INTERVISTA AL VESCOVO DI BAGHDAD
UN GRIDO DALL’IRAQ MARTORIATO
Intervista al vescovo
di Baghdad durante il convegno nazionale di studi delle Acli (Orvieto
5-7/IX/2003). Una vibrante denuncia delle sofferenze di un popolo e di una
Chiesa dalle origini apostoliche. Occorre un risveglio dei cristiani per un
processo di pace che porti un effettivo consolidamento dei diritti umani.
Appare sempre più chiaro che la guerra in Iraq nascondeva intenzioni e livelli di intervento diversi.
Innanzitutto voleva essere un chiaro segnale di “guerra preventiva” in funzione di antiterrorismo, quindi si poneva l’obiettivo di controllo delle risorse energetiche dell’area; ora emerge che quella guerra veniva innescata probabilmente anche in funzione dell’insediamento di un regime di stampo occidentale per spingere un processo di democratizzazione del mondo islamico (andando ben oltre il compito giuridico della comunità internazionale volto a ripristinare sovranità e sicurezza). La domanda di questi giorni è allora la seguente: pace attraverso la democrazia o democrazia attraverso la pace?
La dichiarazione congiunta del 30/04/2003 dei patriarchi e vescovi dell’Iraq indica una direzione sicura su cui incamminarsi per un tentativo di risposta: «Quando Hammurabi1 incise il suo codice sulla pietra di questa terra, il diritto è diventato la base dello sviluppo della civiltà. Quando Abramo ammirò il cielo di Ur, questo gli si aprì, e proprio per questa rivelazione Abramo divenne il padre d’una moltitudine di popoli. Quando il cristianesimo e l’islam si incontrarono, i loro rispettivi “santi” avviarono le due religioni a una rispettosa coesistenza reciproca. In virtù della nostra originaria appartenenza ai popoli più antichi di questa terra, rivendichiamo per noi e per tutti coloro che oggi l’abitano – costituiscano essi maggioranze o minoranze, uniti da una lunga storia di coesistenza – di vivere a pieno titolo in uno stato di diritto nella pace, nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza, secondo la Carta dei Diritti dell’uomo. Pertanto noi, caldei, assiri, siriani, armeni, greci e latini, formando insieme una sola comunità cristiana, chiediamo che la nuova costituzione irachena: riconosca i nostri diritti religiosi, culturali, sociali e politici; preveda uno statuto legale in cui ogni persona, considerata secondo le sue capacità senza discriminazioni, abbia il diritto di prendere parte attivamente al governo e al servizio del paese; consideri i cristiani cittadini iracheni a pieno titolo; garantisca a noi il diritto di professare la fede secondo le nostre antiche tradizioni e le nostre norme religiose, il diritto di educare i nostri ragazzi secondo i principi cristiani, il diritto di organizzarci liberamente, di costruire i luoghi di culto, e, secondo necessità, altri spazi per attività culturali e sociali».
In questo quadro ci sembra opportuno proporre la testimonianza del sessantenne vescovo di Baghdad, Slamon Warduni (massima autorità cattolica dopo la morte del patriarca caldeo Bidawid), il quale, scuotendo la platea aclista convenuta a Orvieto per discernere come “vivere la speranza nella società globale del rischio”, ha espresso fondamentalmente un atto d’accusa di fronte all’orrore della situazione del suo paese. Ha voluto far comprendere che è in gioco la sopravvivenza stessa della presenza ecclesiale in Iraq: 3% di cristiani (in 35 parrocchie) su 22 milioni di abitanti, di cui il 96% musulmani.
Nel suo libro-intervista dal titolo Dio non vuole la guerra in Iraq (Medusa Edizioni) mons. Warduni – ricordando le radici cristiane del primo secolo dopo Cristo (l’evangelizzazione di san Tommaso apostolo con i discepoli Addai e Mari), l’espansione del quarto secolo fino in Cina e India (80 milioni di fedeli, centinaia di monasteri femminili e maschili), il successivo declino dovuto alle dispute dottrinali interne al cristianesimo, alla persecuzione islamica, mongola e infine turca culminata col massacro di caldei e armeni durante le due guerre mondiali – aveva già denunciato la diaspora della sua Chiesa (i fedeli caldei sono 200mila negli Usa e 60mila in Europa) e la responsabilità del presidente americano Bush quando ha invocato la guerra rifacendosi alle imprese dei crociati. Proprio su questo punto il vescovo, sottolineando che i fondamentalisti hanno ritrovato legittimazione anche grazie a queste affermazioni di Bush, afferma con forza che «non è una guerra religiosa questa! Bisognerebbe sempre conoscere il senso di ciò che si fa e di ciò che si dice».
