GLI JUNIORES E I LORO PROBLEMI

 

Gli juniores spesso vivono con angustia i problemi che si presentano in questa tappa della loro vita e li vivono da soli. E questi problemi non sono pochi. Proviamo a enumerarne alcuni:

– lo/a junior avverte che la sua vita si fa più complessa ed esigente. Come integrare armoniosamente le diverse dimensioni: preghiera, studi, comunità, apostolato? Ciò suole provocare un forte grado di conflittualità e di pesantezza che stanca e logora e non l’aiuta a crescere;

– a volte il sovraccarico di studio o di attività rende difficile il lavoro interiore e occulta la paura di far fronte a ciò che si vive. Di qui la pericolosa tendenza di tramandare i problemi;

– lo/a junior s’accorge di avere uno spazio maggiore di libertà e di autonomia: deve disporre e organizzare il suo tempo; gli viene data maggiore fiducia e deve correre i rischi della propria libertà. Sempre più dovrà prendere l’iniziativa per mettersi in relazione con i propri compagni, i maestri e superiori;

– lo/a junior sente a volte che l’urto tra il proprio idealismo e la realtà è duro e persino brutale e può scuoterlo fino alle fondamenta; inoltre, né l’uno né l’altro sono sempre coerenti con ciò che chiedono e si aspettano dagli altri; questa specie di divisione interiore diventa una sofferenza;

– il maggior contatto con la realtà esterna e i suoi conflitti (socio-politici, economici, culturali…) sono delle sfide molto forti che non sempre lo trovano in possesso di una sufficiente capacità di discernimento né sostenuto da una comunità formatrice in cui trovare fraternamente le soluzioni opportune;

– in questa tappa di solito si verifica uno “sblocco affettivo”, sia per il tipo di vita più aperto rispetto al noviziato, sia per il rapporto più frequente con le persone dell’altro sesso, sia nel campo apostolico e nei luoghi di studio. In alcuni casi lo junior può correre il rischio di una certa regressione adolescenziale che si manifesta in un comportamento esteriore ambiguo, poco maturo. Alcuni formatori si meravigliano che appaiano con grande evidenza problemi del mondo affettivo che sembravano risolti;

– a tutto ciò bisognerebbe aggiungere la fragilità psicologica in non pochi giovani di questa generazione: una maggior frequenza di problemi dovuti a una fragile struttura della personalità, al poco sviluppo e impiego delle risorse dell’io; carenze di base molto primarie: inconsistenze delle figure paterne, dei modelli di identificazione (giovani che provengono da famiglie disarticolate o infrante portando con sé problemi non risolti e ferite molto profonde che tardano anni a cicatrizzarsi), ecc.  Questi giovani sogliono essere molto vulnerabili alla solitudine, alla frustrazione, al fallimento. Hanno paura del confronto, del giudizio degli altri, e della correzione fraterna per l’instabilità che questi esercizi producono in loro: il soggetto si sente destabilizzato, disarticolato interiormente e sorge il timore di sentirsi escluso dal gruppo.

Per tutte queste ragioni, lo juniorato è di solito una tappa di alti e bassi che rivelano spesso poca maturazione integrale. Manca una certa stabilità. In non pochi casi si avverte la mancanza di una maggior solidità di convinzioni riguardanti la fede e la sequela di Cristo e la sua causa. Si tratta dell’opzione fondamentale che hanno fatto e che deve articolare il significato dell’intera loro esistenza.

 

Senza pretesa di essere esauriente, ho enumerato una serie di problemi che preoccupano i formatori, e a ragione. Sono convinto che sia molto ciò che è stato fatto, ma anche non poco quello che resta da fare. Penso che sia un fatto caratteristico nello juniorato non solo attraversare delle crisi, ma vivere in una certa crisi. Credo che investire in questa tappa, senza risparmio di sforzi e di energie voglia dire essere chiari di fronte al futuro della congregazione. Domani avremo i religiosi/e che oggi siamo capaci di formare. Lo juniorato è una tappa difficile, con delle sfide impressionanti. Bisogna preparare i nostri giovani ad affrontarle serenamente. E questo soprattutto quando manca un accompagnamento chiaro, prossimo e personalizzato.

A tutto ciò bisognerebbe aggiungere una solitudine che pesa sui nostri giovani come una pietra quando avvertono che in comunità quello che conta è l’efficacia apostolica a scapito di una condivisione serena della fede, della ragion d’essere e di lavorare, di ciò che pensano, sentono, soffrono e sognano. S’accorgono che nella loro comunità tutti sono presi dalla fretta e corrono di qua e di là. Non trovano la comunità di vita sognata e iniziata nel noviziato, ricca di rapporti personali, di accoglienza e di sostegno, di stima dell’altro, del diverso, di rispetto e di dialogo, di stimolo e perdono, di gratuità e di festa. A volte, invece, trovano una vita in comune segnata da pratiche istituzionalmente stabilite, ma povera di amicizia autentica. Come mi diceva una giovane: «Sono stanca di tanta vita in comune, ma affamata di una comunità di vita che valga la pena».

Ma c’è anche dell’altro. La vita nello juniorato si complica a tal punto che costa uno sforzo eroico mantenersi fedeli alla stessa preghiera personale. Per molti non è cosa da poco adempiere alle preghiere comuni. A volte questa preghiera “da cuore a cuore”, come direbbe santa Teresa, diventa un “riempitivo” tra le lodi e l’Eucaristia. In questo modo senza accorgersi si spengono le brace di quel desiderio di familiarità con Dio, che è amicizia, passione, riposo, motivazione definitiva e felicità. Emerge così l’impiegato del Regno e si perde la figura del testimone del Signore. Fino a tanto di potrebbe giungere!

 

Questo potrebbe essere il risultato finale di quanto stiamo dicendo. Se manca la passione per Cristo e per il Regno, si perde la motivazione ultima e globale di tutta la vita religiosa e anche la gioia e la felicità che sono il loro segno esterno.

Naturalmente, non trovando la felicità nel senso che il tesoro nascosto nel campo, per quale abbiamo venduto tutto (cf. Mt 13,44) va perdendo il suo valore, emergono altri valori che abbagliano maggiormente. Non è raro, pertanto, che il/la giovane, in una situazione del genere, sia preso dalla tentazione di pensare di avere sbagliato strada e si scateni nel suo cuore una lotta intima tra il desiderio di rimanere fedele alla parola data e quello di cercare altre strade di felicità che non trova nella vita religiosa.

Ci sono quelli che si manterranno fedeli, nonostante tutto, bene accompagnati e sostenuti, riuscendo a chiarire una situazione così dura, e altri che soccomberanno perché la loro forza di resistenza è limitata. E sono molti.

Si pone la domanda: è possibile evitare questa crisi che si soffre nello juniorato?