ISTITUTI RELIGIOSI IMPEGNATI NEL SOCIALE
CARISMI E QUALITÀ DEI SERVIZI
Quale rapporto tra la missione del carisma dell’istituto e la qualità dei servizi erogata? Una sintesi dei maggiori problemi implicati e la ricognizione delle strategie di servizio alle persone. Un orizzonte essenziale per fronteggiare un welfare in rapido cambiamento.
Sono quasi undicimila i servizi sociali gestiti dalla Chiesa in Italia. La grande maggioranza di essi è residenziale o diurna, con un 15% relativo a servizi domiciliari. Circa 89mila gli operatori laici che vi lavorano e oltre 200mila i volontari. All’interno di questo mondo il personale religioso rappresenta il 5,95% (19mila, per il 66% donne). Nell’insieme i servizi diretti da religiosi sono il 40%. In un ipotetico servizio con 30 operatori vi sono dunque: direttore/direttrice, 2 religiosi, 18 volontari laici, 8 operatori retribuiti e un obiettore di coscienza.
Nell’ultimo decennio sono cresciuti i servizi dipendenti dalle diocesi e dalla Caritas e sono calati quelli che fanno riferimento alle congregazioni religiose. I religiosi sono più numerosi nei servizi agli anziani e nei servizi residenziali per minori. Gli indicatori parlano di una progressiva minor presenza e originalità da parte della vita religiosa; questo vale anche per il mondo della scuola e degli ospedali che drenano ancora molte energie delle congregazioni.
TRA VOCAZIONE
E MESTIERE
Detto tutto questo, occorre riflettere che nella nostra società gli istituti religiosi (Ir) ancora si pongono sia sul versante dell’aiuto a persone in condizioni di fragilità sociale sia su quello delle cause che producono tali condizioni di sofferenza. Vi è dunque un impatto tra Ir, problemi sociali e delle persone, strutture politico–amministrative dello stato sociale (welfare), che va interpretato allo scopo di comprendere come si trasforma la identità degli stessi istituti in questa tensione che pone sfide a soggetti che operano non solo per “mestiere” ma soprattutto per “vocazione”.
In una griglia di ricerca non esaustiva proposta dal noto sociologo di Padova Italo De Sandre, membro dell’osservatorio del Triveneto sulla VC e della fondazione Zancan, al primo posto va fatto emergere il carisma degli istituti, area di riflessione che non cessa mai di essere rivisitata. La preoccupazione è quella di far sopravvivere il carisma attraverso nuove forme, coniugando figura-messaggio del fondatore con la storia di incarnazione della comunità e mettendo il tutto in relazione con l’esercizio di cittadinanza, in non pochi casi iniziando un cammino intercongregazionale che tende a superare passati isolazionismi.
Rispetto a tutto ciò, vanno rivisitate alcune parole chiave: povertà, lavoro, comunità religiosa, oggi sempre più spesso multietnica (qui De Sandre denuncia il fatto che suore straniere vengono penalizzate in un ruolo di servizio a consorelle anziane e ammalate qui in Italia, anziché essere aiutate a esprimere la loro vocazione nei paesi di origine), collaborazione con i laici. E questo per cogliere contraddizioni tra i segni desiderati e le rappresentazioni che si diffondono nella società sugli stessi Ir.
Al secondo posto va evidenziata l’immagine specifica di Chiesa che contribuisce a generare motivazioni, strategie, stili di lavoro e di cooperazione. In una società come la nostra, dove si apprezza più la funzionalità sociale del servizio che il suo contenuto religioso, si distinguono sempre meno gli elementi che caratterizzano un Ir dagli altri soggetti. Normalmente è dallo stile dei rapporti di lavoro e delle relazioni personali vissute dai religiosi che ci si fa un’immagine dell’idea ispiratrice degli istituti stessi. Altrettanto importante agli occhi dei contemporanei è lo stile spirituale di fondo che li anima.
TRA VECCHIO
E NUOVO
Possiamo passare poi alla lettura dei bisogni sociali, da individuare correttamente per guardare alle cooperazioni possibili e alle soluzioni. Le alternative sono le seguenti: orientamento preferenziale per prendersi cura di persone in strutture collettive oppure servizi centrati sulla vita familiare; orientamento verso grandi organizzazioni che consentono economie con soluzioni standardizzate oppure verso piccole collettività che consentono di massimizzare la qualità delle relazioni.
Perché, e siamo allo snodo delle opere, molte di esse hanno un peso non facilmente alleggeribile, mentre ci sono segni di ritorno a modelli di assistenza. Il rinnovamento delle opere storiche è in corso da tempo, ma è un problema complesso, per le attese e le delusioni che solleva e per novità che intanto emergono. Un nuovo che necessita discernimento circa la qualità delle innovazioni e il bisogno di una vita consacrata alla ricerca di meno regole e lacci (patrimoniali, istituzionali ecc.). Le opere, non va poi dimenticato, hanno un problema di immagine, di una visibilità che rilanci il loro valore simbolico e pratico: forte infatti è la motivazione pragmatica dei benefattori e collaboratori a sostenere l’Ir.
