XL SESSIONE DI FORMAZIONE SAE

EUROPA CULTURE E RELIGIONI

 

La sessione di formazione del SAE si è dedicata al tema: Leggere i segni dei tempi: Europa, culture, religioni. Operazione difficile che non ha permesso una sintesi matura.

 

In tempi di pensiero unico, il Segretariato attività ecumeniche (SAE), giunta alla quarantesima edizione, continua a voler essere rete di pensiero plurale e crocevia di incontro.

L’ecumenismo oggi si presenta  sia come approfondimento della comprensione del Vangelo sia come fenomeno chiamato a compiere una interpretazione della storia.

Nella giornata centrale  si è svolta la vivace tavola rotonda su Leggere i segni dei tempi: il cammino delle chiese in Europa. Il metropolita ortodosso Athanase Hatzopoulos si è soffermato sui motivi per cui nel Preambolo della Costituzione europea è necessario un chiaro riferimento ai valori cristiani: «È importante ai fini di un corretto dialogo tra le istituzioni civili europee e le chiese, in modo tale che le diversità di lingua, storia, fede, non siano più motivo di divisione ma di reciproco arricchimento». Volgendo lo sguardo in particolare ai paesi dell’est, il relatore ha affermato: «Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli è quello più impegnato nel coinvolgimento degli altri ortodossi, ma anche il patriarcato di Mosca dimostra attenzione ecumenica e soprattutto la chiesa ortodossa romena guarda con speranza all’Europa. Qualche problema in più si rinviene invece in Ungheria e in Georgia».

 Il cattolico Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali europee (CCEE), ha individuato alcuni segni dei tempi che preoccupano le chiese: «Il primo è sintetizzabile in una domanda: si può sopportare lo scandalo di un’Europa unita con chiese divise? Il secondo riguarda la paura delle chiese di fronte al confronto interreligioso, che ha subito una battuta d’arresto dopo l’11 settembre e con  la crisi in Iraq. Oggi è il mondo laico ad avvertirne maggiormente l’urgenza: ma è bene che le chiese si riapproprino di ciò che è innanzitutto un problema interno alle religioni». In terzo luogo ha evidenziato un crescente interesse per il tema dell’identità. «Ben venga la stagione dell’identità ma per scoprire che il rapporto con l’altro appartiene alla nostra identità».

Il pastore battista Luca Negro, segretario per le comunicazioni della Conferenza delle chiese europee (KEK), si è invece soffermato sulla Charta Oecumenica : un “sogno” delle chiese stesse, non solo un testo ma un vero e proprio processo non ancora ultimato. Ha sottolineato come la Charta abbia scelto impegni poco numerosi ma ben definiti: tra questi, quello cruciale della condivisione eucaristica. «In realtà è anche l’impegno più disatteso. Ma non bisogna scoraggiarsi di fronte alla consapevolezza che le chiese non sono ancora pronte».

Il giorno seguente la conferenza a due voci (Leggere i segni dei tempi: questo tempo alla luce del Vangelo) ha visto confrontarsi Enrico Chiavacci (facoltà teologica di Firenze) e Giorgio Girardet (facoltà teologica valdese). Alla luce della costituzione conciliare Gaudium et Spes, mons. Chiavacci ha precisato l’espressione segni dei tempi come “l’intero complesso dell’esperienza umana nel nostro tempo”, con la relativa riflessione che si esprime in forme diverse nelle culture e nelle religioni. Tre i segni ricordati: la tendenza a un imperialismo planetario, incarnata oggi dagli USA e dalla finanza mondiale con il suo progetto di dominio economico e militare sull’intera umanità; i movimenti per “un altro mondo possibile”, germe di un’umanità nuova e perciò temuti dal potere; la ricerca scientifica volta a pilotare le dinamiche dell’evoluzione, con prospettive ancora sconosciute. Si tratta di sfide di fronte a cui i cristiani sono chiamati a far fronte comune nell’annunciare il Vangelo. Secondo il pastore Girardet invece, caratteristica della nostra società è la frattura tra realtà pubblica e realtà privata: «Assistiamo a una fortissima concentrazione del potere politico, economico, militare, mediatico. Siamo vittime di un vero e proprio impero che però si presenta tollerante, sia per una sua flessibilità storica che per l’insicurezza che lo caratterizza, resa più evidente da quanto accaduto l’11 settembre e dalla esagerata dipendenza dalla tecnologia. Possiamo battere militarmente l’Iraq in una settimana, ma nelle nostre città se manca l’energia elettrica si ferma tutto». Di fronte al disorientamento, «la volontà di reagire si può esprimere anche valorizzando i luoghi in cui il privato-non-pubblico può mettersi in relazione con un altro privato-non-pubblico, per esempio il comitato di quartiere, le comunità cristiane minoritarie, le cooperative agricole, i gruppi di volontari, le comunità di vita paramonastiche, lo stesso SAE».

