CRISI D’IDENTITA’
IN UN MONDO IN TRASFORMAZIONE
Dagli anni del
concilio Vaticano II una sorta di ambiguità ha afflitto la vita religiosa. Da
qui l’oscillazione tra spinte a una forte visibilità e tendenze a uniformarsi
con il mondo. Quale forma di identità e visibilità è migliore per i religiosi
oggi?
Agli inizi del mese di agosto di quest’anno, p. Timothy Radcliffe, già maestro generale dell’ordine domenicano, ha tenuto una relazione ai religiosi americani sul tema della vita religiosa in un mondo in trasformazione.1
La tesi di fondo, in sintesi, è che la crisi d’identità della vita religiosa va posta nel contesto sociale, in cui tutti soffrono di una crisi d’identità. «Nella nostra società, la gente cerca identità attraverso tutta una serie di realtà che possono essere buone, ma in ultima analisi inadeguate per i figli di Dio: lo status, la ricchezza, la carriera e così via. Ciò che è unico nella nostra identità è che i nostri voti ci spingono oltre tali identità. Noi non abbiamo identità fisse eccetto quelle che sono sulla via per il Regno di Dio. Ciò che è tipico della nostra identità è che lasciamo dietro di noi i soliti segni di identità. Siamo un segno nudo dell’identità umana, che sarà compiuta solamente nel Regno».
DUE GRANDI CRISI
DA CUI RIPARTIRE
Le considerazioni di p. Radcliffe sul tema prendono lo spunto da due eventi della storia recente che hanno in qualche modo cambiato lo scenario mondiale ed ecclesiale. In primo luogo «l’evento imprevedibile dell’11 settembre 2001, seguito dalla guerra in Iraq»; e, accanto a questo, la crisi esplosa lo scorso anno nella Chiesa, «causata dall’abuso sessuale di minori da parte di preti e religiosi, e le reazioni di alcuni vescovi a questi fatti». Queste due crisi toccano il problema dell’identità e della visibilità dei religiosi nel mondo d’oggi. Secondo p. Timothy entrambe le crisi hanno reso visibili due dati: «il modo in cui funziona il potere e la nostra perdita dei sogni».
La tragedia delle torri gemelle che cosa ha evidenziato? «Una terribile violenza che non permette alcun dialogo. È stato un potere brutale che ha negato la comunicazione… un atto di muta violenza, che ha parlato dell’assenza di ogni discorso, un potere irresponsabile». Così come ha mostrato la violenza del nostro villaggio globale, evidenziando in un istante la violenza nascosta implicita nel mercato globale, gridando forte come «la spirale dell’ineguaglianza nel mondo è inevitabilmente legata a una spirale di violenza».
Negli anni successivi all’11 settembre 2001 si è visto anche che «esiste una sola superpotenza, e che la sua attuale amministrazione non sente il bisogno di rendere conto di sé al resto del mondo. Il collasso della comunicazione con l’ONU e con la maggioranza dei paesi dell’EU, il rifiuto del protocollo di Kyoto, il ritiro dai trattati internazionali dà l’impressione di un potere irresponsabile… Così dopo l’11 settembre noi tutti viviamo nell’ombra di poteri che non sembrano sentire il bisogno di dare ragione di sé».
Analogamente, afferma p. Radcliffe, la crisi rivelatasi nella Chiesa mostra un potere che non rende ragione di sé. Lo scandalo degli abusi sessuali sui minori non è anzitutto una crisi relativa alla sessualità quanto all’abuso di potere. «L’incidenza dell’abuso non ha nulla a che fare con il celibato o l’omosessualità. È radicata nell’immaturità sessuale di alcuni preti e religiosi che cercano relazioni in cui poter dominare e controllare. È una questione di potere! Anche una minoranza di vescovi che hanno continuato ad assegnare nuove parrocchie a preti che avevano compiuto abusi hanno usato un potere irresponsabile». È evidente, quindi, che le crisi della società americana e della Chiesa cattolica americana «ci sfidano con domande relative alla natura del potere, e specialmente del potere che non rende conto di sé».
Non è azzardato pensare, secondo p. Radcliffe, che queste due crisi abbiano anche segnato la fine di certi sogni. Le utopie degli anni ’60 e ’70 sono crollate; il sogno di una globale prosperità è finito. I poveri sono sempre più poveri e non ci sono segnali di cambiamento. Ma «se il povero ha perso i suoi sogni, allora li ha persi anche il ricco». Dopo l’11 settembre l’amministrazione Bush si è preparata per una lunga guerra. Il mondo è stato diviso in amici e nemici. Quelli che non sono con noi sono contro di noi. «I sogni sono svaniti. L’11 settembre ha tracciato una linea netta sotto quell’epoca di speranza».
Altrettanto la crisi degli abusi sessuali ha chiuso un certo periodo di sogni all’interno della Chiesa, sogni di rinnovamento nati con il concilio Vaticano. «Avevamo sognato una Chiesa piena di nuova vitalità, nuova uguaglianza e dinamismo. Quei sogni sono un po’ svaniti. Il 2002 ci ha risvegliati a una realtà più dura. La luna di miele del Vaticano II è definitivamente conclusa!».
