BEATI COLORO CHE PREGANO DA POVERI

 

Uno spirito permeato dalla povertà come disposizione essenziale, purificato da ogni attacco e consolazione: è la via della preghiera da percorrere di povertà in povertà.

 

La povertà non è amata, anzi è ritenuta contraria alla tendenza naturale dell’uomo.Anche la povertà nella sua forma più nobile, la povertà dello spirito, è normalmente ritenuta una corona di gloria. La prima delle beatitudini può essere tradotta in questo modo: beati coloro che hanno una preghiera di poveri, l’unione con Dio è per loro.

Non si tratta di qualsiasi povertà o di una qualsiasi beatitudine; si tratta della prima beatitudine e della forma essenziale della povertà.

A prima vista sembra che la preghiera di poveri debba portare con sé ogni soddisfazione perché è detta beata, ma è il rapporto di Cristo con la povertà che determina la dimensione cristiana della preghiera come preghiera di poveri: Cristo povero e, con lui, di poveri.

Per questo non sono sufficienti le “povere preghiere”, quelle proseguite nell’aridità del deserto, a volte scosse da tentazioni in violente burrasche, attraversate da divagazioni inverosimili o angosciate dalle preoccupazioni materiali del quotidiano tirannico.

L’impotenza strazia e trafigge, l’aridità stanca, il vuoto interiore crea nemici; grande è la tentazione di fuggire.

In questa situazione l’anima non ha luce che per la propria miseria; la sua povera orazione non le rivela nella notte che un paesaggio di rovine; l’alba è ancora troppo lontana per essere percepita; si leverà un giorno su questi ruderi che l’ingombrano penetrandoli fino al centro più profondo.

Che se ne abbia coscienza o no, l’orazione situa l’anima nello splendore del volto di Dio e la espone al suo sguardo, alla sua luce, offrendo un lavoro purificante e trasformante. San Giovanni della croce ha analizzato e chiarito questa progressiva liberazione da forze tenebrose che la preghiera porta in sé.

È un’avventura che il santo considera una ripetizione dell’esodo dei figli di Israele verso la terra promessa, un passaggio, una pasqua dalla terra della schiavitù alla terra della libertà.

È la libertà come disposizione essenziale: povertà dello spirito, purificato da ogni attacco, da ogni consolazione e da ogni percezione naturale delle cose divine e umane: una povertà nuova e felice che procura l’unione a Dio.

Questo è il cammino della povertà di spirito a cui pensa  Gesù nel discorso della montagna.

Tale è la via di preghiera da percorrere di povertà in povertà.

Nella terra della povertà si può restare per anni.

Invisibili tappe si compiono; una dopo l’altra le illusioni cadono, le impazienze si appianano; di distacco in distacco l’orazione si libera da tutte le sue ricchezze che la impoveriscono ed è in questo modo che a poco a poco la pazienza di Dio sotto l’effetto congiunto della povera preghiera di colui che avanza penosamente si muta in preghiera del povero.

Il segno distintivo di questa povertà è preciso. Qui non ci si lamenta più di sentirsi poveri (perché ancora si è poveri). Vi si trova al contrario gioia e si vorrebbe sentirsi ancora più poveri.

È la dolce pace profonda che sta al di là delle tempeste che agitano la vita. 

È il passaggio da una povertà tormentata a una povertà serena, da una povertà mal sopportata a una povertà accolta e amata.

Il povero di Dio segue la stessa direzione perché “là dov’è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore” (Mt 8,21).

È questa la povertà della preghiera che prepara alla somiglianza con Cristo povero.

Il povero non cerca il regno di Dio in questa terra. Anche se l’aridità durasse tutta la vita, il povero è risoluto a non abbandonare Cristo che cade sotto il peso della croce, disposto ad agire in tutto come lui ha agito (s. Teresa d’Avila).

È il vigoroso programma di Giovanni della Croce, da vivere con molta dolcezza e umiltà: il povero non cerca se stesso in Dio, perché ciò è molto contrario all’amore.

Il povero sa che non vi è terra promessa che al termine di un lungo esodo, e che Dio non domanda tanto se non perché vuole donare di più.

Quando non si ha più niente (in questo sta la libertà), Dio può donare tutto, cioè se stesso (è questo il Regno).

Sulle ceneri dell’egoismo, anche il più sottile della riflessione dell’io sull’io che prega, si costruisce la gioia più pura che nessuno può sognare.

Quando voi vedrete che i vostri desideri sono nella tenebra, che i vostri affetti sono nell’aridità, che le vostre potenze sono paralizzate e incapaci di ogni esercizio della vita interiore, non affliggetevi; al contrario considerate questo stato come una felice fortuna: Dio vi ha liberato a poco a poco da voi stessi; a piccoli passi camminate verso la preghiera povera.

 

Antonio Margaritti

Da La qualità della preghiera cristiana,Glossa, Milano 2002