIO «FATTI DI PACE»

PACE DAL NORD E DAL SUD DEL MONDO

 

In una società globalizzata i quattro pilastri della pace indicati quarant’anni fa dall’enciclica Pacem in terris – verità, giustizia, amore e libertà – appaiono sempre più condivisibili e urgenti. Lo confermano testimonianze provenienti dal nord e dal sud.

 

La complessa transizione verso un più giusto ordine mondiale, umanamente sostenibile, fa emergere ogni giorno di più l’urgenza di rendere visibile la mappa globale della pace positiva. Per diffondere la consapevolezza che quanto seminato nel passato ha già dato risultati positivi, che è da contestare in quanto perversa quella sub-cultura che emargina quanti non accettano la guerra come essenziale al discorso della politica. In questo modo entriamo di fatto nella palestra dei segni dei tempi, additati da quel manuale esemplare che si chiama Pacem in terris. I segni dei tempi lanciano messaggi di tempi stretti, che devono essere colti con quanta più prontezza è possibile. Essi traducono anche a livello pedagogico lo stile profetico, che allena all’uso del discernimento e della progettualità.

Il processo di globalizzazione è processo invasivo rispetto a istituzioni e ad ambiti di vita quotidiana: la sfida per i credenti è di gestirla per il bene comune di tutti i membri della famiglia umana, andando alla ricerca degli aspetti positivi, sviluppandoli e facendoli prevalere sugli aspetti negativi. Superando la logica dei killer della speranza, occorre raccogliere la sfida della rete delle interdipendenze: tra nazionale, locale e internazionale; tra etica, diritto e politica; tra economia di mercato ed economia di giustizia; tra persona umana e ambiente naturale; tra nord e sud del mondo. Proprio in quest’ultima direzione si è mosso il 2° Meeting dei Centri missionari di Emilia Romagna, Marche e Toscana (Cesena, 4-5 ottobre 2003), mettendo a tema “La pace e la scelta evangelica. Nel 40° anniversario dell’enciclica Pacem in terris”.

 

NORD: IL DOVERE

DEL PRIMO PASSO

 

È toccato a un giornalista, Luigi Accattoli, il compito di illustrare cosa debba fare il nord del mondo in ordine alla costruzione della pace. Strutturando il discorso a partire dai famosi quattro pilastri della pace indicati dal beato Giovanni XXIII (verità, giustizia, amore e libertà), egli ha affermato che il nord ha fondamentalmente il dovere di un “primo passo”, in ragione del vantaggio acquisito in termini di potere economico, militare e comunicativo.

Il primo segno tangibile riguarda la verità. Si può pensare a due aree di verità: nella conversazione quotidiana e nella comunicazione di massa. Il punto focale in ordine alla pace è «la consapevolezza che siamo membri gli uni degli altri»; parli perciò ciascuno al suo prossimo secondo verità. Oggi si riflette sulla sfida dell’immigrazione, del rapporto con l’islam, del terrorismo e della guerra: il primo passo qui significa farsi carico delle ragioni dell’altro, senza far prevalere lo schematismo o l’arroganza. Purtroppo chi crede all’accoglienza spesso non si fa carico della presenza altrui nelle nostre comunità; chi invece si fa carico della sicurezza spesso non vuole prendere in esame il dovere dell’accoglienza. Ognuno compie davvero il primo passo allora se si fa carico della prospettiva che non gli è spontanea.

Guardando alla verità nel contesto della comunicazione di massa, il giornalista non ha esitato a dire come oggi essa sia dominata dalla menzogna perché retta dalle grandi agenzie internazionali, che sono tutte del nord del mondo. Il flusso informativo che condiziona la nostra visione è proprio al servizio degli interessi forti del nord. Un esempio eloquente di questa manipolazione, secondo Accattoli, viene dalla predicazione di pace fatta dal papa, con le stesse formulazioni, sia nel 1991 che nel 2003: ebbene nel 1991 è stato censurato dall’informazione internazionale, nel 2003 è stato percepito benissimo! Perché? Perché il mondo si è convertito o lo Spirito santo ha soffiato di più? No, perché questa volta nel mondo c’erano grandi potenze interessate alla posizione del papa contro gli Stati Uniti: la Russia, la Germania e la Francia, la maggioranza delle opinioni pubbliche occidentali.

