CAPITOLO GENERALE OFM

CHIAMATI E INVIATI NEL MONDO

 

Per quattro settimane 147 frati capitolari provenienti dai cinque continenti si sono riuniti a S. Maria degli Angeli per il “Capitolo di Pentecoste”. Il tema: Vocavit nos Deus ut eamus per mundum.

 

I lavori del capitolo (25 maggio – 21 giugno) si sono basati sulla corposa, ricca e provocatoria Relazione al capitolo di fra Giacomo Bini, presentata a conclusione del suo sessennio alla guida dell’ordine (1997-2003). Relazione che, a partire dal documento del capitolo del 1997 Dalla memoria alla profezia, rifocalizza le priorità di tutta e di tutte le fraternità (spirito di orazione, comunione di vita in fraternità, vita in minorità, povertà e solidarietà, evangelizzazione, formazione e studi), offre provocazioni per l’oggi (il servizio del dialogo, conversione relazionale, autorità e obbedienza, santità fraterna, fraternità-in-missione, revisione delle strutture dell’ordine…) e prospetta scelte concrete per il futuro (dai segni dei tempi, al tempo dei segni; individuazione dei luoghi privilegiati di evangelizzazione missionaria; il coraggio di lasciarsi evangelizzare…).

Fr. Giacomo Bini ha sottolineato che solo l’uomo pacificato può portare la pace: «un luogo di frattura e di missione, forse un po’ dimenticato, ma che aspetta con urgenza la pacificazione e l’unificazione, è il nostro cuore, la nostra vita con Dio, la nostra stessa vocazione. Dove crediamo di andare, se stiamo solo fuggendo da noi stessi e dagli altri? Come annunciare la riconciliazione se non siamo riconciliati con noi stessi, con i nostri desideri, con il nostro passato, con il nostro lavoro, con i fratelli che ci vivono accanto? Come parlare di pacificazione se non siamo capaci di “abitare” con noi stessi? Purtroppo non mancano vocazioni missionarie segnate da ferite interiori, o motivate da insoddisfazioni e tensioni comunitarie, come anche il chiuderci nel “nostro” territorio non sempre significa un’attenzione maggiore ai nostri vicini: spesso è primariamente un’attenzione a noi stessi, alle nostre sicurezze, ai nostri privilegi… Se non intraprendiamo questo “viaggio missionario” dentro noi stessi, ogni altro viaggio, ogni altra attività di evangelizzazione, non porterà i frutti evangelici aspettati; mai saremo capaci di quella carità creativa e inventiva propria dei santi. Per questo Francesco, commentando la beatitudine evangelica dei pacifici, dice: “Sono veri pacifici coloro che, in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo” (Am 15)».

E come frati minori non vogliamo andare a nome nostro, ma come chiamati e inviati (vocavit nos Deus) dal Signore che ci parla attraverso la comunità. «Non vogliamo scegliere arbitrariamente i luoghi dove vivere; vogliamo lasciarci sedurre dai chiostri dimenticati, dai chiostri inumani dove la bellezza e la dignità della persona sono continuamente offuscate (cf. Rnb IX, 2). Vogliamo allargare lo spazio della nostra tenda per far nostre le gioie e le tristezze dei più poveri e di quelli che più soffrono» (documento finale del capitolo, Il Signore ti dia pace).

 

ANDARE RICONCILIATI

IN FRATERNITÀ

 

Nel ut eamus per mundum i frati minori hanno uno stile – ricorda fr. Giacomo Bini –, una metodologia missionaria inscritta nel cuore del loro carisma, della loro forma vitae, ed è quella che incontra ancora maggiori resistenze: l’evangelico «andare due a due per il mondo, l’andare riconciliati in fraternità. Nessuno mette in dubbio le capacità del singolo frate nei vari campi di apostolato, capacità che certamente vanno valorizzate. Tutti conosciamo bene la bontà di certe iniziative promosse dai singoli frati, che hanno anche superato la verifica del tempo quanto alla loro durata; tuttavia oggi ci viene chiesta una santità fraterna, una missione ed evangelizzazione progettata e attuata insieme (a livello locale, provinciale, interprovinciale, internazionale). È forse più difficile da concepire e realizzare, sicuramente richiede la rinuncia al nostro individualismo, ma è in sintonia con il Vangelo, più corrispondente alla nostra vocazione e missione, più significativa e comprensibile per il mondo in cui viviamo, sempre più provato da divisioni, violenze e guerre».

Posto il primato dell’iniziativa gratuita di Dio nel vocavit nos che ci costituisce fratelli inviati per mundum secondo la metodologia evangelica dell’andare due a due, vi è un ulteriore aspetto importante sottolineato nella Relazione da fr. Giacomo, già affrontato nel consiglio plenario OFM (Guadalajara 2001) e approfondito in questo capitolo generale: la revisione delle strutture.