DALLA DITTATURA
AL CAOS
«Ho vissuto quattro guerre in Iraq, ha dichiarato al convegno delle Acli. Con l’Iran, quando il dittatore Saddam era un agnello docile: in quel tempo tutti gli vendevano le armi. Dopo c’è stata la prima guerra del Golfo fatta da Bush senior e il dittatore è diventato un lupo feroce. Perché? Cos’è cambiato? Prima faceva i loro interessi, ora vuol fare i suoi interessi e quindi bisogna ammazzarlo. La terza guerra è stata quella dell’embargo. Potete sopportare questa ingiustizia? I nostri bambini muoiono di leucemia, causata dall’uranio impoverito con cui sono stati bombardati Bassora e tanti altri posti. Dov’è l’Onu? Con l’embargo i nostri giovani sono diventati senza speranza (in dodici anni l’embargo ha prodotto una media di 38 bambini morti su 1000 abitanti; si è calcolato che le sanzioni inflitte dagli Stati Uniti hanno causato, direttamente e indirettamente, la morte di circa 1,5 milioni di iracheni, di cui 750.000 bambini, ndr). E ora veniamo alla quarta guerra, quella del marzo scorso. La città della pace, Baghdad, la città delle “mille e una notte”, è diventata il luogo dalla notte oscura.
Dopo 35 anni di schiavitù, viene data la libertà assoluta e c’è il caos. Furti, saccheggi e omicidi. I nostri giovani non sanno dove andare. Siamo in una grande prigione. Dove sono gli alleati? Quale libertà ci hanno dato? Che sorte è la nostra, se tanti aspetti della nostra vita ora è peggiore di prima? Siamo passati dalla dittatura al caos e il caos può risultare peggiore della dittatura».
Anche con l’aiuto del vaticanista Luigi Accattoli gli abbiamo chiesto di entrare più in profondità nell’analisi della situazione.
Si direbbe che lei non trovi nessun elemento di speranza nella situazione nuova del suo paese.
«Mi dica lei che speranza abbiamo noi oggi! Che possiamo aspettarci per il domani dei nostri bambini? Non abbiamo neanche il coraggio di riunirli per fare le prime comunioni, tanta è la paura dei rapimenti e degli attentati. Ogni anno avevamo sulle duemila prime comunioni, quest’anno solo duecento!».
Cosa si sentirebbe di proporre all’Onu?
«Che le Nazioni Unite si assumano il loro ruolo! Ma se non possono fare liberamente il loro lavoro, allora lascino l’Iraq, almeno cesserebbe questa ipocrisia. Io non dico che l’Onu debba andare via, dico che assuma il suo ruolo decisivo. Voglio dire che deve essere l’Onu a decidere, non altri per conto suo. E poi che realizzi il suo piano, non che stia al servizio dei piani delle due potenze occupanti».
Come spiega la diffidenza del suo popolo nei confronti degli americani?
«Noi agli americani avevamo detto – ben prima che iniziasse il conflitto – che occorreva garantire alla gente i servizi primari, le paghe, l’energia elettrica, il gas per cucinare, l’acqua corrente, la sicurezza nelle strade. Se il popolo vedesse tutto questo direbbe: gli americani ci vogliono bene, ci hanno salvato dalla dittatura e sono qui per darci benessere. Mentre questo al momento non lo possono dire e la diffidenza cresce».
IL RUOLO
DEI CRISTIANI
Come valuta l’atteggiamento delle Chiese cristiane e in particolare della Chiesa cattolica?