Per entrare nell’ottica della giustizia, il secondo pilastro della pace, si può partire dall’esperienza dei lavoratori provenienti dal sud del mondo, delle colf o di una badante. Come trattiamo queste persone? Onestamente si deve constatare quanto sia difficile per loro far valere i propri diritti o anche, più semplicemente, vedersi consegnare le chiavi di casa: si gioca sul fatto che sono in stato di bisogno (non possono fare causa perché non in regola col permesso di soggiorno) per non versare i legittimi contributi. Quelle sopraffazioni che non si potevano fare più con donne di servizio, manovali o braccianti italiani oggi si scaricano sugli immigrati. Questi descrivono spesso così la loro esperienza con i datori di lavoro italiani: “più stanno bene, più ti trattano male!”. Non sentono insomma riconosciuta la pari dignità.

Lo stesso accade nei rapporti internazionali, nel commercio equo e solidale o nel prezzo delle materie prime: su questi aspetti il papa polacco si è più volte dimostrato un sovversivo nel nome della giustizia; e lo è stato ancor di più nella sua riflessione circa i cosiddetti “nuovi diritti”: «Si deve registrare purtroppo la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani. Perché oggi siamo testimoni dell’affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi diritti promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo» (Messaggio per la Giornata della pace 2003). Ecco la descrizione della forbice tra i diritti elementari del sud del mondo (acqua, salute, cibo) e quelli secondari del nord (diritto alla libertà di movimento, all’informazione, alla cura del corpo ecc.): qui si gioca concretamente la giustizia oggi.

Il terzo pilastro della pace è l’amore, perché ci immette nelle relazioni a livello di fraternità. Il primo passo dei cittadini del nord del mondo nella quotidianità consiste nell’impegno a salutare e conversare con gli immigrati ricordandone i nomi, a partire dai musulmani che ci vengono incontro. Nel collettivo registriamo che sorgono polemiche sul modo di trattare gli immigrati a scuola, nelle fabbriche, nei luoghi di culto, nei cimiteri: qui fare il primo passo probabilmente significa facilitare, a livello politico e amministrativo, gesti di accoglienza che non costano ma che veicolano amore.

L’ultimo passaggio è quello relativo alla libertà, che viene dopo il superamento della menzogna per una giusta tutela dei diritti nello stile dell’amore reciproco. Preoccuparsi della libertà dell’ospite che accogliamo significa vigilare per non renderlo schiavo. Accattoli ha preferito sviluppare il rapporto internazionale, sottolineando che per cento anni abbondanti tutto il sud del mondo è stato colonizzato da tutto il nord: un esercizio ideale di geografia ci dice subito che, da Napoleone alla metà del 1900, noi abbiamo avuto un sistema di sfruttamento sistematico con legittimazione giuridica. Solo con questa coscienza possiamo capire il mondo musulmano così esacerbato, così aggressivo nei nostri confronti. Tutte le repubbliche ex sovietiche islamiche, tutto il medio oriente, la penisola arabica, il nord Africa, l’Indonesia, le zone islamiche di Filippine e India… tutto sotto la dominazione del nord del mondo! «Si salvano gli Stati Uniti e il Canada, ma gli Stati Uniti recuperano adesso!». Noi dobbiamo renderci consapevoli di questa storia, e apprezzare la straordinaria calma con cui questo mondo viene in casa nostra a chiedere aiuto. Non sono straordinari l’aggressività, il risentimento o la manifestazione della violenza; è straordinaria la manifestazione di mitezza a fronte di una storia di tale incredibile dominio!

 

SUD: IL BISOGNO

DI NUOVA DIGNITÀ

 

La voce del sud del mondo si è espressa, drammatica e dolente, attraverso la voce del vescovo ausiliare di Gerusalemme Khamal Battish. Arabo, proveniente da una famiglia di sette fratelli, cristiano e sacerdote: così si è presentato per aiutare a leggere il corpo martoriato dell’umanità mediorientale. Ha citato un detto arabo che recita ”Non viene dal nord nulla che rallegri il cuore”: per i palestinesi da lì è venuta tra l’altro l’invasione ebrea, che ha progressivamente disgustato la loro vita e soprattutto spogliato la loro dignità, arrivando a togliere la casa e perpetrando così un’offesa indimenticabile e insopportabile.

