CAPITOLO GENERALE DEI MISSIONARI CLARETTIANI

INDICATORI E ORIENTAMENTI

 

Dal 19 agosto al 15 settembre del 2003 si è celebrato a Roma il XXIII capitolo generale dei Missionari Clarettiani, sul tema Perché abbiano la vita. Vi hanno partecipato 76 religiosi, superiori o delegati degli oltre 3.000 missionari che lavorano in 64 Paesi del mondo.

 

A meno di un mese dal termine dell’assemblea capitolare provo a raccogliere alcuni indicatori, per come li ho vissuti, e annoto gli orientamenti maturati.

Il primo indicatore lo raccolgo dalla presenza di un monaco trappista invitato a dirigere il ritiro spirituale. Un monaco con alle spalle fratelli uccisi nella fedeltà ad un luogo (i clarettiani parlano spesso dei loro fratelli martiri, oltre 270 nella guerra spagnola del 1936). L’abate Olivera ci ha parlato di Gesù e della sequela appassionata, totalizzante, innegoziabile. Non ci ha parlato di voti, né di immagini da offrire, né di comunità. Ci ha suggerito “l’essere integri”, tutti d’un pezzo, consolidati nella fede: «Sarebbe triste essere inviati e non conoscere il volto di colui che ci invia»; forse, ha sospettato, missionari senza centro, frammentati, costruiti con avanzi, alimentano la spazzatura del mondo. La terapia è gratuita e ognuno deve aspettare il suo momento opportuno fino a che la morte e risurrezione di Gesù lo colga nel più profondo dell’essere.

«Passate – ci ha detto sul finire – dal buon senso alla follia». I 76 capitolari – come anche la maggioranza dei monaci – siedono nell’aula grazie al loro buon senso. Alcuni forse hanno fatto pazzie, ma oggi sono seduti e danno fiducia. Il buon senso chiede che tutto sia previsto o prevedibile. Allontana i soprassalti, chiede prudenza, tempo. I saggi hanno in mente il punto finale e il progetto. Dare spazio alla follia è lasciare che il sistema si rompa, vada in tilt; entrare in situazioni di emergenza; fare accomodamenti provvisori.

È passato il monaco Bernardo Olivera nell’aula capitolare con la sua insostenibile levità. Non è stata una nota esotica o estetica. Ha suonato la tromba apocalittica con voce soave e insinuante.

Un secondo indicatore è stato il gesto posto dalla maggioranza dell’assemblea di mettere da parte, bocciato nella votazione, il documento preparatorio del capitolo.

I capitolari hanno giudicato che l’attuale situazione del mondo non richiedeva un nuovo documento magisteriale (tutte le congregazioni, come la Chiesa, abbondano di testi) ma di guardare in faccia la realtà e di scegliere, misurando le energie, gli orientamenti per l’oggi. Risparmiare il tempo assorbito nel dibattere una redazione perfetta e interrogarsi con maggiore radicalità.

Al documento “bocciato” si è fatto riferimento come fonte per la consultazione. Certo il documento è servito a creare un consenso congregazionale attorno al tema del capitolo e a chiarire la prospettiva nella quale la congregazione voleva mettersi all’inizio del terzo millenio: Servitori della Parola, in missione profetica, al servizio della vita.

L’assemblea capitolare si è rimboccata le maniche ricreando nei contenuti ma soprattutto nel metodo di lavoro (studio e contributo personale, lavoro di gruppo per tematiche, assemblee con dibattito e con voto) il necessario da mettere nella bisaccia pellegrina di questo istituto.

Il terzo indicatore è determinato dalla comprensione, ricca di grazia, del tempo storico che gli istituti stanno vivendo. Non ci sono contestazioni profonde all’interno, non ci sono rigidità frontali. C’è un dettato patrimoniale costruito nel tempo che oggi permette di mettere al centro, nel cuore della dichiarazione, formule e prospettive che un tempo dividevano o che erano lasciate al margine del processo. Come ogni tempo anche questo ha il suo baco e il suo tranello: proclamiamo senza scomporci, forse abbiamo meno pressante la fatica del toccare con mano. C’è maggiore tolleranza, qualche volta si scivola verso l’indifferenza. C’è molta professionalità, a volte meno mistica.

