LA VC NELL’AREA DI LINGUA TEDESCA

UN FUTURO DI INTERROGATIVI

 

I numeri danno la percezione di una situazione destinata a diventare sempre più pesante. Il futuro si presenta pieno di sfide da affrontare con urgenza. Bisognerà soprattutto fare affidamento sui giovani, per quanto pochi. In caso contrario sarà la fine.

 

La vita consacrata nell’area di lingua tedesca ha davanti a sé un futuro, a dir poco, drammatico e pieno di interrogativi. I dati statistici – anche se non sono l’unico criterio da tenere presente – non lasciano spazio a illusioni. Su 30.000 suore, solo 3.000 sono sotto i 55 anni, mentre 20.000 hanno superato i 65. Nel settore maschile la situazione non è migliore: i religiosi chierici e i fratelli sono in tutto circa 5.700; di questi 2.800 hanno superato i 65 anni, mentre si calcola che coloro che sono al di sotto dei 55 siano circa 1.000. Ciò significa che su 35.700 religiosi/e complessivamente, 4.000 sono sotto i 55 anni, 8.900 tra i 56 e i 65 e 22.800 al di sopra dei 65 (statistiche del 1 gennaio 2002). Dati simili, anzi ancor più sfavorevoli, si registrano anche in Austria e in Svizzera. Grosso modo, il rapporto tra “giovani” e “anziani” è di 1 a 9.

Di qui l’inquietante domanda: in futuro, ci sarà ancora la vita religiosa in questa parte d’Europa? A porsela è il gesuita p. Bertram Dickerhof responsabile dell’Istituto per le congregazioni religiose dedite alla pastorale missionaria e alla spiritualità.1 L’interrogativo riguarda non tanto gli istituti di vita contemplativa, che sembrano i più risparmiati, ma quelli di vita attiva apostolica.

Per molte congregazioni, sottolinea il padre, il futuro si presenta molto fosco. Bisogna rendersene conto e prevedere le conseguenze che ne deriveranno. In primo luogo tenendo presenti le età. Andando avanti, le comunità saranno composte da un numero sempre più elevato di anziani. Per fare un esempio: in una ipotetica comunità di 18 persone, 2 avranno meno di 55 anni, 4 saranno tra i 56 e i 65 e 12 sopra i 65. Il gruppo più numeroso sarà pertanto costituito per due terzi da ultrasessantacinquenni e saranno essi a dettare legge e a imporre la loro mentalità e cultura, anche se in comunità ci sarà qualche giovane. La comunità nel suo insieme quindi non solo “invecchierà” mentalmente, ma farà invecchiare anche i giovani, prima ancora che ne arrivi l’età.

Per quanto riguarda il lavoro, bisogna prendere atto che i tempi delle grandi organizzazioni gestite dagli istituti nel campo dell’educazione, della formazione o della pastorale sanitaria sono destinate a scomparire. Eccezionalmente ci potrà essere ancora qualche caso singolo di comunità impegnate nell’uno o nell’altro di questi settori. Poco alla volta tuttavia giungerà il tempo del ritiro, anche se singolarmen­te qualche religioso potrà continuare ancora il suo impegno in qualcuna di queste opere, ma gestite da altri.

In terzo luogo, anche le disponibilità finanziarie si ridurranno poiché coloro che guadagnano saranno sempre meno numerosi, mentre aumenteranno i costi per la cure e l’assistenza per i confratelli e le consorelle anziani. Rimarranno certo gli immobili, ma non se ne ricaverà alcun guadagno, e sarà persino difficile venderli per mancanza di acquirenti.

 

UNA SERIE

DI SFIDE

 

In una situazione del genere, gli istituti e i loro responsabili si trovano ad affrontare sfide dolorose, ulteriormente aggravate dal fatto che attorno a queste opere ci sono molti legami affettivi, difficili da rimuovere; inoltre quella che riguarda la stessa identità dell’istituto fondato in vista di certe attività, come la cura dei malati, l’educazione ecc., e naturalmente l’altra dovuta alla naturale resistenza al cambiamento.

Nonostante ci si renda conto di tutto questo e si veda che così non si può più andare avanti, sottolinea p. Bertram, spesso si vorrebbero lasciare le cose così come sono, cercando in qualche modo di arrangiarsi, con tutte le incertezze del caso.

C’è poi il problema della continua riduzione dei membri a causa dell’invecchiamento e del numero crescente di anziani di cui prendersi cura. Si pone così l’esigenza di un loro spostamento in case meglio attrezzate. Ma ogni spostamento significa lasciare il proprio ambiente abituale e, sottolinea sempre il padre, tutti sanno quanta forza richieda un passo del genere, non solo per gli interessati, ma anche per i superiori e coloro che accompagnano queste persone.