 

SEGNI, STORIA

E SECOLARIZZAZIONE

 

Da questi accenni si può già valutare la questione del rapporto tra storia, profezia e segni dei tempi: due le prospettive emerse (interventi di Bianchi, Ruggieri, Ferrario) in una contrapposizione che deve farsi complementarietà. Da un lato sta il mistero dell’inattualità profondamente attuale di Dio, la cui parola testimonia di un’alterità rispetto alla storia (vi sono eventi – clamorosi, spettacolari, risonanti – ai quali occorre dire no: non meritano di essere letti, nulla ci dicono circa il Regno che viene). Dall’altro, Dio è colui che è, che era e che viene: dobbiamo cercare di decifrare le tracce del suo venire, nella luce messianica che sgorga dalla croce.

Perciò Morandini, nella sintesi finale, ha giustamente aiutato a guardare in altre direzioni. La teologia della liberazione (Boff, Gutierrez, Sobrino) ricorda che i segni vanno letti dal rovescio della storia, con l’occhio dei poveri. La teologia femminista (Ruether, Schluesser-Fiorenza) invita a prestare attenzione alle voci di donna, spesso inascoltate. Metz richiama con insistenza alla memoria pericolosa del Crocifisso, solidale con i sofferenti e gli schiacciati della storia. Pattaro (Cereti in questa sessione) ci ricorda che la pace è un sacramento del Regno, mentre la guerra (anche quella che ci dicono giusta) non disegna che la lontananza da esso. Moltmann infine ci invita a non dimenticare la sofferenza della creazione, in sintonia col gemito dello Spirito (Rom 8, 18-23).

In realtà una lettura corretta dei segni dei tempi non può non scontrarsi con il problema della secolarizzazione. L’attuale interesse per il religioso ha colto di sorpresa coloro che avevano previsto una diminuzione progressiva dell’incidenza sociale delle religioni fino all’esaurirsi della stessa domanda religiosa. In realtà la secolarizzazione (intesa esattamente come “sottrazione di aree di vita e di pensiero al potere religioso”)è un processo ancora in atto, che impone la purificazione della fede e della pratica religiosa. Questa secolarizzazione va inquadrata in un processo sociale e culturale molto più ampio e più antico, descrivibile con tre binomi contrapposti: sacro/profano, secolare/religioso, laico/prete.

 

QUALE IMPEGNO

PER I CRISTIANI?

 

