L’AMEN DI DIO E IL NOSTRO AMEN

 

Dio si è legato a noi fin da quando ci ha creati a propria immagine. E l’immagine di lui in noi è un appello al suo stesso amore fedele ed esigente fedeltà.

 

 

«Riconoscerai dunque che il Signore tuo Dio è lui Dio, il Dio fedele, che mantiene il patto e la misericordia a coloro che lo amano e a coloro che osservano i suoi precetti, per mille generazioni» (Dt 7,9).

C’è un modo di pensare Dio che è quello biblico: un modo che è strettamente connesso a ciò che Dio stesso ha fatto per noi, e a ciò che egli ha detto a noi. Non a caso il testo citato sopra comincia con la parola “riconoscerai”: non è l’uomo che si inerpica su per la metafisica (i filosofi lo possono anche fare, a loro rischio e senza incontrare nessun roveto ardente).

I versetti immediatamente precedenti Dt 7,9 dicono: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli, ché anzi siete il più piccolo di tutti i popoli; ma per l’amore che il Signore ha per voi, e per osservare il giuramento che giurò ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano forte, e vi ha riscattati dalla casa di schiavitù, dalla mano di Faraone, re d’Egitto” (vv. 7-8).

Fuori dalla Bibbia, la divinità è stata spesso considerata capricciosa dalla religiosità mitologica, e imperscrutabile da quella filosofica, e una traccia di questo smarrimento si trova nella Bibbia stessa, nelle domande del Qoèlet; ma il tema forte che percorre tutta la storia di Israele è quello della fedeltà di Dio nonostante le infedeltà dell’uomo.

El ne’eman, “Dio è fedele”. Fedele a se stesso che ha giurato ai padri, ossia fedele al patto in cui si è impegnato fin da Noè, e poi quando ha chiamato Abramo e gli ha promesso che sarebbe divenuto una benedizione (Gen 12,2-3); e fedele all’uomo, al quale continua a offrire ciò che ha promesso.

Il contenuto di questa promessa è l’elezione e la liberazione dall’Egitto, due categorie “pasquali” che operano per tutti e per sempre. Ma, se volessimo risalire più indietro, scopriremmo che la fedeltà di Dio si inscrive quasi necessariamente nella sua scelta originaria di creare l’uomo a propria immagine.

Ma che dire della fedeltà divina quando l’immagine di Dio si offusca nell’uomo? E in questo caso Dio cessa di essere fedele? Se così fosse, il mondo sarebbe perduto, perché troppe volte l’immagine divina è offuscata o cancellata completamente. È un problema su cui si affannano i profeti, e che si esprime letterariamente in infinite forme: ma tra queste ne emergono alcune che vanno al di là della figura del Dio irato e punitore, quasi una proiezione della cattiva coscienza del peccatore.

Sono quelle in cui Dio appare sofferente per le infedeltà del suo popolo e per le sue sventure: «Come potrei abbandonarti, Efraim,/ come consegnarti ad altri, Israele?/ Il mio cuore si commuove dentro di me,/ il mio intimo è caldo di compassione./ Non darò sfogo all’ardore della mia ira,/ non tornerò a distruggere

Efraim,/ perché sono Dio e non un uomo;/ sono il Santo in mezzo a te/ e non verrò nella mia ira» (Os 11,8-9).

È un motivo, questo del Dio commosso, che si prolunga nella riflessione rabbinica: nel Talmud si parla più volte del lamento di Dio sulla distruzione del tempio e sull’esilio del suo popolo. La “commozione”, la misericordia e la pazienza sono altrettanti aspetti della fedeltà di Dio. Il quale, in Is 65,16, è chiamato “il Dio dell’amen”: amen è infatti un’altra forma della stessa radice del termine ne’eman, fedele.

C’è un amen di Dio, e c’è un amen dell’uomo, che “si fida” (sempre la stessa radice) dell’amen di Dio. Per questo Paolo, parlando di Gesù, può dire che “tutte le promesse di Dio in lui sono diventate sì”, e, “attraverso di lui sale a Dio il nostro amen” (2Cor 1,20).

Ma prima del nostro amen c’è sempre quello di Dio; commentando Paolo, Bonhoeffer scrive: «...A tutto questo Dio ha detto “sì” e “amen” in Cristo. Questo “sì” e questo “amen” sono il solido terreno sul quale noi stiamo». Quando scrisse tali parole, Bonhoeffer era in carcere, e otto mesi dopo sarebbe stato impiccato dai nazisti: il suo amen non era dunque una parola pia e superficiale, la sua adesione all’amen di Dio era la cosa più seria della sua vita.

La fedeltà di Dio non è una scoperta facile: lo stesso Gesù, nell’orto degli ulivi, e poi sulla croce, fece un’esperienza di abbandono.

E forse la fedeltà di Dio non è mai stata tanto nascosta come dal fumo di Auschwitz: ma se anche là ci fu qualcuno che disse “amen”, possiamo non dirlo noi?

 

Paolo De Benedetti

da Ciò che tarda avverrà, Qiqajon/Bose 1992