 

IL CORAGGIO

DELLE VERITÀ SCOMODE

 

Ventiquattro anni di questo cammino sono stati raccolti simbolicamente, e l’assemblea l’ha rilevato molte volte, nella presenza di tre superiori generali (con il nuovo eletto): cammino e continuità, memoria e profezia.

È grazie al loro governo intelligente che oggi l’istituto può sperimentare la continuità e l’evoluzione, che non si blocca nella tradizione, che non si chiude nel monologo, che chiede profonda diversità secondo luoghi e tempi, che provoca a essere sempre più leggeri nell’andare perché sa che le radici pescano in terra buona.

Ci si è liberati del pudore di nascondere le difficoltà, quasi fossero una vergogna e non una condizione normale della vita, segnata anche dall’ambiguità di questo tempo storico. Così il superiore generale uscente in una lettera all’istituto ha confessato le sue colpe e quelle della congregazione iniziando dai clarettiani che hanno abbandonato la congregazione, o quelli che rimangono incoscientemente tranquilli, insensibili, dinanzi alla chiamata alla santità nel servizio missionario della Parola e al grido dei poveri.

E il nuovo generale nel messaggio di saluto al papa a Castelgandolfo ha detto: «Ci rende tristi vedere come alcuni abbandonano con una certa facilità gli impegni assunti nella professione religiosa o si adattano a una vita mediocre, incapace di manifestare la novità del regno di Dio». L’assemblea ha parlato a lungo delle difficoltà attuali, comprese quelle legate alla sessualità, alla povertà, alla disincarnazione storica.

 

Un papa fragile e quasi muto (Signore non so parlare). Non siamo padroni di niente ma solo servi. Nel capitolo precedente (1997), il papa non era riuscito, per le condizioni di salute, a leggere il discorso; in questo attuale, nella visita che gli abbiamo fatto a Castelgandolfo, lo ha fatto con estrema fatica, raccogliendo alcune frasi, provocando in noi sentimenti di passione e di riconoscenza. Ma anche questa è una icona: servitori della Parola, secondo il nostro dettato carismatico, non vuol dire essere coloro che urlano e proclamano in continuazione; forse questo tempo storico ci sta chiedendo un altro modo di masticare e rimasticare la Parola dividendola con la gente nei segni del quotidiano fatto di fragilità, di resistenza, di balbettamento. Forse anche qui si può leggere un collegamento con il testo rifiutato, bello, e l’assunzione della propria parola, più fragile e meno forbita, e aderente all’oggi.

 

SULLO SFONDO

IL GRIDO DEI POVERI

 

Il mondo ha fatto da sfondo costante a tutta la riflessione. È troppo carica di sfide la realtà del nostro mondo, è troppo forte il grido dei poveri e di coloro che soffrono per poter ignorare e chiuderci nel piccolo mondo congregazionale. Lo ha richiamato molte volte Josep Abella e molti altri di fronte al rischio di far prevalere i problemi di casa. Il giudizio finale è stato: «Non abbiamo voluto “rinchiuderci” negli aspetti interni della vita congregazionale. Se li abbiamo affrontati è stato per poter ottenere una consistenza spirituale, una coesione comunitaria e una organizzazione della congregazione che ci permettano un maggiore impegno al servizio della vita».

Il nuovo superiore generale si è presentato così nel primo saluto all’istituto:

«La maggior parte di voi mi conosce. Sono molti anni che continuo a viaggiare per la geografia congregazionale. Ho vissuto i dodici anni di servizio come consultore generale e come prefetto di apostolato con passione. Ho avuto la possibilità di conoscere molti clarettiani e di riconoscere la loro qualità umana e spirituale e l’impegno missionario. Anche voi vi sarete resi conto di quello che posso offrirvi e dei miei limiti. Vi dico solamente che potete contare con il mio tempo, le mie energie e tutto quello che posso dare durante i prossimi anni. Vi sento vicini e ho sperimentato il vostro affetto e amore alla congregazione nell’abbraccio fraterno che mi ha dato ognuno dei capitolari che vi rappresentano».

Josep Abella, 53 anni, inviato da giovane studente in Giappone, ne ha assunto lo sguardo e l’atteggiamento per il dialogo, per il rispetto delle culture, nel raccogliersi nella condizione di minoranza, nell’essenzialità della vita, nel collaborare con quanti ricercano il bene, nello spendere senza misure la vita, nel comunicare con tutti. Nel suo bagaglio personale ci sono 7 lingue parlate per poter entrare in rapporto con tutti.

