Formazione permanente

IL PROGETTOPERSONALE DI VITA

 

Per alimentare un cammino di fedeltà creativa verso la santità non è sufficiente conoscere il carisma dell’istituto: è necessario che il dono di grazia assuma i contorni più precisi di un progetto personale di vita.

 

l consigliere generale per la formazione dell’istituto salesiano, rispondendo al dettato capitolare relativo alla formazione permanente, ha proposto all’istituto un documento che suggerisce modalità per la elaborazione del progetto personale di vita da parte dei confratelli.

Vorremmo mettere in evidenza alcune riflessioni utili per tutti i consacrati.

 

PERCHÉ FARE

UN PROGETTO PERSONALE?

 

È spontaneo, osserva don Cereda introducendo l’argomento, porsi questo interrogativo poiché senza chiarezza sulle motivazioni personali non è possibile fare un progetto personale di vita. Per aiutare i confratelli a formulare il proprio progetto personale egli ne suggerisce alcune, caratterizzate da un timbro esistenziale e dinamico.

Ha senso fare un progetto personale, anzitutto, perché «la vita è sempre in costruzione e in crescita; è un progetto che si va realizzando». Solo Dio conosce pienamente il cammino di ciascuno, perché nessuno è frutto del caso, ma «prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo» (Ger 1,5). Mediante il progetto, continua don Cereda, «tu cerchi di discernere la strada che Dio ha tracciato per te; scopri chi sei chiamato a diventare e quindi riconosci la tua identità; proietti la tua vita nel futuro, proprio come pensi che Dio la vorrebbe».

Questa proiezione sul futuro, frutto di discernimento, crea poi la direzione per la vita presente e futura. La santità è una chiamata di Dio che viene accolta davvero dall’uomo quando in lui diviene progetto. «Prova a comporre i mille pezzi di un puzzle – annota don Cereda – senza aver antecedentemente il quadro del “prodotto finale”!»: quando è chiara la meta, è più facile far convergere tutti gli elementi della vita quotidiana – atteggiamenti, rapporti, esperienze e attività – verso il suo raggiungimento.

In terzo luogo, la tensione verso una meta unifica tutta la vita della persona e aiuta a superare la frammentazione. Passato, presente e futuro si saldano in un’unità di significato secondo le proprie scelte fondamentali. Il progetto personale si rivela strumento di unificazione. Man mano che avanza l’età e si assumono compiti di responsabilità, si fanno esperienze che richiedono di essere integrate in una nuova sintesi vitale per continuare a crescere nella vocazione, nella vita di comunione, nella interiorità apostolica, nella santità.

Il cammino di unificazione della vita si coniuga poi con la verifica del vissuto. «Tu cominci a vedere te stesso più lucidamente nei pregi e nei limiti; ti accorgi di ciò che devi cambiare, se vuoi realizzare quella identità di te stesso in obbedienza alla chiamata di Dio. Diventi sempre più convinto della necessità e perfino bellezza della nuova impostazione che vuoi dare alla tua esistenza; ti senti spinto a fare ogni sforzo per convertirti, per lavorare su te stesso, per prendere decisioni difficili, proprio per assicurare la realizzazione di quella identità che ti attira e ti promette gioia e soddisfazione». Così il progetto diventa un mezzo di conversione e di rinnovamento e porta a essere più autentici e fedeli nella vocazione.

In questo modo il consacrato assume responsabilità per la propria vocazione e per la crescita verso la santità. È possibile trascorrere una vita dispersa in mille attività e non essere consapevole dei blocchi che ostacolano la crescita personale: vivere la vocazione adempiendo norme, accettando ruoli, lasciandosi condurre dagli avvenimenti, seguendo i gusti del momento, le idee del contesto, i valori altrui. È come avere tutti i materiali necessari per costruire la casa, ma non avere un piano. «Invece mediante il progetto personale, guidato dallo Spirito di Dio e dalla sua grazia, tu diventi protagonista della tua crescita, esercitando la tua libertà, definendo la tua identità di consacrato, diventando ciò a cui Dio ti chiama».

 

COME FARE

IL PROGETTO PERSONALE?

 

Il progetto – chiarisce don Cereda – non si riduce a una semplice dichiarazione di intenti o di pii desideri, né a un piano di qualificazione che ognuno elabora per se stesso e su cui dialoga con il suo superiore. «Il progetto personale di vita è la descrizione del traguardo che vuoi raggiungere e dei passi che intendi fare per arrivarci, tutto mirato alla crescita in fedeltà creativa alla tua vocazione di consacrato apostolo». Il suo scopo ultimo è la santità, nell’identità vocazionale ricevuta, vero e proprio cammino di santificazione personale, e perciò di realizzazione di sé.