LA QUESTIONE
DELL’IDENTITÀ RELIGIOSA
Anni fa p. Radcliffe affrontò in una relazione la questione dell’identità dei religiosi «per via negativa: noi siamo segni del Regno con la nostra rinuncia a piccole e parziali identità. L’assenza di ricchezza, carriera, status e matrimonio indica l’ultima identità che sarà rivelata nel Regno. Forse oggi, vivendo all’ombra di queste due crisi, bisogna bilanciare questa visione con una via positiva. Una sana teologia necessita di entrambe. Nel mondo segnato dal brutale potere quale identità cerchiamo? Quale potente presenza può essere la nostra? E in un mondo segnato dallo svanire dei sogni, come possiamo noi rendere visibile la promessa di Dio all’umanità?».
Il religioso domenicano vede nell’icona dell’Ultima cena un buon punto di partenza per trovare risposte, «perché l’ultima cena fu una profonda crisi di potere e di promessa. Gesù si trovò alla mercé di un potere brutale e irresponsabile. Venduto da Giuda e tradito di lì a poco da Pietro. Ogni iniziativa era fuori dalla sua portata. Era una pecora condotta al macello, una pedina nei complotti di altre persone. E la promessa sembrava tacitata... Tutto l’entusiasmo dei primi giorni era finito. La sua vita era giunta a un punto morto. E proprio in questo momento Gesù disse le parole più potenti della storia cristiana. Prese il pane, lo spezzò e lo diede ai discepoli, dicendo: “Questo è il mio corpo dato per voi”. E lo stesso con il calice. In un momento disperato, egli aprì un futuro e fece una promessa».
Perciò, continua p. Radcliffe, «non dovremmo avere paura delle crisi. Esse sono la nostra specialità della casa! Noi le celebriamo. Ogni eucaristia è la riattualizzazione della speranza persa e rinnovata. Ogni eucaristia rende visibile una crisi di potere perso e riottenuto. Ci mostra la fine e il rinnovo della promessa. La fine della strada diviene l’inizio della via per il Regno. Oggi stiamo passando attraverso una piccola crisi, ma è piccola cosa rispetto a quella che celebriamo nell’eucaristia. Scopriamo come viverla in modo fecondo».
Di che natura è, allora, il potere di Gesù? Al potere cieco e brutale dell’impero e dei capi religiosi Gesù oppone «un gesto il cui potere è decisamente diverso: quello del significato. Esprime un segno potente, un gesto che parla. Di fronte ai muti poteri che vorrebbero schiacciarlo, il suo potere è una parola che apre alla comunione: “Questo è il sangue della nuova alleanza”. È il potere di un segno e di un sacramento».
Se le crisi della società e della chiesa americana hanno a che fare con il potere, «come religiosi dobbiamo rendere visibile un altro tipo di potere che sta nel significato di ciò che siamo e facciamo. Dobbiamo trovare gesti che parlino di Dio e del Regno». Tenendo presente, come scriveva il card. Suhard, che “essere testimoni non consiste nel fare propaganda e nemmeno nell’entusiasmare la gente, ma nell’essere mistero vivente. Significa vivere in modo tale che la propria vita non avrebbe senso se Dio non esistesse”.
Come religiosi la nostra visibilità è prima di tutto la potente testimonianza di vite che parlano. «Ma il potere di ogni vita religiosa sta nel come essa parla». Se pensiamo ai fratelli e sorelle che lavorano nei barrios dell’America latina o curano i malati di AIDS in posti remoti dell’Africa viene spontaneo chiedersi: che differenza fanno sulla scena della storia? Il loro più profondo potere, commenta p. Radcliffe, è come quello di Gesù nell’ultima cena: è nel significato di ciò che fanno. Ed è sacramentale e simbolico.
«Forse è la piccolezza di ciò che siamo e facciamo che rende i nostri segni più potenti». Ricordando la vicenda di Gedeone viene da dire che, per essere segno del potere del Signore degli eserciti, l’esercito deve essere piccolo e apparentemente inefficace. «Può essere che noi siamo stati ridotti e potati perché fosse chiaro che la vita religiosa rende visibile un potere che non sta nelle grandi istituzioni, nella ricchezza o status, ma nel potere sacramentale di ciò che siamo e facciamo».
UNA DIVERSA
VISIBILITÀ
Il potere sacramentale e dei segni può sembrare inefficace. «Ma stiamo entrando in un mondo nuovo, quello del World Wide Web. In questo nuovo mondo circolano soprattutto segni e simboli, in particolare quel simbolo di tutto e di niente che è il denaro». Questo nuovo mondo è però anche al servizio dei nostri significati simbolici e sacramentali. Il WWW offre alla vita religiosa una nuova visibilità, e «se noi riusciamo a trovare i segni giusti, allora il mondo ascolterà il Vangelo».
