PREGHIERA PER LA PACE

MA QUANDO FINIRANNO I CONFLITTI?

 

Il papa ha inviato un accorato messaggio in cui afferma che in questi anni si è poco investito per la pace e che con il crollo delle Torri gemelle sembra crollata anche la speranza.

 

Quando finiranno tutti i conflitti? Quando potremo finalmente vedere un mondo  pacificato? È l’angosciosa domanda che il papa si è posto inviando un messaggio al cardinale Roger Etchegaray in occasione del XVII incontro internazionale di preghiera per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, che si è svolto ad Aquisgrana dal 7 al 9 settembre scorso. L’incontro ha avuto come tema Tra guerra e pace: religioni e culture si incontrano e ha visto la presenza di numerosi rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane e delle grandi religioni mondiali.

Il papa ha scritto: «Quando, nel 1986, volli iniziare ad Assisi il cammino di cui l’incontro di Aquisgrana costituisce un’ulteriore tappa, il mondo era ancora diviso in due blocchi e oppresso dalla paura della guerra nucleare. Vedendo quanto impellente era il bisogno dei popoli di riprendere a sognare un futuro di pace e di prosperità per tutti, invitai i credenti delle diverse religioni del mondo a raccogliersi in preghiera per la pace. Avevo davanti ai miei occhi la grande visione del profeta Isaia: tutti i popoli del mondo in cammino dai diversi punti della terra per raccogliersi attorno a Dio come un’unica, grande e multiforme famiglia. Era questa la visione che aveva nel cuore il beato Giovanni XXIII e che lo spinse a scrivere l’enciclica Pacem in terris di cui ricordiamo quest’anno il quarantesimo anniversario.

Ad Assisi quel sogno prendeva una forma concreta e visibile, accendendo negli animi molte speranze di pace. Tutti ne gioimmo. Purtroppo, quell’anelito non è stato raccolto con la necessaria prontezza e sollecitudine. Troppo poco in questi anni si è investito per difendere la pace e per sostenere il sogno di un mondo libero dalle guerre. Si è invece preferita la via dello sviluppo degli interessi particolari, profondendo ingenti ricchezze in altro modo, soprattutto per spese militari.

Tutti abbiamo assistito allo sviluppo di passioni egocentriche per i propri confini, per la propria etnia e per la propria nazione. Talora persino la propria religione è stata piegata alla violenza. Fra pochi giorni ricorderemo il tragico attentato alle Torri gemelle di New York. Purtroppo, assieme alle torri, sembrano esser crollate anche molte speranze di pace. Guerre e conflitti continuano a prosperare e ad avvelenare la vita di tanti popoli, soprattutto dei paesi più poveri dell’Africa, dell’ Asia e dell’ America Latina. Penso alle decine di guerre ancora in atto e a quella “guerra”  diffusa che è rappresentata dal terrorismo.

Quando potranno cessare tutti i conflitti? Quando i popoli potranno finalmente vedere un mondo pacificato? Non si facilita certo il processo di pace se si lasciano prosperare, con colpevole incoscienza, ingiustizie e disparità nel nostro pianeta. Spesso i paesi poveri sono divenuti luoghi di disperazione e fucina di violenza. Noi non vogliamo accettare che la guerra domini la vita del mondo e dei popoli. Non vogliamo accettare che la povertà sia la compagna costante dell’ esistenza di intere nazioni.

Per questo ci chiediamo: che fare? E, soprattutto, che cosa possono fare i credenti? Come affermare la pace in questo tempo pieno di guerre? Ebbene, credo che questi “incontri internazionali di preghiera per la pace”, organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, siano già una risposta concreta a queste domande. Sono ormai diciassette anni che si realizzano, e ne sono evidenti anche i frutti di pace. Ogni anno gente di religione diversa si incontra, si conosce, stempera le tensioni, apprende a vivere insieme e ad avere una comune responsabilità verso la pace.

Ritrovarsi all’inizio di questo nuovo millennio ad Aquisgrana, è ancora una volta significativo. Questa città, posta nel cuore del continente europeo, parla chiaramente dell’antica tradizione dell’Europa: parla delle sue antiche radici, a cominciare da quelle cristiane che hanno armonizzato e consolidato anche le altre. Le radici cristiane non sono una memoria di esclusivismo religioso, ma un fondamento di libertà, perché rendono l’Europa un crogiuolo di culture e di esperienze differenti. È da queste radici antiche che i popoli europei hanno tratto la spinta che li ha condotti a toccare i confini della terra e a raggiungere le profondità dell’uomo, della sua intangibile dignità, della fondamentale uguaglianza di tutti, dell’universale diritto alla giustizia e alla pace.

Oggi l’Europa, mentre allarga il suo processo di unione, è chiamata a ritrovare questa energia ricuperando la consapevolezza delle sue radici più profonde. Dimenticarle, non è salutare. Presupporle semplicemente non basta ad accendere gli animi. Tacerle, inaridisce i cuori. L’Europa sarà tanto più forte per il presente e per il futuro del mondo quanto più si disseterà alle fonti delle sue tradizioni religiose e culturali. La sapienza religiosa e umana che l’Europa ha accumulato nei secoli, pur con tutte le tensioni e le contraddizioni che l’hanno accompagnata, è un patrimonio che, ancora una volta, può essere speso per la crescita dell’intera umanità. È mia convinzione che l’Europa, ancorandosi saldamente alle sue radici, accelererà il processo di unione interna e offrirà il suo indispensabile contributo per il progresso e la pace tra tutti i popoli della terra.

In un mondo diviso, che sempre più spinge verso separazioni e particolarismi, c’è urgente bisogno di unità. Le genti di religione e di culture diverse sono chiamate a scoprire la via dell’incontro e del dialogo. Unità non è uniformità. Ma la pace non si costruisce nella mutua ignoranza, bensì nel dialogo e nell’incontro. Questo è il segreto dell’Incontro di Aquisgrana. Tutti, vedendovi, possono dire che su questa strada la pace tra i popoli non è un’utopia remota.

“Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace” (Novo millennio ineunte 55). Per questo dobbiamo intensificare il nostro incontro e gettare solidi e condivisi fondamenti di pace. Questi fondamenti disarmano i violenti, li richiamano alla ragione e al rispetto, coprono il mondo con una rete di sentimenti pacifici.

Con voi, carissimi fratelli e sorelle cristiani, “continuiamo con determinazione il dialogo” (Ecclesia in Europa 31): sia questo terzo millennio il tempo dell’unione attorno all’unico Signore. Non è più sopportabile lo scandalo della divisione: è un “no” ripetuto a Dio e alla pace.

Assieme a voi, illustri rappresentanti delle grandi religioni mondiali, vogliamo intensificare un dialogo di pace: alzando lo sguardo verso il Padre di tutti i popoli riconosceremo che le differenze non ci spingono allo scontro ma al rispetto, alla leale collaborazione e all’edificazione della pace.

Con voi, uomini e donne di tradizione laica, sentiamo di dover continuare nel dialogo e nell’amore come uniche vie per rispettare i diritti di ciascuno e affrontare le grandi sfide del nuovo millennio. Il mondo ha bisogno di pace, di tanta pace. La via che, come credenti, conosciamo per raggiungerla è quella della preghiera a Chi la pace può concedere. La via che tutti possiamo percorrere è quella del dialogo nell’ amore.

Con le armi della preghiera e del dialogo, allora, camminiamo sulla via del futuro!».