Il popolo palestinese, secondo mons. Battish, è nella disperazione totale e l’occhio oscurato non è più capace di vedere l’innocente. Si può capire che la maggioranza del popolo ebraico, influenzata dalla retorica e dalla propaganda politica, non ha oggi «nessuna coscienza delle ingiustizie imposte agli arabi palestinesi del paese. Certo non si può affermare lo stesso dei capi politici e di molti altri. Oggi invece molti intellettuali israeliani, in Israele e all’estero, se ne accorgono, se ne vergognano e lo scrivono in lunghi articoli sui giornali ebrei più importanti, rimpiangendo gli autentici valori ebrei perduti, senza però raggiungere un pubblico ebreo esteso per introdurre nella politica un contrappeso efficace alla destra estremista sempre più invadente». Due popoli in guerra dal 1948 con il motto “la tua morte è la mia vita, e la tua vita è la mia morte”. Domina la paura, l’esasperazione e l’odio, l’illegalità e la violenza.

«Da decenni mi sono trovato in questo stato di sofferenza e come obbligato a rassegnarmi di vivere con gente che ha perso ogni speranza. Non solo come arabo ma anche come cristiano vivo con più dolore ancora questa situazione… come fare a vivere questa storia secondo i comandamenti della mia religione e dello spirito di Cristo? Devo riuscire a combinare le esigenze della giustizia e della legalità nel conflitto sulla terra, che conserva le mie radici e i luoghi d’origine cristiani, con le esigenze dello spirito cristiano nel mio ambiente. È facile dire che la società e la politica non devono essere clericali qui in Italia, ma questo in oriente nessuno lo può fare: la religione è tanto profonda nella mente e nella vita del cristiano, del musulmano e dell’ebreo! Tutto passa da lì! Io non posso avere una doppia vita: una vita cristiana per il mio privato con Dio e una vita che ignora Cristo, laica, nella società. In questo caso non posso essere sincero né con Dio né con la società.

Il mio Dio è creatore e universale (così è per l’ebreo e anche per l’arabo), particolarmente dell’uomo. Dio creando il mondo lo ammira sempre… L’uomo è nel mondo l’immagine che porta il riflesso del Dio invisibile, qualsiasi uomo e qualsiasi donna! Nessuno può attribuirsi il privilegio di essere il padrone di un altro uomo, se non Dio. Davanti a qualsiasi uomo allora devo stare in ginocchio. Ecco la fonte dei comandamenti di Dio: non uccidere, non rubare, non desiderare la casa del tuo prossimo!... Gesù va ancora più in profondità presentando il suo comandamento nuovo… dicendo di non opporsi al malvagio… sii più generoso nel tuo amore che non gli altri nella loro cattiveria. Un cristiano non sarà mai autentico se trascura il dovere essenziale che è il perdono».

Il vescovo palestinese ha ammesso la sua crisi di coscienza di fronte all’esigenza di conciliare un simile altissimo comandamento di carità con la sofferenza, l’ingiustizia e la voglia di eliminarsi a vicenda. Ma non si è rinunciato a essere cristiani in Terra santa! Solo questa carità è la base ideale e pratica per instaurare la vera pace basata sui quattro pilastri indicati da Giovanni XXIII. «Io, come sacerdote e vescovo, devo vivere in mezzo a questa situazione impossibile… Vivendo da oltre 39 anni a Gerusalemme non posso pensare ad altro luogo se non il Calvario. Se il Vangelo costituisce la regola e il modello della mia vita, non posso impedirmi di salire in spirito e nel cuore questa collina ogni giorno». Le tre religioni che disputano per la Città santa devono oggi andare alla scena delle tre croci dove Cristo è vittima di espiazione per tutti. Solo riconoscendo Gesù come Messia e Figlio di Dio possiamo dunque avere la pace.

 

Mario Chiaro