VITA CONSACRATA A 40 ANNI DAL CONCILIO

RITORNO AL VANGELO

 

Un convegno sul rinnovamento incompiuto e sull’esaurimento di un certo modello di vita consacrata; la grande sfida di fronte alla quale si trova oggi la vita consacrata passa per la riscoperta del vangelo e la comprensione del carisma come dono dello Spirito.

 

«Che ne sarà della vita consacrata e della Chiesa stessa nella nostra società occidentale secolarizzata e postmoderna?», si è chiesto Luigi Guccini concludendo il convegno La vita consacrata a quarant’anni dal Concilio. Un ritorno al vangelo?, svoltosi a Capiago dal 13 al 19 luglio scorso.1 «Solo il Signore lo sa», ha risposto. Quello che invece sappiamo oggi con chiarezza è il fatto che «la vita consacrata si trova di fronte a un rinnovamento incompiuto». È vero che forse nessun’altra realtà ecclesiale come la vita consacrata «si è messa così profondamente in discussione»; è vero che sia a livello teologico che sul piano pratico «molte cose nuove, importanti e promettenti, sono state acquisite»; purtroppo, però, tutto ciò che è andato maturando positivamente «non è ancora stato adeguatamente assimilato», non è ancora diventato “mentalità”.

 

LA TENTAZIONE

DI “MOLLARE TUTTO”

 

Non solo e non tanto ci troviamo oggi di fronte ad un rinnovamento incompiuto, ma il modello stesso di vita religiosa ereditato dal passato è giunto ad esaurimento, con la conseguenza che questo modello spesso non dice più nulla non solo a chi è “fuori”, ma non riesce più a motivare neanche quelli che sono “dentro”, «non riesce più a esprimere il significato della vita consacrata per la Chiesa di oggi». Le ragioni storiche di questo “esaurimento” sono sotto gli occhi di tutti. Tante opere apostoliche nel campo della sanità, della scuola, dei servizi sociali, dell’assistenza, campi nei quali tanti istituti in passato hanno dato il meglio di sé, oggi non sono solo più “nostre”.

Il cambiamento di prospettiva è avvenuto anche a livello teologico ed ecclesiologico; il Vaticano II ha recuperato la centralità del battesimo e la conseguente vocazione di tutti alla santità, per cui «soggetto vero e ultimo della missione è la comunità cristiana e in essa tutti i battezzati». La teologia stessa della vocazione ha dovuto ridefinire i propri parametri, recuperando in pieno il valore del “laicato”, affidandogli senza esitazione «molte delle competenze che erano ritenute prima un’esclusiva dei nostri istituti».

In altre parole è cambiato il terreno sotto i nostri piedi; sono cambiati il contesto culturale, il modo di vivere e di pensare, le mentalità delle persone, il significato di certe proposte di vita consacrata; ma il peggio è che forse in tante “nostre” strutture di vita consacrata non ce ne siamo o non ce ne vogliamo neanche rendere conto. Il grosso rischio di trovarci definitivamente “spiazzati” di fronte al contesto culturale in cui ci troviamo, può avere come conseguenza immediata la “insignificanza” della nostra vita consacrata. Convinciamoci che «non è più necessario essere religiosi o religiose per dedicarci agli apostolati e ai servizi che ci hanno caratterizzati in passato»; oggi non è più necessario farsi suore per dedicarsi a ciò che le religiose animate da «vocazioni straordinariamente autentiche» hanno fatto fino a ieri. Anche se non mancano situazioni odierne in cui le opere dei religiosi e delle religiose funzionano bene, spesso anche decisamente meglio di quelle pubbliche, però la constatazione più inquietante è che «troppo spesso la gente viene a prendere da noi prestazioni e servizi, ma le ragioni per vivere le va a cercare altrove».

La situazione è talmente complessa che oggi non bastano più le risposte, anche più vere e autentiche, date dai religiosi sul versante della propria significatività. Non basta più l’aggiornamento post-conciliare, non bastano più i capitoli speciali e la stesura delle nuove costituzioni; non basta più neanche il semplice rinnovamento se non si ha il coraggio di andare più a fondo, d’arrivare fino al cambiamento di mentalità e di vita; non basta per certi versi la riscoperta della missione e neppure quella della riacculturazione se non si ha il coraggio di riacculturare la vita consacrata alle mutate condizioni dei tempi; non basta neanche il tanto dibattuto tema oggi della rifondazione della vita consacrata se non si hanno chiari gli obiettivi a cui si vuole arrivare. Men che meno, però, servirebbe indulgere alla tentazione di «mollare tutto»; è stata questa, infatti «la risposta di tanti, di tutti quelli che se ne sono andati, lasciando tutto, ma anche di altri, forse ancora più numerosi, che se ne sono andati rimanendo».

