RAPPORTI INTERPERSONALI IN COMUNITÀ

STILI DI ATTACCAMENTO

 

La comunità è luogo privilegiato in cui le persone crescono e rafforzano l’identità vocazionale, attraverso l’amore a Dio e ai fratelli. Decisiva è la storia psicologica che ciascuno porta con séfin dall’infanzia.

 

La comunità religiosa è costituita dalle persone concrete che partecipano alla sua realizzazione, e vi partecipano attraverso la loro storia personale, le proprie gioie, sofferenze, aspettative, memorie, condividendo tutto ciò in un contesto relazionale specifico qual è appunto la vita comune. Sono questi i molteplici doni che siamo chiamati a riconoscere attraverso le quotidiane dinamiche delle relazioni interpersonali. «Se è infatti necessaria una certa maturità, per vivere in comunità, è altrettanto necessaria una cordiale vita fraterna per la maturazione del religioso».1

Prendendo a prestito il linguaggio della psicologia interpersonale, in questo articolo vogliamo vedere come le differenze delle storie personali di attaccamento possono essere occasione di crescita comune, nel contesto delle comunità religiose.

La comunità religiosa è il luogo privilegiato in cui le persone crescono e rafforzano la propria identità vocazionale, attraverso l’amore a Dio e ai fratelli sperimentato nei loro rapporti quotidiani. Questo processo di crescita dell’identità personale si sviluppa sulla base della storia psicologica che ciascuno matura secondo lo stile di attaccamento relazionale che ha imparato a usare per assicurarsi la vicinanza delle persone significative durante la propria infanzia.2

Nelle comunità le persone sperimentano e adattano il proprio stile di attaccamento attraverso i loro rapporti quotidiani, dove ripropongono le precoci modalità di relazione che possono essere funzionali oppure non, a seconda della propria storia relazionale e dell’ambiente interpersonale comunitario.3

La moderna psicologia ha fatto passi da gigante nell’identificare nei processi di attaccamento precoce i prototipi dei modelli di relazione che le persone hanno nella vita reale.4 Cosa si intende per stile di attaccamento? Il processo di attaccamento è un’esperienza interpersonale che influenza, fin dalla prima infanzia, lo sviluppo della persona. In altri termini è un sistema di regolazione delle modalità di interazione con gli altri, che la persona acquisisce e struttura dentro di sé, con cui regola la vicinanza protettiva di chi l’accudisce (la madre, nel tempo dell’infanzia, oppure altre figure di attaccamento nell’età adulta) in particolare quando si trova in situazioni di bisogno, pericolo o vulnerabilità.5

A seconda delle modalità di accudimento da parte dei genitori, il bambino si abituerà ad attivare un proprio stile di attaccamento che poi, nell’età adulta, sarà correlato a specifiche caratteristiche di personalità e a uno stile relazionale proprio. Gli stili di attaccamento possono essere così sintetizzati: l’attaccamento sicuro; l’attaccamento ansioso-evitante; quello ambivalente o ansioso-resistente; e infine l’attaccamento disorientato-disorganizzato. Mentre lo stile sicuro permette alla persona di sviluppare delle rappresentazioni interne di sé e degli altri come altamente desiderabili, gli altri tre portano alla formazione di rappresentazioni che possono ostacolare uno sviluppo relazionale adeguato.

Nel valutare brevemente queste modalità di attaccamento, vogliamo per analogia rilevare sia l’influenza che essi hanno sui comportamenti relazionali vissuti in comunità, e sia la loro evoluzione in un contesto di formazione e crescita interpersonale che dovrebbe caratterizzare ogni comunità religiosa.6

 

MODALITÀ

DI RELAZIONE

 

Anche se molte volte non ne siamo consapevoli, le persone si relazionano tra loro secondo delle modalità che appartengono alla propria storia personale. Le esperienze di attaccamento precoci lasciano tracce molto importanti nella memoria di ognuno, e influenzano le nostre modalità di relazione consolidate attraverso ripetute interazioni di legame e riproposte anche nell’età adulta. In comunità, laboratorio di esperienze relazionali, le persone risentono del proprio stile di attaccamento e allo stesso tempo possono attivarsi per rendere i rapporti con gli altri più autentici e conformi all’amore di Cristo.

 

L’attaccamento sicuro in comunità

 

Abbiamo detto che l’attaccamento sicuro è preludio di uno sviluppo altamente desiderabile. Con questo stile relazionale il bambino appare fiducioso di ottenere, dalla figura di attaccamento, un’attenzione pronta e costante al suo bisogno di aiuto. Questo gli permette di allontanarsi da lei per esplorare con sicurezza l’ambiente e i rapporti con gli altri, sapendo che sarà disponibile a fornire conforto e protezione quando lui ne avrà bisogno.7

Le persone con attaccamento sicuro nell’età adulta sono consapevoli di sé ma anche delle proprie esperienze di attaccamento con gli altri, nonché dell’influenza che le loro relazioni possono avere sulla propria identità. Sono capaci di esprimere le proprie emozioni e di regolarle in base alle situazioni che incontrano, in modo da adoperarle come informazioni utili per coordinare il loro rapporto con gli altri.