Inoltre, con lo svuotamento delle case, emerge la domanda fino a che punto è ancora possibile una vita di comunità per coloro che vi rimangono. Si potranno ancora svolgere le necessarie funzioni per tenere in piedi l’opera? cosa succederà agli impiegati? è possibile ancora pagarli? e la casa religiosa può essere ancora gestita finanziariamente? La conseguenza è che si renderà necessario spostare anche il resto dei religiosi con tutte le obiezioni che si pongono. Per esempio, come trovare un servizio per coloro che sono ancora professionalmente attivi e qualcosa da fare per i più anziani affinché si sentano ancora utili? Senza dimenticare che concentrarsi in un’altra comunità vuol dire trovarsi in una situazione in cui il rapporto tra “giovani” e “anziani” è di 1 a 9.

Più difficile ancora da gestire è il caso di istituti che hanno più di una provincia, qualora si ponga l’esigenza di giungere a delle fusioni, e di trovare le sinergie, per esempio, nell’amministrazione e nella programmazione; ciò lega molto le mani ai responsabili. Si dovrà inoltre tenere presente che le province situate nel terzo mondo sono costituite in gran parte da giovani religiosi a cui è necessario lasciare la loro autonomia, e spesso persino affidare a essi la responsabilità dell’istituto: cosa a cui non sono preparati per la dipendenza vissuta finora dalle province di origine.

I superiori si trovano quindi a confrontarsi con tutto quest’insieme di pro­blemi e spesso, per la loro età, non hanno né le energie fisiche e psichiche per affrontarli né le conoscenze adeguate. La tentazione è di lasciare tutto com’è, col rischio di dover poi muoversi quando si sarà costretti, quando, sottolinea p. Bertram, il treno sta già partendo e non resta altro che saltarvi sopra.

Nel frattempo la forbice tra la “cultura interna” della casa religiosa e quella dell’ambiente esterno andrà sempre più allargandosi, con delle conseguenze facilmente prevedibili nel campo della pastorale vocazionale: le comunità saranno sempre meno attraenti per i giovani esterni (e anche per quelli interni), che hanno il desiderio di cercare Dio. Più ancora: coloro che sono interessati a entrare nell’istituto, in quali comunità inviarli per evitare loro uno shock culturale che potrebbe spaventarli? Nel frattempo i “giovani” presenti in questi comunità saranno destinati a “invecchiare” anzitempo, finendo con l’adattarsi a uno stile di vita come quello dei loro genitori e dei loro nonni.

 

OCCORRONO

GRUPPI PROGETTUALI

 

Infine, con spostamento degli anziani, gli ex “giovani” rimarranno come delle isole, così come isolatamente sono entrati nell’istituto, e tali rimarranno una volta inviati nelle varie case, senza quasi nessun contatto tra loro. A questo s’aggiunge il fatto, già denunciato, di trovarsi in comunità culturalmente dominate dagli anziani, a cui dovranno adeguarsi, dal momento che le decisioni saranno prese da loro. Non resterà allora altra soluzione che chiudersi in una specie di nicchia e cercare contatti esterni per mancanza di comunicazione all’interno con dei loro pari, finendo magari anche con l’andare a vivere in un appartamento. Per evitare questa deriva, bisognerà non solo occuparsi del dislocamento degli anziani, ma anche di quello dei giovani se si vuole che anche in un domani ci siano delle cellule di vita apostolica e caritativa nell’istituto con una appropriata visione del suo carisma.

Il problema però non è semplice. Inserire i “giovani” in un ambiente impregnato di una mentalità e una cultura simili a quelle dei loro genitori e nonni, vuol dire pregiudicare le loro aspirazioni a crescere in maniera autonoma. Gli anziani, da parte loro, saranno poco disposti a concedere a essi ciò che hanno imparato a negare a se stessi; il rischio è di mettere in crisi la loro vocazione. Oppure questi “giovani” finiranno con l’adeguarsi all’ambiente, dove del resto non manca niente, rinunciando a crescere, assomigliando così, sottolinea p. Bertram, a quei figli e figlie che rimangono “in eterno” nella casa dei loro genitori: la conseguenza è l’infantilismo. Ma, siccome ogni persona, per sua natura, è portata a crescere e a raggiungere una maggiore libertà, non potendolo fare in una condizione di sottomissione alla generazione più anziana, può accadere che questi giovani cerchino delle vie di fuga nella malattia, nel rifiuto oppure in una forma latente di aggressività verso se stessi e gli altri.

Una cosa è certa: bisogna consentire ai giovani di camminare con le proprie gambe e cercare di sostenerli affinché si assumano le loro responsabilità. Tutto ciò ha anche dei risvolti importanti sul piano organizzativo. Bisognerà prevedere di offrire loro degli spazi e delle opportunità d’incontro, come ad esempio, trascorrere insieme le ferie, fare insieme gli esercizi spirituali, rispondere insieme agli interrogativi che si pongono per favorire così l’incontro e la collaborazione.

Un passo successivo starà nel sensibilizzarli alle problematiche riguardanti il domani. È opportuno perciò riunirli per stimolarli a riflettere sui futuri scenari della congregazione, delle opere in cui attualmente vivono, presentare prospettive e itinerari che altri hanno già sperimentato e consentire di partecipare a esperienze che scaturiscono da questi progetti.

Un’altra fase consisterà nel costituire gruppi progettuali affidando a essi il compito di proporre una visione del carisma dell’istituto, definirne gli scopi e trovare vie di attuazione.