«Ci hanno aiutato, ma non hanno parlato con voce abbastanza forte. A eccezione del papa, si capisce! Giovanni Paolo II è stato esemplare e ha parlato sempre con il coraggio del Vangelo, senza paura di nessuno. Ma gli altri sono stati deboli».
Che avrebbero dovuto fare? E che potrebbero fare oggi?
«Nel momento della guerra era facile: il papa aveva parlato con tutta la chiarezza, bastava che ogni Chiesa e tutti i cattolici dicessero che erano d’accordo! Poteva esserci un consenso mondiale. Oggi è più difficile. Ma ugualmente potrebbero parlare perché le Nazioni Unite non siano da noi solo per dare copertura alla politica degli occupanti».
Se non ci fosse stata la guerra, voi avreste ancora Saddam Hussein…
«Lei è sicuro che ci abbiamo guadagnato? Noi ancora non vediamo il guadagno. Le nostre scuole sono chiuse, i nostri ospedali distrutti e così il museo e la biblioteca e tutto! Ogni ministero è stato smantellato meno quello del petrolio: che significa questo? Le armi di distruzione di massa non sono state ancora trovate, ma anche se fossero trovate, che significa? Solo l’Iraq possedeva quelle armi? Solo l’Iraq era sotto una dittatura violenta?».
Lei accusa di mancanza di coraggio le Chiese cristiane, ma non si potrebbe fare la stessa accusa alle Chiese dell’Iraq?
«Non si può paragonare la parola di chi è libero con quella di chi è prigioniero! Per le Chiese che sono nel vasto mondo era questione di coraggio nel parlare, a volte, contro gli interessi dei loro governi, mentre per noi era questione di vita o di morte. Parlavamo come potevamo e a chi potevamo. Parlare pubblicamente sarebbe stato un atto di tradimento».
Qual è il suo giudizio sull’amministrazione degli americani per garantire un autogoverno democratico?
«C’è almeno qualcosa di positivo: abbiamo bisogno di un governo anche se provvisorio. Non possiamo infatti andare subito alle elezioni, non siamo abituati ancora alle elezioni democratiche. La concezione della libertà in medio oriente non è quella dell’occidente».
Quale dovrebbe essere oggi il ruolo del cristianesimo nel medio oriente asiatico e in particolare degli ordini religiosi?
«Il ruolo fondamentale è costituito da una vita cristiana vissuta fino in fondo. Gesù ha detto che saremmo stati riconosciuti come discepoli dall’amore reciproco e dalle opere. In particolare, dal nostro splendido passato, conserviamo l’ordine maschile caldeo di sant’Ormisda del settimo secolo e tre ordini femminili: le suore caldee dell’Immacolata, le suore del Sacro Cuore e le domenicane siro-caldee. Anche i musulmani, che considerano sacro il matrimonio, di fronte a queste suore provano rispetto. Tutti vogliono mandare i loro figli alle loro scuole. Sono senz’altro un ponte per rinforzare quel dialogo con l’islam moderato che abbiamo sempre continuato a tessere».
Un’ultima domanda: come ministro del Vangelo qual è la sua visione attuale dell’umanità?
«Se viene meno la considerazione del punto di vista di Dio, che è Amore assoluto, non può che prevalere l’interesse particolare che induce sempre all’egoismo, alla divisione, all’odio, alla guerra. Si respira un’atmosfera di morte, eppure tutto il mondo sembra infettato dalla tentazione di volersi liberare di Dio. Ecco perché chiedo ai cristiani di svegliarsi, di muoversi, di reagire. Ricordo che nel 2002 abbiamo visitato tutto l’Iraq con le reliquie di santa Teresa di Lisieux: questa venuta ci ha ricordato che siamo figli di Dio. Per questo insisto nel dire che l’unico modo per risolvere questa crisi è la preghiera, che il solo che può fare qualcosa è Dio».
a cura di Mario Chiaro
1 Re di Babilonia, (1792-1750 a. C.), il cui regno segnò il periodo della massima espansione del dominio babilonese e il culmine della sua civiltà. Il suo nome è legato al codice di Hammurabi, testo normativo contenente 282 disposizioni di diritto pubblico e privato, inciso in caratteri cuneiformi in un monolite scoperto nel 1902, ora conservato a Parigi.