Nel contesto comunitario, quanti hanno avuto un attaccamento sicuro tendono ad avere una descrizione realistica e coerente di sé e delle loro esperienze relazionali in comunità. Sono fiduciosi in se stessi e nella propria capacità di adattarsi alle nuove condizioni che la vita comunitaria può presentare quotidianamente, in particolare per quel che riguarda la loro capacità di fronteggiare le emozioni e di vivere le esperienze interpersonali con serenità: infatti, tendono a stabilire legami intimi con gli altri e sono sufficientemente individuati rispetto alla famiglia di origine. Inoltre, sanno contare su se stessi ma sanno anche riconoscere il loro bisogno di affidarsi agli altri, perché sperimentano il rapporto come “base sicura” per attivarsi nell’ambiente comunitario. Ciò vuol dire che hanno fiducia negli altri, e nei loro rapporti tendono a rispettare e a sostenere le persone che vivono con loro, senza per questo annullare se stessi o essere dipendenti.

 

L’attaccamento evitante

 

Nel periodo dell’infanzia lo stile di attaccamento evitante è caratteristico di quei bambini che tendono a esplorare le nuove situazioni in maniera rigida, perché molto legati e dipendenti dalle figure di attaccamento. Per garantirsi la vicinanza e l’aiuto di chi li accudisce, essi si mostrano indifferenti ed evitanti per non incorrere nuovamente in esperienze emotivamente frustranti.

Nella vita adulta queste persone tendono ad essere dipendenti dalle persone significative, e nello stesso tempo danno descrizioni idealizzate e poco coerenti di sé. Sono persone portate a minimizzare o a negare, a livello cosciente, il disagio che vivono nei rapporti interpersonali, disagio che loro disconoscono ma che è percepito dagli altri. In comunità ciò si verifica quando i confratelli che hanno questo stile tendono a ignorare le situazioni conflittuali, e a mostrare una parte esageratamente positiva di se stessi.

Sono poco consapevoli delle proprie emozioni, soprattutto di quelle che riguardano i temi di separazione o di rifiuto da parte degli altri, come succede quando devono trasferirsi da una comunità all’altra, e vivono tali separazioni con indifferenza e rassegnazione, senza esternare i loro vissuti emotivi.

Nei rapporti comunitari si coinvolgono poco, e difficilmente chiedono supporto altrui, perché si mostrano abbastanza autosufficienti e sicuri di poter fare a meno degli altri. Anche il loro coinvolgimento nel lavoro è piuttosto solitario, mancando di volontà a cooperare con le persone.8

 

Attaccamento di tipo ambivalente

 

I bambini che hanno uno stile di attaccamento ambivalente sono diffidenti verso le situazioni nuove e si mostrano molto attaccati a chi li accudisce. Poco sicuri nell’esplorazione, tendono a protestare e a piangere dinanzi all’allontanamento del genitore, con l’intento di assicurarsi in questo modo la sua presenza. Il loro atteggiamento di fondo è l’insicurezza per la possibile perdita della figura di attaccamento, e la resistenza dinanzi a ogni suo tentativo di allontanamento.

Nell’età adulta queste persone continuano a manifestare un atteggiamento di ingratitudine nei confronti delle persone significative (per esempio le persone in autorità). In comunità si mostrano emotivamente molto coinvolti, ma con la tendenza a manifestare un atteggiamento ambivalente nei confronti degli altri: da una parte provano una forte rabbia quando sentono di non essere presi sufficientemente in considerazione e si sentono abbandonati, mentre dall’altra avvertono il desiderio di compiacere e di restare legati e dipendenti dagli altri.

A causa di tale ambivalenza non riescono a distinguere se l’atteggiamento dell’altro è di disponibilità o di abbandono, per cui si sentono vulnerabili, ansiosi, confusi e poco coerenti dinanzi alle richieste dell’ambiente relazionale.

Anche i vissuti emotivi sono percepiti come poco costruttivi e a volte tendono a manipolare le relazioni per ottenere sostegno dagli altri. Infatti, intessono legami possessivi e di dipendenza, per accrescere la stima di sé attraverso il supporto affettivo da parte delle figure significative. Quando si accorgono che l’ambiente comunitario non corrisponde ai propri progetti personali, ecco che rivivono la paura di essere abbandonati, da cui si difendono con rapporti amicali poco durevoli e superficiali.

L’attaccamento di tipodisorientato-disorganizzato

Nella loro infanzia queste persone hanno avuto uno stile di attaccamento strano, disorganizzato e incerto perché non sono riusciti a strutturare un comportamento coerente dinanzi agli atteggiamenti ambigui della figura genitoriale.