 

ORIENTAMENTI

E PRIORITÀ

 

Lo sguardo più radicale sul mondo ha richiesto un’organizzazione più efficiente attorno al tema della spiritualità e della formazione permanente. È stata decisa la creazione di una prefettura di spiritualità (le altre prefetture sono: di apostolato, di formazione e di economia).

Il governo è stato ridotto da sette a sei più il superiore generale.

La riorganizzazione più equilibrata ed efficace degli organismi e la revisione delle posizioni apostoliche è stato il primo orientamento dell’assemblea.

Come e dove essere oggi? (per esempio, negli ultimi dieci anni sono state riconsegnate in America Latina 31 parrocchie alle diocesi e si sono aperte 13 nuove posizioni normalmente in luoghi periferici).

Questo processo di riorganizzazione sta attraversando specificamente la Spagna con le sue sei province (quattro sono in un processo di coordinamento/fusione), coinvolgerà l’Europa con la difficoltà delle lingue e delle tradizioni storiche; lo stimolo della UE è forte per non potersi pensare in questo processo. Alcuni paesi africani di lingua francofona stanno sperimentando da dieci anni questo processo confederativo e stanno per arrivare a nuove formule. L’istituto appare in questo momento come un cantiere in piena trasformazione chiamato a cambiare.

Un’altra priorità indicata è quella della qualità della vita o dello stile di vita comunitaria. C’è una confessione esplicita: facciamo spesso un buon lavoro, facciamo fatica a farlo bene insieme e a stare bene insieme.

I problemi non solo solo imputabili alla buona o cattiva volontà dei membri, ma si ha coscienza che stiamo traghettando e sperimentando modi di vita che non hanno ancora trovato il punto giusto.

Dai modelli che si riproducevano fedelmente all’incarnazione creativa nei contesti, affrontando – nelle strutture, istituzioni e stile di vita – la necessaria via del dialogo interculturale (assunto come priorità per i prossimi sei anni).

Ne deriva un impegno prioritario alla cura della propria vocazione con la fedeltà alle radici evangeliche e carismatiche espresse nelle costituzioni.

L’assunzione della comunità come ambito di vita e primo impegno missionario.

La qualificazione della pastorale vocazionale e della formazione: il consolidamento del processo formativo, la formazione dei formatori e l’accompagnamento spirituale per assicurare di più la consistenza vocazionale in tutte le tappe della vita.

Sulla situazione economica viene assunta come priorità una maggiore solidarietà degli organismi maggiori con il governo generale.

 

È stato steso un elenco di elementi riconosciuti come patrimonio comune che nascono dal carisma nella Chiesa e che esprimono lo stile di vita e di servizio missionario dei clarettiani: centralità della parola di Dio; dimensione eucaristica, cordimariana; l’impegno per la pace, la giustizia e l’integrità della creazione; l’opzione per la solidarietà con i poveri; l’apertura e il rispetto verso le differenze culturali; il dialogo, nelle sue forme diverse; la necessità di una nuovo forma profetica di comunicare il vangelo.

Su questo quadro vengono attivate tre opzioni per i prossimi sei anni:

La missione condivisa con i laici come modo normale di missione; è impegno di i clarettiani accettarne le conseguenze nella spiritualità, nella pastorale vocazionale, nei processi formativi, nella vita comunitaria, nel lavoro apostolico e nelle istituzioni di governo e di economia.

La solidarietà con i poveri, gli esclusi e coloro che sono minacciati nel loro diritto alla vita di maniera che questo abbia una ripercussione nello stile personale e comunitario di vita, nella missione apostolica e nelle istituzioni.

Il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, assumendo come priorità l’inculturazione del Vangelo attraverso il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale in tutte le opere missionarie.

Il capitolo ha avuto lo sguardo aperto su tutto ma non ha voluto fare una summa di tutto, ha voluto scrutare nelle pieghe della vita per orientare il proprio cammino. L’anno in corso permetterà a tutti gli organismi e al governo generale di misurare la vivibilità delle scelte e di tradurre un progetto che verrà nuovamente sottoposto al dibattito operativo dei superiori maggiori nel prossimo anno.

Rimane sempre pungente l’augurio del monaco Olivera: come giocare con il buon senso e la follia per il Regno?

 

Angelo Cupini cmf