 

STRUTTURE

PIÙ FLESSIBILI

 

«Dovremo prepararci a strutture più mobili e flessibili che possano garantire una comunione più vasta e profonda, per essere preparati di fronte a svolte epocali. Una vera riforma, o trasformazione della nostra vita consacrata, esige un cambiamento di mentalità, di cuore, di stile di vita… Le strutture che dovranno essere trasformate contemporaneamente sono: le strutture personali e interiori di ogni singolo frate. Curare, cioè, una solida formazione umana, cristiana e francescana che apra mente e cuore a orizzonte di vita nuovi, tenendo conto di ciò che è essenziale per la nostra vocazione e situando tutto il resto in questa prospettiva. Giungere a una coerenza di vita che diventi annunzio evangelico significativo per i nostri contemporanei».

Proprio in questa linea è stata emanata la nuova Ratio formationis franciscanae per tutto l’ordine. Ma questo non basta e fr. Giacomo continua richiamando anche tutte «le strutture organizzative e relazionali: quelle che regolano la vita della fraternità locale nelle sue linee essenziali e indispensabili alle quali siamo tenuti per onestà e rettitudine con la nostra stessa vocazione; quelle che regolano la vita della fraternità provinciale e universale in uno spirito di più ampia collaborazione; quelle che definiscono il nostro ruolo nella Chiesa: un ruolo da approfondire e inventare periodicamente per non ridurci ad una mera funzione di supplenza pastorale; quelle che esprimono la nostra relazione con il mondo nella sua complessità, varietà e mobilità». Infine non vanno certo dimenticate «le strutture esterne: l’ambiente esterno e vitale della nostra esistenza quotidiana, le nostre costruzioni, i nostri complessi murari, il nostro habitat. Tutto questo condiziona inevitabilmente le nostre strutture personali e relazionali». È necessaria una ristrutturazione per il futuro della nostra vita evangelica personale e comunitaria sempre rinnovata.

Un futuro che, nel discorso del nuovo ministro generale fra José Rodríguez Carballo a chiusura del capitolo, passa per la rifondazione, il ridimensionamento e il discernimento. «Quando parlo di rifondazione intendo dire semplicemente che dobbiamo continuare ad approfondire la nostra identità, i valori essenziali della nostra forma vitae». Se la crisi della vita religiosa in generale e della vita francescana in particolare non è semplicemente epidermica, bensì davvero profonda, «la soluzione non può essere in una innovazione superficiale, ma in una autentica ri-fondazione… Se è certo che il futuro nasce nel presente, se è certo che “non solo abbiamo una storia gloriosa da ricordare e raccontare, ma una grande storia da costruire” (VC 110a) non possiamo accontentarci di mettere toppe, di tappare buchi o, come dice il Vangelo, di cucire pezze nuove su vestiti vecchi (cf. Mc 2,21)».

Parlare di rifondazione per fra José R. C. significa «conversione profonda, nascita nuova; si tratta di verificare il nostro stile di vita, le nostre opzioni concrete, la coerenza della testimonianza e del servizio che vogliamo offrire agli uomini nostri fratelli». Di fronte alla tentazione di pensare alla sopravvivenza, alla gestione delle urgenze il ministro generale invita ogni frate, ogni fraternità locale e provinciale a mantenersi nell’atteggiamento di docilità allo Spirito per essere araldi entusiasti del Vangelo, per saper osare a rispondere con sapienza evangelica, coraggio e santità agli interrogativi dell’oggi di tanti fratelli e sorelle.