Nell’età adulta, questo stile di attaccamento fa riferimento soprattutto ad atteggiamenti e comportamenti relazionali difficili. Molte volte anche nelle comunità religiose possiamo trovare persone che manifestano comportamenti relazionali altamente disfunzionali e problematici. Possiamo riferire a questa categoria le persone che, per esempio, tendono ad atteggiamenti apertamente solitari e poco sociali. Sono poco consapevoli della loro storia personale, e generalmente addebitano i propri problemi alla loro mancanza di assertività, di competitività e di espressività. La ridotta stima di sé li porta a cercare sostegno negli altri, ma quando lo ottengono non ne sono contenti. Sono gli eterni insoddisfatti, incapaci di affermarsi e di affrontare le situazioni. In comunità sono persone che soffrono della solitudine a cui si costringono, e conservano dentro di sé la convinzione che il rapporto autentico con gli altri non esista.9

 

Per una formazione permanente

 

Nelle brevi osservazioni fatte a proposito degli stili di attaccamento abbiamo sottolineato come le esperienze precedenti possono essere usate per guidare le aspettative e i comportamenti relazionali futuri, in particolare nell’età adulta e nello specifico contesto relazionale delle comunità religiose. Tali esperienze, però, non determinano aprioristicamente le relazioni, ma possono mutare con il tempo in funzione di nuove situazioni di attaccamento positivo che la persona può costruire. Questa nozione è molto importante nel contesto della vita comunitaria e in particolare della formazione permanente, perché stimola i confratelli e le consorelle a essere consapevoli delle proprie modalità di interazione, e ad attivare un processo di riorganizzazione della qualità delle proprie relazioni quotidiane.10

Tutto ciò porta ad alcune considerazioni che sono particolarmente utili nell’ambito delle comunità religiose, dove le persone vivono insieme ed attivano delle strategie relazionali che risentono della storia e del vissuto personale di ognuno.

Una prima considerazione viene dal fatto che tali modelli relazionali interiorizzati già nell’infanzia sono in continua riorganizzazione dentro di noi, e possono essere rimodellati in base alle esperienze relazionali che abbiamo nel corso della nostra vita. Nel contesto della comunità questo significa che, se la persona si trova a vivere con persone che danno sostegno e assicurano un margine positivo di autonomia, anche chi ha avuto stili di attaccamento di tipo insicuro (evitante, ambivalente, e infine disorientato-disorganizzato) può contenere i propri comportamenti difficili. Ciò non vuol dire che i vissuti disfunzionali scompaiono, ma per lo meno non esplodono e sono contenuti.

Un’altra considerazione importante è che nei rapporti con gli altri della comunità le persone possono crescere nella consapevolezza del loro stile di attaccamento (nel senso che possono prestare attenzione a come si attivano nei confronti degli altri, se cioè tendono a essere dipendenti, manipolativi, aggressivi, indifferenti…). Ciò impegna ciascuno a essere responsabile della crescita del fratello,11 anche quando ha un comportamento di attaccamento non più funzionale alla situazione attuale.

Con questa prospettiva di maturazione reciproca le persone possono dirsi ciò che non va nelle loro relazioni, ma con attenzione e rispetto, perché ciascuno possa accorgersi e correggere i propri comportamenti non sani. Questo atteggiamento di autentica “correzione fraterna” ha una funzione non solo correttiva ma anche di vera riconciliazione, perché permette ai membri della comunità non tanto di colpevolizzarsi a vicenda quanto piuttosto di conciliare le differenze presenti nell’unico progetto di comunione fraterna.

Infine, l’ambito intersoggettivo dove si svolge la vita quotidiana della comunità può essere una occasione di comprensione empatica, dove le persone, attraverso il quotidiano passaggio dall’Io al Noi12 possono fungere da contenimento e da base sicura per passare da uno stile agonistico o di attaccamento insicuro, fatto di diffidenze, gelosie, pregiudizi, critiche, a uno stile collaborativo dove le singole differenze (anche caratteriali) sono apprezzate e valorizzate nella prospettiva degli obiettivi comuni.

 

Giuseppe Crea

 

 1 La vita fraterna in comunità, n. 37.

 2 G. LIOTTI (1998), La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci, Roma.

 3 Vita Consecrata, n. 51.

 4 G. LIOTTI (2001), Le opere della coscienza, Raffaello Cortina, Milano.

 5 J. BOWLBY (1972), Attaccamento e perdita. Vol. 1, Boringheri, Torino.

 6 La vita fraterna in comunità, nn. 23, 43.

 7 A. PACE (1999), Stile d’attaccamento e percorsi di sviluppo, in «Psicologia, Psicoterapie e Salute», 5(3), 325-342.

 8 K. L. BARTOLOMEW – HOROWITZ L. M. (1995), Stili di attaccamento tra giovani adulti: analisi di un modello a quattro categorie. In L. Carli (ed.), Attaccamento e rapporto di coppia. Il modello di Bowlby nell’interpretazione del ciclo di vita, Milano, Cortina Editore, 229-273.

 9 A. PACE (1999), Stile d’attaccamento e percorsi di sviluppo, in «Psicologia, Psicoterapie e Salute», 5(3), pp. 325-342.

10 P. M. CRITTENDEN (1999), Attaccamento in età adulta, Raffaello Cortina, Milano, p. 26.

11 La vita fraterna in comunità, n. 35.

12 La vita fraterna in comunità, n. 39.