Nel contempo le fonti di risorse appaiono molto differenziate: liberalità, donazioni vincolate a finalità precise, elargizioni più fungibili e flessibili, esiti di raccolta fondi, proventi della professione degli stessi religiosi, finanziamenti in base a convenzioni con enti pubblici o assegnati agli utenti dei servizi (vedi i “buoni scuola”), rette pagate dagli utenti. Il fatto rilevante è che Ir tradizionali, pur essendo privati, operino di fatto come una parte importante del sistema istituzionale dei servizi considerati dalla popolazione e dalle autorità dei governi locali come una risorsa certa e affidabile. L’amministrazione “pubblica” utilizza infatti ampiamente strutture rette da religiosi, mediante convenzioni o con sovvenzioni erogate agli utenti, e a loro volta gli Ir fanno conto sulle erogazioni pubbliche per il proprio funzionamento (al limite per la propria stessa sopravvivenza).
Queste situazioni di reciproca necessità spingono gli Ir ad attuare opportuni adattamenti di indirizzo, a riflettere sulla loro specificità sociale e religiosa, sui loro orientamenti ideologico-politici. Il nodo non sciolto è quello di garantire, anche in caso di non condivisione delle scelte politiche in atto, un’indipendenza di azione e una capacità di relazione corretta nel caso di attività sociali finanziate o cofinanziate dall’intervento pubblico.
POLITICA DEI SERVIZI
E FEDELTÀ AL CARISMA
Proprio l’organizzazione dei servizi, quinto aspetto della mappa, richiede una riflessione sull’aziendalizzazione dei servizi e quindi sui criteri di controllabilità della gestione e sui risparmi dei costi dei servizi. In questo senso si producono tensioni che mettono in questione l’esercizio dell’autorità negli istituti. Lo spirito del “rendere conto” mette a tema infatti l’importanza di attivare una logica di verifica che va oltre la logica (ancora prevalente negli ambienti religiosi) delle buone intenzioni: la valutazione inserisce nel lavoro sociale, sanitario ed educativo, un processo regolato e una procedura trasparente, in modo da dar ragione di ciò che viene fatto sia agli stessi religiosi e laici che lavorano nei servizi sia agli utenti sia alla pubblica amministrazione.
Queste nuove prospettive aprono nuovi campi di cooperazione tra Ir e nuove strategie di ricerca di risorse: una è quella di “fare lobby” per avere voce politica, un’altra consiste nella condivisione di percorsi. In questa cornice va posto il tema dell’invecchiamento delle persone consacrate, la problematica sottesa all’utilizzo di personale laico (si deve chiedere anche uno stile di vita oltre la professionalità? si deve permettere l’accesso alla direzione dei servizi?), l’utilizzo del volontariato senza distorsioni.
La formazione e qualificazione permanente, infine, richiamano la necessità di alimentare continuamente una sensibilità e una capacità riflessiva, di conoscere esperienze e possibilità di aiuto e servizio, per saper essere aperti e qualificati rispetto alle aspettative dei bisognosi e delle istituzioni. Non basta insomma la preparazione teologico–spirituale. Occorre inoltrarsi in un percorso di autoapprendimento per sapere dove si sta andando, cosa poter fare al meglio e sapere dar conto di ciò che si produce.
In questo modo si può essere veramente capaci di interpretare le trasformazioni del welfare in Italia, attraversato da logiche di mercato all’esterno e insieme da mentalità aziendali dirigenziali all’interno, con cauta e ambivalente utilizzazione del volontariato classico e della cooperazione sociale. Siamo sicuramente in una fase di nuovo riconoscimento politico dei servizi degli Ir, dopo anni di critica della sinistra politica all’istituzione ecclesiale.
Occorrerà saggezza per non lasciarsi in futuro condizionare da chi amministra, qualunque sia il colore politico. Occorrerà saggezza per far convivere orientamenti liberisti e comunitaristi e per lavorare, in coerenza con la missione religiosa originaria, dentro le situazioni locali. I quadri di riferimento infatti saranno proprio più a dimensione locale, e il lavoro dovrà sempre più rispondere a logiche di rendiconto della qualità reale delle cose fatte e promesse.
«Il futuro, sintetizza De Sandre, è già, paradossalmente presente. Il lavoro continuerà a essere in condizioni di minoranza E probabilmente i problemi interni agli Ir (invecchiamento, assottigliamento dei nuovi ingressi, formazione e definizione della dirigenza religiosa) costituiranno un orizzonte prevalente dell’impegno. Diventa più complesso, e difficile, il dialogo tra le generazioni di religiosi, che pone problemi in parte ancora non affrontati: il capire i modi di pensare e le aspettative dei giovani non può lasciare senza questioni la stabilizzazione degli adulti, non solo degli anziani. Probabilmente anche il dialogo tra istituti femminili e maschili, che hanno tradizione e stili consolidati che soprattutto da parte delle religiose vengono criticati e pensati diversamente, dovrà cambiare. La stessa organizzazione delle province religiose dovrà essere sempre più riconsiderata, perché all’interno dello stesso Ir vi sono velocità di trasformazione diverse, e diverse attese e domande…
Sicuramente ci sarà il problema di nuove forme di servizio da far nascere e sviluppare, di cui andrà gestita la compatibilità con quelle già esistenti. La tensione tra “vecchio” e “nuovo” sarà forte, e non necessariamente porterà a una maggiore fecondità di vocazioni consacrate. Ma forse la fecondità non si potrà più misurare in termini di quantità di vocazioni per il proprio Ir ma di serietà di vocazioni, consacrate o laicali, che comunque nasceranno e si dissemineranno nella Chiesa e nella società».
Mario Chiaro