A questo punto è emerso l’interrogativo fondamentale: come una comunità cristiana può annunciare e testimoniare il regno che viene, in una società ampiamente secolarizzata come quella occidentale? Nel gruppo di studio dedicato a questo tema (con il cattolico Molari e l’ortodosso Zelinsky) la discussione si è polarizzata su due temi. Da una parte la purificazione della vita di fede e dall’altra l’esigenza dei nuovi linguaggi per rendere significativo ed efficace l’annuncio evangelico (la secolarizzazione ha posto in radicale discussione alcuni modi di vivere la fede e alcuni suoi contenuti dottrinali, legati a modelli culturali passati).  Assistiamo, anche nella chiesa, al conflitto tra chi cura maggiormente il perpetuare delle forme e delle strutture e chi non teme di scomparire come lievito nella massa per lasciare spazio a una nuova creazione dello Spirito. Si contesta in questo modo l’uso del sacro come medicina e non come alimento della vita spirituale. Per impostare una nuova evangelizzazione occorre ricordare che l’esperienza centrale che una comunità evangelizzatrice propone è l’incontro con la misericordia di Dio, poiché l’unica esperienza concreta di salvezza nel tempo è la remissione dei peccati da parte di Dio.

Quanto ai linguaggi secolari da utilizzare, occorre presentare l’azione di Dio evitando le formule antropomorfiche che attribuiscono a Dio il modo di agire delle creature. Dio creatore non fa le cose ma le crea, fa in modo cioè che le cose si facciano e fioriscano secondo le proprie leggi interne. Così la preghiera che non deve essere concepita come una sollecitazione a Dio a fare cose nuove ma come la sintonia profonda e intensa con la sua parola/azione che consenta il fiorire di forme nuove di umanità nelle creature. Anche il miracolo in questa prospettiva, più che supplemento da parte di Dio alle carenze umane, è l’accoglienza più profonda da parte delle creature della potenza creatrice di Dio.

Questa riflessione va fatta nella convinzione che tutte le culture e le religioni hanno un proprio dono da consegnare al mondo. Per i cristiani nella secolarizzazione il dono è quell’amore chiamato agàpe: l’amore di Dio accolto e fatto fiorire come amore dei fratelli (“da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”, Gv 13,34). Da qui derivano molte conseguenze: la scelta di essenzialità e condivisione per contestare una società fondata sull’avere e sull’affermazione di sé; la presa di distanza dalla mondanità, la denuncia delle strutture ingiuste e lo smascheramento delle idolatrie. Legge dunque davvero un segno colui il quale si chiede: dove mi colloco rispetto ad esso? dove intende collocarmi Dio? Il nostro Dio, infatti, non si manifesta che in storie specifiche e nei testi in cui esse hanno preso corpo, che ci sono dati perché li leggiamo e li comprendiamo nello Spirito. Noi siamo interpretazione credente.

Che dire, allora, della lettura segni dei tempi praticata dalla comunità del SAE? Delle tre parole del sottotitolo è l’Europa ad avere maggiormente assorbito l’attenzione, focalizzandola sull’attualità in cui si disegnano i rapporti tra stati, tra culture, tra chiese, in una dinamica di costituzionalizzazione. D’altra parte, proprio questo ambito così laico ha richiamato alla dimensione ecumenica: solo quando le chiese hanno saputo collaborare ecumenicamente, sono state in grado di elaborare proposte che la comunità politica ha potuto accogliere; quando hanno proceduto in ordine sparso, sono risultate irrilevanti. Se l’autenticità evangelica si fa azione in rete, allora può diventare segno efficace del Regno, che lascia traccia nella storia, che la orienta. Per le chiese, insomma, c’è la necessità di star dentro il processo europeo, di collaborarvi, ma per far crescere anche in esso i segni del Regno.

 

Mario Chiaro

 

1 Il convegno (Chianciano Terme, 26 luglio-1 agosto 2003) si è sviluppato a partire da una lettura della profezia (Enzo Bianchi), con una prospettiva sui segni dei tempi a livello teologico (Ruggieri e Ferrario), storico-politico (Rusconi), antropologico (Mancini).

2 La Charta oecumenica, elaborata in seguito agli incontri di Basilea (1989) e Graz (1997) tra le Conferenze delle Chiese Europee (CEC) e il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE), è stata firmata a Strasburgo il 22 aprile 2001: contiene le linee per una crescente collaborazione tra le Chiese in Europa, in vista della promozione di una comunità visibile delle Chiese e una loro comune responsabilità nel plasmare insieme il continente.