 

CRISI

DI SPIRITUALITÀ

 

Come venir fuori dal rinnovamento incompiuto, dall’esaurimento di un determinato modello di vita consacrata, dalla diffusa tentazione appunto di mollare tutto? La risposta è una sola: continuare a credere nella ricerca della propria identità, non stancarsi di interrogarsi seriamente sul vero significato della vita consacrata nella Chiesa di oggi, individuare il proprio ruolo significativo per la causa del vangelo e della salvezza dell’uomo di oggi, non fermarsi a rincorrere sempre di nuovo il cambiamento, non identificarsi mai con le forme di apostolato svolte fino ad oggi, ma interrogarsi sinceramente se «c’è qualcosa di più profondo da cui partire per poter chiarire meglio la nostra identità e il significato vero della nostra presenza».

Non è solo Guccini a riaffermare con convinzione che il punto di partenza, lo snodo fondamentale da cui ripartire per dare senso oggi alla vita consacrata è il battesimo e la nostra condizione di cristiani. La vita consacrata, infatti, «non è altra cosa dalla vita cristiana»; la vita consacrata «è la stessa vita cristiana riportata al suo nucleo più profondo: la vita in Cristo, vita unificata e pacificata in lui, che diffonde pace e riconciliazione verso tutti e verso tutto». Il vero problema oggi potrebbe allora essere quello di verificare se le nostre comunità sono veramente cristiane.

Abituati come siamo a ritenere la vita consacrata una categoria a sé, addirittura uno stato di perfezione, «forse abbiamo qualche difficoltà a pensare che basti il vangelo». Centralità del vangelo e primato della vita spirituale vanno di pari passi. Quella però che abbiamo alle spalle «è per molti aspetti una spiritualità povera, molto debole, moralistica, fatta di pratiche più che di vera sapienza spirituale». Anche le crisi di questi anni, gli stessi abbandoni della vita consacrata, sono fondamentalmente «crisi di fede», crisi di spiritualità autentica. Tra una comprensione dei voti, ad esempio, come mezzo solo per garantire l’ordine, la disciplina e l’efficienza apostolica e il significato più autenticamente evangelico dei voti stessi «c’è un abisso».

Ora questo “abisso”, nella vita consacrata, non lo si potrà mai risalire da soli; bisogna rimettere al centro la comunità, una comunità però incentrata sul «Risorto e il suo vangelo, un vangelo da vivere e da mettere a disposizione di tutti attraverso il contatto personale, il servizio e la testimonianza». Questo non è possibile, però, senza un progetto comunitario assunto come vero impegno da tutti, un progetto da cui traspaia con chiarezza uno stile di vita da parte di persone che sanno quello che vogliono, che ci credono, che lo portano avanti insieme. Non è facile. Quante volte «abbiamo sognato il rinnovamento come se potesse essere di tutto l’istituto allo stesso modo, e perciò anche indolore, senza traumi». Una comunità, un istituto religioso, sono fatti di persone, e le persone «non sono tutte uguali, tutte disponibili e capaci di portare avanti alla stessa maniera il percorso». Non per nulla, da tempo e da più parti, si parla di possibili comunità «a diversa velocità», convinti ormai della necessità di vivere lo stesso carisma anche «in modi diversi» all’interno del medesimo istituto. «Ognuno ha il diritto di servire il Signore secondo le proprie possibilità e chi non se la sente di cambiare non deve essere inquietato»; ma è pure vero il contrario: «chi si ritrova nelle cose di sempre non può pretendere che pure gli altri facciano altrettanto».

Senza voler arrivare ad una spaccatura vera e propria tra comunità di serie A e di serie B, è però inevitabile allora avere il coraggio e il discernimento necessari per «rifare i patti»., darsi, cioè, una regola condivisa e vincolante per tutti; solo allora, al di là della tentazione di una ripresa della pura logica dell’osservanza, la regola diventerà nuovamente significativa in quanto «definita in funzione di scopi precisi, voluti e condivisi, a partire da convinzioni chiare nel cuore di tutti».

 

IL CARISMA

DONO DELLO SPIRITO

 

Se nella relazione introduttiva Guccini ha cercato di sintetizzare gli aspetti più problematici e significativi nel cammino della vita consacrata di questi ultimi quarant’anni, in quella sul “carisma” ha aperto dei filoni di ricerca forse meno battuti e scontati.

Il carisma, ha detto rifacendosi a Paolo (Rm 6, 12), è il grande e generale dono di grazia che ci viene offerto in Cristo Gesù, è il dono della salvezza, l’incontro con Gesù salvatore, riconosciuto come via, verità e vita, unica ragione della propria vita. Anche la vita consacrata «è una realtà carismatica anzitutto per questo , perché ha la sua spiegazione soltanto in Gesù e nell’esperienza che di lui ci è dato avere per dono e opera dello Spirito Santo».

Ora, però, se il carisma può essere letto e capito solo all’interno dell’azione dello Spirito Santo e questa azione rimanda a Cristo, questo vuol dire che «non c’è passaggio immediato dal carisma al fondatore». Non si può, cioè, dire “carisma” e andare direttamente al fondatore. Il carisma dell’istituto non lo possiamo ricercare «attingendo agli archivi o semplicemente ascoltando il maestro dei novizi che mi parla dell’istituto»; possiamo “entrare” nel carisma solo nella misura in cui «ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo verso Gesù e dentro la parola di Gesù».

