TRA SANTA SEDE E REPUBBLICA DELLA GEORGIA

ACCORDO NON FIRMATO

 

Dire delusione è troppo poco. Quello che è successo in Georgia a mons. Jean-Louis Tauran, segretario del Vaticano per i rapporti con gli stati, dove si era recato per la firma di un accordo bilaterale tra la Santa Sede e il governo locale che consentisse alla piccola comunità cattolica di beneficiare di uno statuto giuridico che fino a oggi ancora non possiede, è stato un vero e proprio schiaffo. Tutto infatti era pronto. Poi all’ultimo momento il governo georgiano, capeggiato da Shevardnadze, ci ha ripensato e ha comunicato alla delegazione vaticana di non potere più firmare.

Dietro a questo voltafaccia c’è la chiesa ortodossa locale che si è mobilitata per impedire che l’accordo fosse firmato. A muoversi è stato lo stesso patriarca Ilya II in persona, il quale in un intervento alla televisione ha definito questo accordo «pericoloso per la stabilità della nazione», non disdegnando anche di mobilitare la piazza. Il suo appello al popolo infatti aveva visto alcune centinaia di studenti manifestare sotto le finestre del governo, definito «sgherro del Vaticano».

Se si può capire l’atteggiamento del governo che a poche settimane dalle elezioni non vuole correre il rischio di inimicarsi la Chiesa ortodossa, del tutto incomprensibile appare invece il comportamento del patriarca Ilia. L’accordo infatti non mirava a mettere sullo stesso piano le due chiese, quella ortodossa e quella cattolica. Il testo costituiva un accordo minimo che permettesse semplicemente alla Chiesa cattolica locale, costituita da circa 50.000 fedeli su una popolazione di 4 milioni e mezzo, di godere di uno statuto giuridico e prevedeva anche, senza specificare come, una collaborazione culturale. Nel testo era riconosciuto anche «il ruolo speciale della chiesa ortodossa georgiana».

Niente a che vedere con quanto il patriarca è andato a dire alla televisione, che cioè «la Chiesa cattolica voleva aumentare il suo influsso nel paese» e che questo accordo le avrebbe permesso di costruire scuole, chiese e seminari senza alcun limite.

È superfluo rilevare che mons. Tauran l’ha presa molto male. In una secca dichiarazione, in data 20 settembre, scrive: «… Devo lamentare che lo scopo della mia visita – la firma dell’accordo bilaterale tra la Georgia e la Santa Sede – non abbia potuto realizzarsi, a causa di un ripensamento delle autorità georgiane, all’ultimo momento. Di tale mancato impegno soffrirà principalmente la comunità cattolica di questo paese, che rimane tuttora sprovvista di ogni garanzia giuridica e alla quale va tutta la nostra solidarietà. La delegazione della Santa Sede, inoltre, si è sentita gravemente ferita dall’atteggiamento della Chiesa ortodossa georgiana, la quale ha diffuso notizie non rispondenti a verità, nonostante le sia stata manifestata più volte la disponibilità a informare sull’andamento delle trattative.

I summenzionati avvenimenti non mancheranno di causare grande sofferenza a sua Santità Giovanni Paolo II il quale, in occasione della sua visita nel novembre 1999, invitava tutti gli abitanti di questo paese, e in particolare i cristiani, a collaborare uniti nella ricostruzione morale di questa grande nazione. La Santa Sede auspica che la Georgia, parte di importanti convenzioni internazionali sui diritti umani, sappia rimediare a tale incresciosa situazione».

Se si tiene presente il clima di cordialità con cui Giovanni Paolo II era stato accolto in Georgia nel novembre 1999, di ritorno dall’India dove aveva posto la firma sull’esortazione post-sinodale Ecclesia in Asia (New Delhi, 6 novembre), l’atteggiamento del governo e più ancora del patriarca Ilia è ancor più sconcertante.

In quella circostanza, nel discorso tenuto nel palazzo patriarcale di Tbilisi (8 novembre 1999) durante l’incontro col catholicos patriarca di tutta la Georgia e i membri del santo sinodo, aveva usato espressioni colme di rispetto e di ammirazione verso la chiesa ortodossa georgiana e aveva detto: «Non posso non ringraziare Dio per i risultati dei contatti che vi sono stati negli ultimi anni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. In questo contesto ricordo con piacere i contatti fecondi tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa georgiana, avviati al tempo del concilio Vaticano II, al quale la vostra chiesa ha inviato alcuni osservatori. La visita di sua Santità a Roma ha segnato un atro momento intenso di fraternità e di comunione… Desidero anche ricordare che nel 1991 lo scomparso patriarca arcivescovo David di Sukhumi e Abkhazia partecipò, assieme ad altri delegati fraterni, alla prima assemblea speciale per l’Europa del sinodo dei vescovi… Negli ultimi anni, in seguito alla libertà ritrovata nel vostro paese, i rapporti tra le nostre chiese sono divenuti più diretti.

La Chiesa cattolica, da parte sua, è riuscita ad assicurare la cura pastorale dei suoi fedeli. Spero ardentemente e prego ogni giorno perché la collaborazione tra le nostre chiese cresca a ogni livello, come espressione eloquente e necessaria della testimonianza del Vangelo alla quale noi tutti, ortodossi e cattolici siamo chiamati».

Alla luce di questi ultimi avvenimenti suonano quanto mai artificiose le parole che Ilia II aveva pronunciato all’arrivo del papa in Georgia. Aveva detto tra l’altro: «La salutiamo cordialmente a nome della Chiesa ortodossa georgiana, esprimendo la nostra grande gioia per la sua visita, come pure per la visita di coloro che l’accompagnano… La Georgia ha sempre cercato di rafforzare i suoi rapporti con il mondo cristiano, e questo desiderio è ancora molto forte. Per questo, Santità, la sua visita è particolarmente importante; infatti essa testimonia che il nostro paese aspira a un legame con l’Europa. Speriamo veramente che la sua prima visita storica nel nostro paese aiuti la Georgia a svolgere un ruolo più importante a livello internazionale, a instaurare una pace più solida nella nostra regione, il Caucaso».

Parole certo di cortesia, adatte al clima del momento, ma che ora sono state improvvisamente smentite dai fatti: tra le due chiese è sceso così il gelo.

L’episodio segue a breve distanza di tempo un’altra delusione: quella per il mancato viaggio nella repubblica del Tatarstan, dove il papa intendeva fermarsi, di ritorno dalla Mongolia, programmato verso la fine di agosto. Era intenzione del papa sostare nella capitale Kazan per consegnare alla città e alla chiesa ortodossa l’icona della Vergine di Kazan, custodita in Vaticano, quale segno di fraternità e di cortesia.

Quel viaggio, come sappiamo, era stato duramente contestato dalla chiesa ortodossa russa, nel cui territorio canonico il papa continua a essere persona non gradita, per le note vicende del cosiddetto proselitismo, la creazione delle diocesi, la situazione conflittuale tra cattolici e ortodossi in Ucraina, ecc.

 

Intanto dal patriarca di Mosca, Alessio II, arrivano ancora dichiarazioni ostili a qualsiasi viaggio del papa in Russia, se prima non sarà risolto il problema del proselitismo. Lo stesso presidente russo, Putin, intrattenendosi con gli operatori dei media americani, il 21 settembre scorso, ha dichiarato che il papa, che lui stesso aveva invitato a Mosca durante il suo primo incontro, a Roma, non potrà effettuare questo viaggio «senza il consenso della chiesa ortodossa russa».