Il progetto personale di vita è un processo di discernimento. Richiede perciò un tempo di silenzio e raccoglimento per essere steso, per esempio durante il ritiro di inizio d’anno o durante gli esercizi spirituali. Ponendosi davanti a Dio gli si chiede ciò che vuole da noi nel posto in cui ci troviamo e con le responsabilità che abbiamo.

Per indicare come formulare il progetto personale di vita, don Cereda propone un percorso in tre passi.

«Nel primo passo si tratta di individuare la chiamata di Dio». Ogni consacrato ha nelle mani le Costituzioni e la Ratio, che delineano la figura del consacrato nel suo carisma specifico; il progetto provinciale di formazione descrive l’attuazione di quell’identità nel contesto della provincia; il progetto comunitario offre un quadro più preciso di che cosa Dio aspetta da ciascuno e dalla comunità per compiere la missione. Ogni consacrato è chiamato a concretizzare tutte queste indicazioni nella sua realtà personale hic et nunc.

«Dio parla al tuo cuore mediante lo Spirito. Se ti mantieni aperto, ti accorgerai degli ambiti della tua vita, dove c’è più bisogno di crescere. Dio si serve anche di persone, come un amico, la guida spirituale o il confessore, i quali ti possono aiutare a discernere la tua situazione. Apri loro il tuo cuore e parla delle tue relazioni, dei tuoi timori, delle tue scoperte. Ascolta i movimenti dello Spirito in te. Ti suggerisco di dare uno sguardo ai diversi aspetti della vocazione salesiana e di trovare ciò in cui senti che Dio ti chiede un impegno per l’anno che inizia.

Tu ora stai pensando non alle cose che intendi fare, ma ai traguardi che Dio ti ispira e vorresti raggiungere, che ti promettono un senso di gioia e rappresentano un passo avanti nel cammino della tua fedeltà vocazionale. Tu stai formulando per te stesso la visione di ciò che Dio ti chiama a essere. È importante che questa visione del futuro non sia descritta come qualcosa di intellettuale o freddo, ma come qualcosa che ti appassiona, attira e stimola, che risponde ai tuoi desideri e alle tue aspettative, che indica le possibilità che possono risultare dal tuo impegno. Più il traguardo ti afferra ed entusiasma, più ti sentirai deciso nei passi da fare per conseguirlo».

Avendo identificato ciò a cui Dio chiama, viene il momento di considerare il secondo passo, cioè la situazione attuale: quali siano i progressi e le debolezze, le capacità e le possibilità, le limitazioni e i condizionamenti negativi.

Generalmente – fa notare don Cereda – c’è la tendenza a parlare direttamente delle debolezze o dei punti negativi. Sembra invece una migliore strategia considerare prima i “successi” e le proprie risorse nei confronti del futuro desiderato. «Questo modo di procedere crea un clima positivo per tutto il processo e serve come incoraggiamento, in quanto si vedono gli elementi già realizzati o realizzabili. Poi si passa a identificare le difficoltà o le debolezze, gli aspetti che hanno bisogno di essere migliorati in vista dei traguardi individuati».

È possibile esprimere meglio la propria situazione in forma di preghiera, traendo ispirazione dalla triplice confessione della lode, del peccato e della fede. La confessione della lode fa riconoscere come dono di Dio ciò che di positivo c’è nella propria vita; la confessione del peccato rende consapevole dei ritardi, lentezze, resistenze e colpe nel cammino; la confessione della fede aiuta a trovare fiducia in Dio e nel suo Spirito per proseguire nella crescita.

«In questo contesto è utile ricordare che non giova una lista interminabile di tutti i punti, positivi o negativi, nei loro dettagli. Una buona progettazione presuppone la capacità di individuare quei due o tre punti che sono decisivi e che praticamente determinano tutto il resto; si tratta di cogliere gli aspetti principali che richiedono attenzione». La riuscita della progettazione personale non sta tanto nell’applicazione delle tecniche, quanto piuttosto nella prontezza a confrontarsi con autenticità e profondità e aprirsi con fiducia e pazienza allo Spirito.

Si giunge così al terzo passo, in cui cerchiamo di cogliere il messaggio che viene da Dio in risposta alla domanda: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

Alla luce della conoscenza di se stessi raggiunta con il secondo passo, ora si scelgono le linee d’azione da realizzare nel corso dell’anno per arrivare ai traguardi che ci si è proposti nel primo passo. «Cerchi con realismo dove devi andare e che cosa ti suggerisce lo Spirito. È auspicabile che le tue linee d’azione siano realistiche e realizzabili entro l’anno; siano poche e essenziali; si riferiscano agli aspetti importanti dell’identità salesiana come è espressa dalle costituzioni».