La rifondazione porta con sé profondi cambiamenti a livello personale, a livello comunitario e istituzionale, la rifondazione implica il ridimensionamento; il termine per molti può essere legato alla chiusura di case e attività, in realtà si tratta di «indentificare con precisione l’ortoprassi del nostro carisma. Il problema che abbiamo non è più di carattere teorico, ma di impegno e azione. Dobbiamo passare dal dire al fare, o meglio, dobbiamo continuare a parlare ma al tempo stesso dobbiamo agire». Con molta chiarezza viene richiesto a tutti questo ridimensionamento: «se non lo facciamo noi, lo farà il tempo». E questa situazione che forse molti non vorrebbero, che molti soffrono «può comunque produrre un effetto di risveglio: può tirarci fuori dalla notte e chiamarci a iniziare un nuovo giorno; può essere spina e carezza nello stesso tempo, mettendoci in movimento, interpellandoci, scatenando un cammino di riflessione, di decisione e di azione». Ridimensionare per tornare con fedeltà dinamica al nostro carisma, alla ricerca appassionata e costante della volontà di Dio, all’esercizio del discernimento spirituale e all’amore per la verità. Non quindi un problema di numeri ma ricerca di «significatività nel vissuto della nostra opzione vocazionale, di fedeltà a Cristo, alla Chiesa, a Francesco e all’uomo di oggi; in questo modo potremo costruire comunità più fraterne, capaci di lavare i piedi ai poveri e di dare un apporto insostituibile alla trasformazione del mondo». Ed è proprio il mondo (ut eamus per mundum) un riferimento costante della riflessione di questo capitolo generale: «questo ridimensionamento passa innanzitutto per il recupero della capacità di relazionarci con il mondo o, il che è lo stesso, per il recupero della comunicazione con gli uomini che ci circondano, particolarmente con quanti soffrono, con il mondo di quanti sperimentano “rotture” o “fratture”, ai quali siamo chiamati ad annunciare la pace che viene dal Signore lavorando per la giustizia e la pace (dal fondamentalismo al dialogo; il dialogo, via alla pace; itineranza, sorella della pace: sono tutti paragrafi fondamentali del documento finale di questa capitolo generale Il Signore ti dia pace). Non possiamo più rimanere chiusi nei nostri grandi o piccoli castelli: è necessario uscire, andare “a quelli vicini e a quelli lontani” per seminare nel cuore di tutti il germe della vita, i semi del Regno».

 

REVISIONE

DELLE PRESENZE

 

Il ridimensionamento obbliga anche alla revisione delle presenze. «Ridimensionare le presenze significa, prima di tutto, renderle più significative, più vive, perché possano affrontare le sfide del mondo e leggere in esse la presenza e la bontà di Dio, particolarmente in un tempo come il nostro di grandi cambiamenti socio-culturali, di grandi luci e di non poche ombre». Questo ridimensionamento è fondamentale affinché le nostre presenze possano diventare trasparenti lasciando intravedere la presenza del Regno. Il ministro generale richiama tutti i frati minori a questa urgenza. «Non possiamo sacrificare la vita al lavoro – per quanto importante esso sia – all’efficienza e all’utilitarismo sociale. Le strutture devono essere al servizio della vita e non la vita al servizio delle strutture. Ridimensionare le presenze esigerà infine rivedere l’ubicazione di alcune di esse, per essere più vicini alla gente». Ecco allora che la povertà evangelica non sarà un semplice esercizio ascetico solipsistico, ma «apriamo la nostra vita alla gente e solidarizzeremo con i poveri».

Il terzo elemento chiave a cui è richiamato tutto l’ordine dei frati minori è il discernimento come atteggiamento costante di itineranza mentale e strutturale. «Di fronte alla difficoltà di mettere d’accordo il semper e il novum, la fedeltà e la creatività, si impone il discernimento… Il nostro tempo è il migliore e il peggiore, l’ora della sapienza e l’ora della pazzia, l’epoca dei grandi credenti e quella dei grandi increduli, la stagione della luce e quella delle tenebre, la primavera della speranza e quella della disperazione… Nella situazione attuale siamo invitati a scrutare i segni dei tempi, a interpretarli alla luce del Vangelo, a intraprendere, in ogni tempo e luogo, il cammino di discernimento evangelico in una doppia prospettiva: “Esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21) e a prendere coscienza degli schemi personali e sociali che si oppongono alla vita per denunciarli e contribuire al loro superamento e, nello stesso modo, aprire gli occhi della fede e della speranza per cogliere, nel mezzo delle crisi, i sogni emergenti dell’umanità, per aprire sentieri nella nostra vita». Discernimento allora come momento essenziale per rivitalizzare il proprio carisma, la propria vocazione: «non si tratta semplicemente di scegliere ciò che è buono e di rigettare ciò che è cattivo. Si tratta di scegliere, tra ciò che è buono, quello che ci fa bene e risponde più adeguatamente alla nostra condizione di frati minori. “La testimonianza profetica esige l’esercizio del discernimento” (VC 84b). È necessario allenarci, personalmente e comunitariamente, nell’arte di cercare i segni di Dio nelle realtà del mondo (VC 68); è necessario imparare l’arte del discernimento».

Evidente la continuità e la sintonia di pensiero tra fr. José e fra Giacomo che ha concluso la sua relazione citando S. Kierkegaard: «Se potessi auspicare qualcosa, non vorrei né ricchezza né potere, ma la passione del possibile: vorrei soltanto un occhio che, eternamente giovane, brillasse eternamente dal desiderio di vedere il possibile» di Dio.

 

Fr. Gabriele Trivellin, ofm