I 100 ANNI DELLA “PICCOLA OPERA”

DON ORIONE UNO “STRANO PRETE”

 

Nel 1903 la Piccola opera della divina provvidenza ottenne l’approvazione giuridica. L’intento di don Orione era di dar vita a un’opera “piccola”, umile che rispondesse alle grandi sofferenze dell’uomo e manifestasse l’amore provvidente di Dio.

 

Nella notte del 20 marzo i primi missili anglo-americani si schiantavano su alcuni quartieri governativi di Bagdad. La minaccia di un intervento armato contro il regime di Saddam veniva puntualmente mantenuta. Quasi contemporaneamente, il 21 marzo 2003, a Maputo, capitale del Mozambico, veniva mantenuta non una minaccia, ma una promessa: quella di aprire un centro per la cura dei bambini mutilati di guerra.

Un scarno manipolo di religiosi della congregazione del beato don Luigi Orione inizia la sua azione in favore dei piccoli africani per ricostruire, con protesi alle gambe o alle braccia, arti che consentiranno loro di camminare, di tenere in mano un cucchiaio per mangiare, un pallone per giocare.

Il 21 marzo: non una data qualsiasi, ma il giorno anniversario della approvazione canonica della congregazione religiosa fondata da don Luigi Orione. Cento anni prima, nel 1903, il vescovo di Tortona monsignor Igino Bandi emanava il decreto di riconoscimento giuridico della Piccola opera della divina provvidenza. Questo era appunto il nome che don Orione, prete appena venticinquenne, aveva voluto dare all’istituto.

L’intento era quello di dar vita ad un’opera che manifestasse l’amore provvidente di Dio. Un’opera “piccola”, umile, perché certo non avrebbe potu­to che dare risposte minime alle grandi sofferenze dell’uomo. Modesti segni, come quello di Maputo, ma capaci di testimoniare che Dio mantiene le sue promesse e il Regno cresce, seppure faticosamente, nel segno della Provvidenza.

Al momento dell’atto giuridico di riconoscimento, la Piccola opera contava già una decina di istituti. Si trattava di scuole e collegi per ragazzi poveri, colonie agricole e persino un eremitaggio. Queste opere erano fiorite in maniera quasi prodigiosa nel breve corso di un decennio.

 

FONDATORE

A SOLI 21 ANNI

 

Luigi Orione nasceva il 23 giugno 1872 a Pontecurone, una borgata dell’alessandrino. Suo padre Vittorio, garibaldino, faceva il selciatore di strade. La madre Carolina Feltri, donna pia e di solida fede, si dedicava alle faccende domestiche e provvedeva all’educazione dei figli.

Da entrambi i genitori Luigi prese qualche tratto del carattere. Dal padre ereditò lo spirito indomito e intraprendente, il desiderio di essere sempre all’avanguardia; dalla madre la delicatezza del cuore nelle cose che riguardano l’amore di Dio e del prossimo.

All’età di tredici anni Luigi entra nel convento francescano di Voghera con l’idea di farsi frate. Vi resterà assai poco. Una grave malattia lo porta alle soglie della morte. In un momento di sonno o di delirio, il piccolo malato ha una visione che rimarrà scolpita per sempre nella sua memoria. Una schiera di giovani preti in cotta bianca fiammante gli vengono incontro sorridendo. Era una premonizione di quanto sarebbe avvenuto in futuro.

Per il momento dovette tornare a casa sua. Dimesso per malferma salute. Un fallimento non previsto e doloroso per il ragazzo. Un’altra strada però gli si apre presto dinnanzi. Nel 1886, a 14 anni, Luigi entra a far parte della schiera di ragazzi che popolano l’oratorio di don Bosco a Valdocco. Tra il santo e il nuovo alunno nasce un’intima relazione spirituale. Un giorno don Bosco gli dirà: «Noi saremo sempre amici!». Queste parole penetrano nel cuore di Orione che molti anni dopo confesserà di essere sempre stato accompagnato nella sua opera dalle grazie del santo.

Ma ecco un altro imprevisto. Dopo la morte di don Bosco, alla vigilia dell’ingresso in noviziato, Luigi cade in un’inspiegabile crisi. È proprio per ispirazione del suo caro protettore che decide di lasciare la congregazione salesiana per entrare nel seminario diocesano di Tortona.