La conseguenza più immediata è allora quella che il carisma del fondatore o dell’istituto è riconducibile a quella «particolare sensibilità» con cui «si entra» nella parola di Gesù. Se infatti, dicendo carisma, si va subito al fondatore o all’istituto, si corre il rischio «di cadere in una concezione secondo cui il buon religioso è colui che è ben integrato in comunità e nell’istituto, ne esaudisce tutte le aspettative, anzi, ha proprio questo come punto di riferimento della sua vita». Quando parliamo di obbedienza, di senso di appartenenza, di missione, di povertà ecc., i riferimenti più immediati non possono essere i superiori, la regola, l’istituto, le opere, ma sempre e prima di tutto Gesù e la sua Parola. «Fa quasi tenerezza, ha osservato Guccini, vedere come ci si premura di descrivere, per esempio negli annuari della vita consacrata, il carisma di ogni istituto. Ne vengono delle presentazioni che sono semplicemente delle banalità. È la vita dei singoli gruppi che deve far vedere se c’è il carisma o quale esso sia!». Partendo da una chiara prospettiva evangelica del carisma si comprendono allora più facilmente tante altre conseguenze; anzitutto il carisma è fondamentalmente una questione di vita vissuta e non una semplice assimilazione degli scritti del fondatore; il carisma, inoltre, è sempre in vista della edificazione della Chiesa, criterio fondamentale non solo per stabilire una gerarchia nei carismi stessi, ma anche per superare tutte le divisioni, le competizioni, le contrapposizioni tra un istituto e l’altro; dire carisma, inoltre, significa dire complementarietà proprio perché la Chiesa di cui siamo membri, è la Chiesa comunione, costituita di molte vocazioni e molti carismi; ne consegue, allora, che «ciò che rimane in primo piano non è il carisma dell’istituto, ma piuttosto la Chiesa e il nostro fare Chiesa in collegamento con tutte le altre vocazioni, a cominciare dal laicato»; questo significa ancora che ci sono molte forme di vita consacrata, molti carismi che vanno vissuti in stretto rapporto di complementarietà; nessun istituto, allora, «può fare tutto», perché «c’è un rapporto degli uni con gli altri che deve trovare realizzazione se si vuole che la molteplicità raggiunga il suo scopo secondo il piano di Dio».

Possiamo e dobbiamo, certo, continuare a parlare di identità specifica di un determinato istituto rispetto a un altro; ma questa ricerca «viene dopo, e può esistere solo sul presupposto di un forte radicamento in Cristo e di una vita spirituale che sia davvero tale». Servono sicuramente sia lo studio dei documenti dell’istituto e del carisma del fondatore che tutto il processo di formazione iniziale e permanente; ma perché tutto questo possa raggiungere il suo scopo «occorre che maturi in una vera vita spirituale e di fede»; ora, questo, «solo lo Spirito lo può fare».

Anche gli altri relatori, parlando del primato della vita spirituale, lo hanno fatto però soprattutto ponendosi sul versante della propria testimonianza personale e comunitaria; e proprio da queste testimonianze è emerso come dato fondante, pur nella molteplicità e nella diversità delle esperienze, il primato della spiritualità cristiana radicata nel vangelo. Anche Gabriele Ferrari ha concluso il suo intervento sui religiosi e la missio ad gentes quale “costante orizzonte” e “paradigma per eccellenza” di ogni attività missionaria nella Chiesa, affermando che la missione dei religiosi e la vita consacrata di domani avranno senso solo se incamminate verso una prospettiva più spiccatamente spirituale.

Diventare donne e uomini spirituali veri è la “sfida” che abbiamo davanti quando si parla di carisma, una «sfida difficile e molto esigente, ma bella», una sfida per la quale, ha concluso Guccini, «vale la pena» investire tutta la propria esistenza.

 

Angelo Arrighini

 

1 Luigi Guccini: Quarant’anni di postconcilio, un percorso che riporta al vangelo; Franco Mosconi: La vita spirituale cristiana e le sue vie, il dato teologico e biblico; Luigi Guccini: Vita spirituale, spiritualità e carisma; Elia Citterio: La vita religiosa ieri e oggi, un magistero spirituale; Costanza Badoni: Una presenza per dire il vangelo, l’esperienza della Tenda del Magnificat; Gabriele Ferrari: La missione della vita consacrata nel confronto con le culture oggi, la prospettiva della spiritualità; p.s. Fiorella di Gesù: Gridare il vangelo con la vita, le piccole sorelle di Gesù; Giamberto Pegoraro: La spiritualità cristiana a confronto con la soggettività e l’effimero oggi. c’è una proposta praticabile?; Andrea Caelli: La vita spirituale cristiana oggi, la prospettiva della formazione; Luigi Guccini: Conclusioni.