A questo scopo, bisognerà tenere presenti alcuni criteri. Il primo riguarda le attitudini della persona per questo genere di compito, la sua fede e le sue competenze pratiche e metodologiche. Inoltre la motivazione che la spinge, in modo che non abbia ad assumersi questa responsabilità a partire solo dai suoi interessi soggettivi, ma in base a ragioni oggettive. La decisione circa la composizione del gruppo spetta comunque ai superiori. Bisognerà anche regolare alcuni problemi che si pongono a questo gruppo progettuale: la chiarezza delle linee e delle condizioni che accompagnano il progetto; l’organizzazione, il quadro generale, le competenze, il bilancio, ecc. Molto importante è che a disposizione vi sia un accompagnatore che aiuti il gruppo ad assumersi il proprio compito proprio in quanto gruppo.

 

L’ESSENZIALE

DELLA VITA RELIGIOSA

 

Ma anche se nel futuro della vita religiosa saranno risolti i problemi del conflitto tra generazioni, sottolinea p. Bertram, si pongono tuttavia, sia per i “giovani” sia per gli “anziani”, altre esigenze che riguardano i fondamenti della spiritualità cristiana e consacrata. Per tutti è necessaria una conversione, in particolare nei seguenti tre ambiti: comunità, lavoro e povertà.

La comunità, qualunque siano i progetti per il futuro, rimane una dimensione essenziale della vita religiosa così come la castità, l’obbedienza e la povertà. Molti “giovani” religiosi – come anche la gente esterna – sentono un grande desiderio di comunità, ma ne hanno una scarsa esperienza.Per questo devono essere incoraggiati e accompagnati, nel senso che la crescita e la maturazione sono sempre dei processi soggetti alla crisi. Ma ci vorrà tanta pazienza.

La seconda dimensione riguarda il servizio. A questo proposito, non basterà compiere bene il proprio dovere, vivere evitando le tensioni o funzionare bene nel posto assegnato. In altre parole, non è sufficiente essere buoni “funzionari”, tanto più che oggi non è più necessario farsi religiosi per svolgere determinati ruoli o servizi. Persino l’annuncio può essere compiuto da chiunque attraverso i mass media, siano questi cristiani o di altra tendenza. La domanda da porsi pertanto è la seguente: Abbiamo davvero scelto la parte migliore e l’unica che conta (cf. Lc 10,42) oppure spendiamo fatiche per ciò che non sazia? (cf. Is 55,2).

Qui, rileva p. Bertram, sta una delle sfide fondamentali in cui è necessario un cambiamento. Nella vita religiosa ciò che deve stare al primo posto non è tanto l’attività quanto la consacrazione a Dio. L’attività professionale è solo un aspetto, mentre rimangono gli interrogativi di fondo: come possiamo stare davanti a Dio? come conoscere qui e ora la sua volontà e compierla? quali atteggiamenti adottare e quali strutture sviluppare affinché le dimensioni essenziali della vita religiosa occupino nuovamente il primo posto? a che cosa dobbiamo rinunciare?

Infine, il terzo aspetto, la povertà. Fondamentale è imparare a vivere con “meno”: meno distrazione, meno orari pieni, meno occupazioni, meno fretta. Uno degli elementi essenziali di ogni spiritualità è infatti la crescita della coscienza (vigilanza) verso ciò che uno fa e ciò che lo muove; consapevolezza che richiede raccoglimento, e questo si può avere solo con un ritmo più calmo e con una buona misura di silenzio,. Una vita posta sotto lo sguardo di Dio favorisce l’accoglienza dei frutti dello Spirito, la libertà e la dignità dei figli di Dio. Ciò è possibile se si vive con meno esigenze, nella povertà. Inoltre essa diventa fonte di disponibilità al servizio e dà significato a quei piccoli gesti di cui parla in varie parti il Vangelo, nel discorso della montagna, nella parabola del buon samaritano e nel racconto del giudizio finale.

Un ultimo aspetto riguarda la “modernizzazione” della propria vita e di quella comunitaria nel dialogo con i problemi del mondo. I giovani hanno bisogno di vivere un’esperienza forte, per esempio trascorrendo un tempo intensivo in qualche paese del terzo mondo per stare con la gente del luogo. Ciò consentirebbe loro di abituarsi a porre la loro vita davanti a Dio e a compiere la sua volontà, imparando nello stesso tempo quanto una vita vissuta con poche cose sia utile e liberante. In caso contrario, la loro visione rimarrebbe inefficace nel senso che continuerebbero a rimanere attaccati alle loro sicurezze, alle loro comodità, alla loro paura delle privazioni, senza capacità di affrontare la rinunce e il distacco.

Stando quindi a quanto scrive p. Bertram, il futuro della vita religiosa, almeno così come si prospetta nell’area di lingua tedesca, passa attraverso questa realtà e queste sfide. Ma anche altrove, presto o tardi, i problemi saranno gli stessi.

A. Dall’Osto

 

1 Gibt es auch in Zukunft noch Ordensleben im deutschsprachigen Raum?, in Ordens Korrespondenz, 3, 2003, pp. 274-285.