Sono di questo periodo gli eventi che segneranno il suo futuro. Dopo aver dato vita nel cortile dell’episcopio a un oratorio festivo, sul modello di quello di Valdocco, Luigi è costretto a registrare il primo amaro insuccesso. L’oratorio deve chiudere i battenti per “incompatibilità” con l’ambiente circostante.

Orione non desiste. È troppo grande l’interesse che ha per le schiere di ragazzi poveri della città e delle valli limitrofe. Questa generazione ha bisogno di essere istruita, educata e formata ai sani principi cristiani. Per rinnovare la società bisogna prendersi cura dei giovani.

Questi pensieri prendono forma concreta. Il chierico Orione vuole aprire un collegio per ragazzi poveri. La notizia si diffonde. La giornata cruciale è quella del 15 settembre 1893, festa dell’Addolorata. Orione, alla ricerca di uno stabile adatto ai suoi progetti, incontra il giovane Luigi Stassano. Suo padre ce l’avrebbe un’ampia casa da affittare in rione San Bernardino. Si va a vedere, si contratta e alla fine si pattuisce la cifra d’affitto: quattrocento lire annue.

Già! Ma dove può trovare una simile cifra un chierico squattrinato, costretto a fare il sacrestano in duomo per pagarsi gli studi? La risposta è immediata. Mentre rientra in città, Orione incontra una vecchietta, Angelina Pogg la quale ha saputo dell’apertura di un collegio e vuole mandarci suo nipote. Per i suoi studi ha messo da parte un buon risparmio. Esattamente quattrocento lire!

Qualche ora dopo, quando si presenta al signor Stassano per versare l’affitto pattuito, questi meravigliato non può fare a meno di domandargli: «Ma come hai fatto?». Luigi allarga le braccia, guarda in alto e candidamente risponde: «Eh... la Provvidenza!». E così Luigi Orione, all’età di soli 21 anni, si ritrova a essere fondatore.

 

“CHI È QUELL’UOMO

STRAORDINARIO?”

 

È quasi mezzogiorno dell’11 aprile 2003, quando una scossa di terremoto del settimo grado della scala Mercalli investe violentemente le colline del tortonese. Un vecchio parroco di campagna, al primo sussulto della terra, invoca immediatamente don Orione. Il sisma non provoca danni gravi. Nessuna crollo e nessuna vittima. Solo qualche edificio danneggiato.

L’anziano prete attribuisce alla protezione di don Orione lo scampato pericolo. Non sappiamo se tra la preghiera del religioso e i danni assai contenuti vi sia un rapporto di causa ed effetto. Certo è che pregare don Orione in una circostanza simile era ben giustificato! Qualcuno che ne conosce a fondo la storia ha anche proposto di fare di don Orione il santo patrono della “Protezione civile”.

Il beato fu effettivamente eroico in momenti tragici che sconvolsero il nostro paese. Nel 1908 partì immediatamente per Messina e Reggio Calabria, appena ebbe notizia del terribile sisma che aveva praticamente distrutto quelle città. Centomila i morti; migliaia i feriti.

Don Orione si prodigò per portare soccorso e consolazione alle vittime senzatetto, affamate e disperate. Trasse in salvo molti bambini rimasti orfani e li avviò ai centri di primo soccorso e poi a collegi organizzati per un’assistenza a lungo termine.

Qualche anno dopo, nel gennaio del 1915, un altro terremoto colpisce la Marsica. Ma qui lasciamo parlare un testimone d’eccezione, Ignazio Silone, che di quella tragedia fu vittima. «Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo. In quel mentre arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti».

Possiamo immaginare lo scompiglio che segue, quando i carabinieri intervengono per impedire quest’operazione di sequestro delle vetture del re. Il sovrano, richiamato dal frastuono, davanti alle richieste del prete “sporco e malandato”, non può far altro che acconsentire. Allora il quindicenne Silone domanda: «Chi è quell’uomo straordinario?». Una vecchietta che gli aveva affidato il suo nipotino gli rispose: «Un certo don Orione, un prete piuttosto strano».

Vero! Un prete strano, abituato a stare in prima linea. Come qualche anno dopo quando, nell’agosto del 1921, partirà per il suo primo viaggio in America del Sud. A Rio de Janeiro assume la direzione della “Casa di preservazione dei minorenni” e apre delle scuole professionali in un rione povero della metropoli. A San Paolo accetta di reggere la chiesa dedicata alla Madonna acheropita, principale centro religioso di una colonia di 70.000 emigrati italiani. Poi passa in Argentina e Uruguay, dove getta le basi per lo sviluppo futuro della congregazione. Rientra in Italia nel luglio del 1922.

