UNA SUA TESTIMONIANZA

COSA FACCIO IN QUESTA TERRA?

 

In questa testimonianza scritta verso la fine degli anni ’80, p. Taddeo descrive il significato del suo essere missionario in una realtà piena di sofferenze e lacrime, e dove non sarebbero mai mancati persecuzione e martirio. Parole che, dopo il suo assassinio, acquistano un significato profetico.

 

Il mio angolo di Brasile povero si chiama Maranhao, specchio e prototipo di tutta l’immane tragedia di questo popolo. Qui l’ignoranza e la secolare schiavitù alleate a una struttura giuridica mercenaria e all’oligarchia politica ed economica hanno generato l’ingiustizia e la corruzione più sfrenata, lo sfruttamento più mostruoso del povero, la concentrazione in mano di pochissimi di tutte le fonti di produzione e di dominio della cultura come strumento di potere. Anche il cristianesimo, per svariati e complessi motivi, non ha saputo permeare ed essere fermento di trasformazione. È rimasto una vernice, una patina.

Sono 4 milioni e mezzo di abitanti sparsi su circa 328.000 km quadrati. Ogni metro di terra è stato irrigato di sudore e lacrime, ogni abitante cammina ricurvo sotto il peso di immani tragedie che lo condizionano e lo spremono dal primo all’ultimo giorno di vita…La mortalità infantile raggiunge punte di oltre il 300%! La scolarità che si aggira nel primo anno elementare attorno al 65%, nel quarto anno non passa un misero 35%.

Cosa faccio io missionario da 25 anni in questa disumana realtà? Semino speranza nella terra della disperazione. Li aiuto a credere che Dio, Padre comune di tutti, non vuole nessuno escluso dalla partecipazione anche ai beni materiali. Egli vuole che ciascuno, anche sul piano umano, abbia la sua sicurezza. Cerco di far capire che Cristo, l’inviato del Padre, venne per farci sentire tutti figli senza eccezioni e senza distinzioni.Tutti fratelli chiamati a vivere in un mondo creato dal Padre per servire a tutti con abbondanza. Le esclusioni e le eccezioni sono barriere erette non da Dio ma dall’uomo, dal suo egoismo e dalla sua voracità.

Credo di far capire che per arrivare a una società giusta e ad un’equa spartizione del benessere bisogna cambiare il modo di pensare e di agire dell’uomo. La carità-amore cristiana non può restare un ideale utopico a livello di studio, ma pratica quotidiana, modo giornaliero di essere uomo.

Ma questa trasformazione deve cominciare tra loro e da loro. Essi, i poveri, devono cominciare a sfondare le loro barriere. Devono vincere il loro individualismo che li mantiene divisi e quindi soggetti e maneggiati dai più esperti; devono vincere le tentazione di voler crescere da soli ignorando i problemi e le tragedie del vicino; la tentazione di accostarsi ai potenti per riceverne protezione e poter “sfamarsi con le briciole che cadono dalle loro mense”; la tentazione di rassegnarsi all’ineluttabile divisione dell’uomo in ricchi e poveri; la tentazione di rinunciare alla loro dignità di figli di Dio a pari livello con gli altri per essere schiavi di altri uomini.

Li aiuto a unirsi, a sentirsi uomini con pieni diritti e doveri, a reclamare questi diritti, a lottare perché vengano rispettati. Nel mondo voluto da Dio non esistono gli uomini di seconda o decima categoria.

Ma tutto deve essere fatto senza violenza, con tenacia però e senza paure. Ogni conquista ha il suo prezzo in persecuzioni, tormenti e morti. Il loro futuro umano Dio l’ha posto alla loro alzata. Sta in loro renderlo una stupenda e splendida realtà.

Insegno che non possono aspettare nulla gratuitamente dal potere e nulla assolutamente dalle classi privilegiate. Tocca al povero muoversi unito. Dio ha dato loro i mezzi ma non farà nulla senza di loro.

E così la speranza incomincia a camminare con loro. Questo popolo, assemblea di Dio, incomincia finalmente a svegliarsi, a muoversi verso un futuro migliore.

Ci vorranno ancora sofferenze, lacrime, tragedie, morte, ma non torneranno più indietro.

Oggi nelle nostre assemblee di preghiera e di riflessione si canta con spavaldo coraggio: “… o con la legge o senza legge (umana e parziale) noi affronteremo la lotta e vinceremo”. E anche quell’altro che esprime il desiderio di partecipare alla proprietà della terra creata da Dio per le necessità di tutti i suoi figli: “…oh Padre nostro! Oh Padre nostro, quando avverrà che questo mondo sarà nostro! Oh Padre nostro, quando avverrà che questa terra sarà nostra?”.

Ecco il mio modo di essere in questa realtà e quello di moltissimi altri missionari.

E tu vorresti restar fuori da questo sforzo per fare migliore il mondo? Non ci daresti una mano?

 

Frei Tadeu, miss. capp.