Giova pure se il piano d’azione contiene dei passi graduali, da concretizzare mese per mese, settimana dopo settimana. Quando questi passi vengono attuati uno dopo l’altro, si crea una certa fiducia in se stessi, più coraggio e ottimismo, visto il progresso operato.

 

PUNTO

DI RIFERIMENTO

 

Il progetto personale di vita è uno strumento che favorisce il cammino di crescita, un mezzo attuale della metodologia della vita spirituale. Non si cresce, se non c’è un metodo serio di cammino. Don Cereda presenta alcuni elementi di tale metodo, che vengono dalla tradizione spirituale, che possono assumere nuovo significato in riferimento al progetto personale.

È utile, per esempio, «la pratica pedagogica del meditare scrivendo, del prendere appunti, del fissare nello scritto ciò che nello Spirito hai intravisto come progetto della tua vita. È una metodologia della vita spirituale, a cui la nostra tradizione salesiana ha sempre fatto ricorso e che risulta efficace nello svolgimento del cammino. Al testo che hai scritto potrai fare riferimento in qualunque momento, per un confronto e una verifica. Lo scrivere è un mezzo per non fermarti in superficie, per aiutare la riflessione e la preghiera, per attingere alle profondità della tua vita».

Dopo aver formulato il progetto secondo i tre passi indicati sopra, è necessario segnalare i tempi o le date concrete in cui verificare il cammino che si sta facendo. «La verifica ha lo scopo di vedere quanto sei stato fedele a tutto ciò che ti sei proposto nel progetto: se hai eseguito le attività scelte e se le hai realizzate bene, male o discretamente. Se non le hai eseguite, occorre indagare il perché. Verifica pure se sono raggiunti i traguardi prefissati e in quale misura. Nel caso di scarso risultato, l’analisi delle cause potrebbe mostrare che forse non sei stato costante negli impegni assunti e non ti sei mosso dopo lo stadio dell’entusiasmo iniziale; o forse non hai analizzato bene i problemi e sei rimasto sulla superficie; o non hai fatto attenzione ai diversi aspetti del problema; o forse le tue linee d’azione erano troppo generiche. Comunque sia, mediante la verifica ti accorgi se sei sul cammino giusto e puoi ricavare gli elementi utili per introdurre correttivi nel tuo progetto».

È necessario, poi, vigilare sui passi quotidiani. «Senza una coscienza vigile, lo stare attenti e l’essere svegli, non c’è cammino; si ha invece torpore, affievolimento, superficialità». La metodologia della vita spirituale da sempre propone l’esame di coscienza quotidiano non come un momento formale e sbrigativo, ma sostanziale e approfondito. Anche la meditazione quotidiana offre l’opportunità di prendere qualche buona risoluzione e cercare di metterla in pratica, rafforzandosi nel cammino intrapreso. Ma soprattutto la celebrazione frequente della Penitenza, insieme alla verifica della vita, al pentimento, al perdono di Dio, offre la grazia sacramentale della guarigione e della ripresa.

Infine è importante armonizzare il progetto personale con quello comunitario. «Esiste infatti una relazione di interdipendenza tra i due: si rinforzano e si aiutano a vicenda. Da una parte quando tu formuli il tuo progetto personale, tu prendi in considerazione gli impegni del progetto comunitario, perché esso è un discernimento fatto da te e tutti gli altri confratelli circa i disegni di Dio sulla tua comunità; e quindi contiene delle indicazioni della volontà di Dio anche nei tuoi riguardi. D’altro canto, il progetto comunitario viene arricchito quando ciascuno dei membri della comunità, avendo elaborato il suo progetto personale, ha maturato ciò che intende proporre. Pur rispettando il diritto all’intimità personale, tu puoi condividere con gli altri confratelli gli aspetti del tuo progetto personale che ti senti di comunicare; in tal modo si migliora la conoscenza reciproca in comunità, si creano legami più forti di appartenenza e aiuti la comunità a raggiungere un livello più profondo nella sua progettazione».

Il progetto di vita non serve, quindi, se non è riferito a tutti gli altri aspetti della vita spirituale; sarebbe una formalità che avrebbe poca incidenza sul processo di crescita.

Con il progetto personale di vita – conclude don Cereda – si ha nelle mani uno strumento, che aiuta a crescere nella fedeltà creativa al dono della vocazione. Esso aiuta a realizzare il dono di sé e la risposta alla chiamata di Dio.

 

E. B.

 

1 CEREDA F., Formazione permanente. Il progetto personale di vita. Un cammino di fedeltà creativa verso la santità, Direzione Generale Opere Don Bosco, Via della Pisana 1111 – 00163 Roma, giugno 2003.