Un secondo viaggio lo porterà oltre oceano nel settembre 1934. Nei tre anni di permanenza fonderà il Piccolo Cottolengo in Claypole (Buenos Aires) e altre istituzioni in Brasile, Uruguay e Cile.

 

UNA CARITÀ

SENZA CONFINI

 

Nell’agosto del 1937, quando rientra in Italia, don Orione è un uomo ormai “consumato” dalla fatica e segnato nella salute. A questo punto la congregazione è assai ramificata in Italia, ma ha piantato le sue tende anche in Polonia, Palestina, Stati Uniti, Inghilterra e Albania.

Al ramo maschile si è ormai aggiunto dal 1915 anche quello femminile delle Piccole suore missionarie della carità e nel 1927 le Suore sacramentine non vedenti.

Il panorama delle opere caritative è assai vasto: piccoli Cottolengo per disabili fisici o mentali, ospizi per anziani, orfanotrofi, collegi, riformatori, scuole professionali, colonie agricole, tipografie, parrocchie, santuari, eremi.

L’eterogeneità delle attività apostoliche trovano il loro punto di convergenza in un carisma ormai ben definito: «Attraverso le opere di carità portare il popolo alla Chiesa e al papa, perché si realizzi il grande progetto della Provvidenza di instaurare omnia in Cristo».

Quando il 12 marzo 1940 don Orione muore a Sanremo, si può ben dire che abbia coronato il motto sintetico col quale è ancora oggi ricordato dalla devozione popolare: Fare del bene sempre, del bene a tutti, del male mai, a nessuno!

Oltre a una peculiare abilità di comunicare con i ceti popolari, don Orione fu capace di dialogare e stringere relazioni con molti personaggi eminenti del suo tempo. Ha incontrato i papi Leone XIII e Pio X; ebbe confidenza con vari prelati tra cui i cardinali La Fontaine e Carlo Perosi; fu in contatto con politici del calibro di Gallarati Scotti, Cavazzana, Sturzo e Murri; sviluppò rapporti con l’abate Ricciotti, con monsignor De Luca; fu legato da amicizia al maestro Lorenzo Perosi, suo concittadino; conobbe altri santi del suo tempo come don Guanella, il canonico Di Francia, don Calabria; si prodigò per il recupero di intellettuali modernisti: Bonaiuti, Semeria, Brizio Casciola. Sono solo alcune di una serie di relazioni che don Orione ha intrattenuto, a testimonianza della ricchezza poliedrica del personaggio.

I funerali furono un’autentica apoteosi. Da Sanremo il feretro passò per Genova, Alessandria, Milano, Voghera per giungere a Tortona, dove don Orione riposa tuttora. Lungo tutto l’itinerario una folla devota e commossa gli rendeva il tributo che si riserva ad un santo.

Il 26 ottobre 1980 il papa Giovanni Paolo II proclamandolo beato disse di lui: «Ebbe la tempra e il cuore dell’apostolo Paolo».

 

UN’AVVENTURA

CHE CONTINUA

 

Il ministro degli esteri del Madagascar parlava ad una folla di qualche migliaia di persone sotto un sole cocen­e. Diceva più o meno queste parole: «Per 25 anni i religiosi di don Orione hanno lasciato cadere dei piccoli frammenti d’oro sulla nostra isola. Dobbiamo recuperare dalla terra queste pezzi di metallo prezioso e farli luccicare. Perché l’oro deve brillare!».

Queste parole venivano pronunciate domenica 11 maggio 2003, in occasione dell’inaugurazione del “Liceo don Orione” a Namehana, non lontano dalla capitale Tananarive.

È l’ultima nata fra le opere orionine, sparse ormai in trenta paesi del mondo. Segno che la forza dinamica che spinse oltre un secolo fa un giovane chierico di Tortona ad aprire un collegio per ragazzi poveri non si è ancora esaurita.

A cento anni dell’approvazione canonica della Piccola opera della divina provvidenza è giusto far luccicare i frammenti di oro che sono stati abbondantemente offerti a tanti poveri della terra.

Se vogliamo dirlo con le parole di Gesù: “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15).

Ora aspettiamo l’ultimo atto: che la Chiesa possa proclamare santo questo “strano prete”, come lo chiamò Silone; o questo “stratega della carità”, come ebbe a definirlo Giovanni Paolo I. E la fiaccola farà ancora più luce.

 

Pierangelo Ondei