Come essere visibili nel WWW? Come il potere espresso dai religiosi è diverso da quello del mondo, così la loro visibilità nel mondo del logos è diversa. C’è da chiedersi allora: in un mondo come il nostro saturo di simboli che promettono ogni cosa, come possiamo noi religiosi essere segni visibili della promessa del Regno? Che tipo di segno siamo?
«I simboli della nostra società – risponde p. Radcliffe – promettono soprattutto due cose: felicità e cittadinanza. Così facciamo noi, ma in modo diverso. Noi siamo chiamati a incarnare una gioia e un’appartenenza diverse. I segni e simboli del WWW promettono felicità, appagamento e pienezza di vita… Se dobbiamo fiorire ed essere visibili in questo mondo, allora deve essere perché incarniamo una felicità inspiegabile e provocatoria».
Poiché «non possiamo essere predicatori del Regno se siamo miserabili», la gioia dovrebbe irradiare dalla nostra vita. I voti religiosi non significano nulla a meno che ci formino come persone che possono offrire un sapore di gioia che trascende ogni delizia offerta dal WWW. È l’assaggio della gioia del Regno».
Descrivendo brevemente ogni consiglio evangelico, p. Radcliffe afferma che «l’obbedienza non ha alcun senso se non è la gioia di perdere la propria vita». Così come «l’unica possibile giustificazione per il voto di castità è che ci rende felici… La castità è entrare nella totale e incomprensibile gioia del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, che è il Santo». Il voto di castità risulta un peso opprimente se non è vissuto come il sovrabbondare della grazia di Dio in tutti gli esseri umani. Perciò la castità «dovrebbe formarci a provare piacere nell’incontrare le persone, l’eterno e sovrabbondante godimento che il Padre prova in noi, la gioia che prova per gli esseri umani nel Figlio. La castità è davvero un modo di provare piacere per le persone».
E basta gettare una sbirciata a s. Francesco per contemplare una gioiosa relazione amorosa con la povertà.
«Lasciamo che tutti i mezzi ci rendano visibili… Ma la visibilità che cerchiamo è più che una semplice faccia sorridente su un cartellone pubblicitario. È il barlume di una gioia che va oltre le parole e l’immaginazione. In un mondo che ha perso i suoi sogni, la gente può ascoltare una voce che dice anche dalla croce: “Oggi sarai con me in paradiso”. Questa è una gioia che fa impallidire i piaceri proposti dai prodotti del WWW».
Il mondo di internet non propone solo felicità; i suoi prodotti, argomenta finemente p. Radcliffe, offrono una comunità a cui appartenere. Ciò che rappresentano McDonald, Burger King, Kids Club, Nike, ecc. è qualcosa di più dei loro semplici prodotti, «è il desiderio di appartenere alla comunione del consumo. Per il povero sono sacramentali della sua fantasia di partecipazione all’escatologica passeggiata per gli acquisti».
Ebbene: la vita religiosa rende visibile un altro tipo di appartenenza, ben significata dal voto di povertà, «segno di quella comunione dalla quale nessuno è escluso». Ma anche il voto di obbedienza «ci forma come persone la cui vita punta a un nuovo tipo di appartenenza», al punto che «per essere un frate obbediente non è necessario sapere completamente chi sei. In tutto il mondo sei circondato da fratelli e sorelle che non conosci ancora, ma che sono carne della tua carne e ossa delle tue ossa», e tutti, comprese le generazioni a venire, hanno qualcosa da dire a proposito della nostra identità.
Per questo motivo, puntualizza p. Radcliffe, «ho sempre resistito alla tendenza di chiedere ai fratelli, prima di un elezione, se avrebbero accettato di fare i superiori. Non sta a me dire se penso di poter svolgere bene quel ruolo. Sta ai fratelli discernere. Loro mi conoscono meglio di quanto io conosca me stesso. Diventare superiore non consiste nel fare carriera. È accettare la voce dei fratelli che dicono: “Crediamo che tu possa fare bene questo servizio”». In questo senso «porre se stessi nelle mani dei fratelli nella professione significa accettare che la propria identità non è completamente nelle proprie mani. La fraternità è un’identità mai definitivamente compiuta».
Se la vita religiosa vuole fiorire, deve essere visibile. «La gente deve sapere che esistiamo. Ma la nostra visibilità non è semplicemente quella di un altro logo o di un’altra marca. Il potere della nostra presenza sta nel significato di ciò che noi facciamo e siamo. In questo senso è sacramentale e parte di quanto Dio dice oggi. La maggior parte degli ordini e congregazioni sono iniziate con alcuni gesti drammatici che hanno parlato del Regno. Come possono parlare le nostre vite oggi? Perché il WWW è pronto per essere veicolo dei nostri segni e sacramenti, se siamo sufficientemente pronti e creativi. E in un mondo che ha sofferto per la scomparsa dei sogni la tentazione è di lasciarsi sedurre dalle promesse del WWW che parlano di felicità e appartenenza. Io credo che i voti ci hanno forgiato portatori di una gioia e di un’appartenenza che trascende l’immaginazione umana, ma che può essere riconosciuta come la nostra più profonda appartenenza».
E. B.
1 RADCLIFFE
T., Religious Life in the World that is Coming to Be, August 7, 2003.