DALLA PRIMA ALLA SECONDA CONVERSIONE

DA SERVI AD AMICI DI DIO

 

Nella vita spirituale non basta servire, per quanto generosamente, il Signore dedicando a lui le proprie forze e attività. Occorre andare oltre: diventare suoi amici per giungere a vivere una vita di comunione con la sua persona.

 

Tra le persone che si dedicano con impegno alla vita spirituale, ve ne sono alcune che fanno un’esperienza molto forte di Dio: quella dell’effusione dello Spirito, dell’incontro vivo col Dio vivente. Ma dopo l’emozione iniziale, non sempre il cammino di fede segue necessariamente i medesimi tracciati e lo stesso tipo di esperienza. Infatti, può capitare che col passare del tempo uno non “senta” più il Signore nel suo cuore come in precedenza. Più ancora, può subentrare un’impressione di aridità, di impotenza che sembra pervadere non solo la preghiera ma anche l’attività.1

Questo cambiamento di “clima interiore” che fa sembrare tiepidi e poco fervorosi, può sconcertare fino a suscitare degli interrogativi circa l’autenticità di ciò che si era vissuto in antecedenza. Si tratta forse di una forma di regresso spirituale? In mancanza di guide spirituali sperimentate, si può essere tentati di ricorrere ai cosiddetti salvatori del passato, col pericolo di fabbricarseli da sé. Di fronte all’aridità della preghiera c’è il rischio di abbandonarla dicendo: “Ho l’impressione di non essere che un ceppo arido, di avere un cuore di pietra… farei meglio a lavorare anziché stare là a perdere il tempo!”.

Che cosa avviene esattamente? In realtà forse questo è il momento favorevole in cui il Signore comincia a imprimere un nuovo ritmo ala nostra vita spirituale. Di qui l’importanza del discernimento che consente di sintonizzarsi meglio con questo ritmo.

Gli autori mistici conoscono bene queste fasi delicate del nostro cammino verso Dio. Per esempio, Teresa d’Ávila descrive così la situazione di quei cristiani che hanno veramente optato per il Signore e hanno organizzato la loro esistenza attorno a un certo numero di valori umani e cristiani. Li chiama “cristiani convinti”; oggi si direbbe “impegnati”: «Vivamente desiderosi di non offendere sua Maestà (il Signore) essi si guardano anche dai peccati veniali e sono amici di sua Maestà, riservano delle ore al raccoglimento, impiegano bene il loro tempo, si applicano alle opere di carità verso il prossimo, un ordine armonioso regna nel loro linguaggio, nei loro vestiti e nel governo della loro casa, se ce l’hanno».

Ma da fine psicologa qual è, mette il dito sul difetto fondamentale di questi “buoni cristiani”. Osserva che essi «amano molto il loro mettersi al servizio del Signore». È un modo pungente di denunciare una certa preferenza – più o meno cosciente – per la loro vita di servizio a scapito di colui che intendono servire.

Che cosa manca, allora? Certamente un po’ di umiltà, di quell’umiltà che riconosce per esperienza che tutto viene da Dio e, come conseguenza di questa convinzione, una consegna veramente radicale di sé al Signore. In effetti, la nostra tendenza abituale non è forse quella di comportarci come i “principali gestori” della nostra vita, mentre la vocazione battesimale esige per se stessa di essere affidati allo Spirito? È quanto afferma Paolo: «Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio» (Rm 8,14).

 

SECONDA

CHIAMATA

 

L’espressione “seconda conversione” è stata usata in passato dal gesuita p. Louis Lallemant (+ 1635) il quale distingue due momenti nella vita spirituale che corrispondono a due tipi di conversione: la prima consiste nel dedicarsi al servizio di Dio, la seconda nel “donarsi pienamente” a lui «il quale non vuole possederci che per liberarci dalle nostre miserie». Egli scrive tra l’altro: «Nella maggior parte dei santi e nei religiosi che diventano perfetti avvengono in genere due conversioni: una con cui si dedicano al servizio di Dio, l’altra mediante la quale si dedicano totalmente alla perfezione».2

Come rileva anche François Courel sj la seconda conversione «è il passaggio dal bene al meglio, da una vita religiosa onesta alla perfezione». È «una conversione a Cristo e alla sequela di Cristo, sotto la guida dello Spirito». Non è la «scelta di uno stato di vita», ma il dono totale e definitivo a una vita già scelta, una riforma sempre da realizzare all’interno di una vocazione.

Questa idea di riforma permanente o di ritorno al Dio vivente attraverso cammini a volte molto oscuri, è presente negli scritti di molti autori. Possiamo riferirci in particolare alle riflessioni di p. René Voillaume il quale, nel quadro della vita consacrata, non esita a parlare di una “seconda chiamata” percepita dopo molti anni di fedeltà al Signore. Bisognerebbe poter citare per intero la sua mirabile lettera del 17 marzo 1957, indirizzata ai Piccoli fratelli di Gesù in cui mette in guardia contro il “pericolo di perdita di sapore” sempre possibile. Scrive tra l’altro: «Imparare a superare generosamente le tappe successive della crescita di Cristo in noi è tanto importante quanto l’aver bene cominciato lasciando tutto per seguire Gesù, in occasione della prima chiamata che ci ha portato al noviziato».

Nella prima tappa, colui che desidera sinceramente donare la propria vita a Dio non ha ancora l’esperienza «dell’impossibilità umana e naturale… di vivere in armonia con l’ordine soprannaturale dei consigli. Nella giovinezza c’è in effetti una corrispondenza tra la generosità propria del temperamento di questa età e la chiamata di Gesù a tutto lasciare per seguirlo».

Poi, poco alla volta «con il tempo e la grazia del Signore, insensibilmente tutto cambia. L’entusiasmo umano lascia il posto a una specie di insensibilità verso le cose soprannaturali; il Signore ci sembra sempre più lontano e in certi giorni ci sentiamo possedere come da una stanchezza… In una parola, entriamo progressivamente in una nuova fase della vita, scoprendo, a nostre spese, che le esigenze della vita religiosa sono impossibili». È allora urgente riconoscere chiaramente questa «impossibilità radicale» alle sole forze umane. Padre Voillaume sottolinea che sentire questo apparente regresso non vuol dire che ci sia stata un’infedeltà grave da parte nostra, o un abbandono da parte di Dio. Ciò può essere semplicemente l’annuncio di una nuova fase del nostro cammino verso Dio: la fine dell’ “adolescenza” spirituale. La “seconda chiamata” avviene così all’interno di un’esperienza di povertà spirituale e solo un dono di sé rinnovato al Signore permette di entrare in maniera ancora più radicale nella prospettiva dell’assoluto evangelico. Si tratta dunque di “perdere” realmente la propria vita per ritrovarla intera nel Cristo e divenire così realmente suoi “amici”.

Anche Georgette Blaquière, grande testimone del rinnovamento carismatico, considera la seconda conversione dal punto di vista dell’amicizia con il Cristo. A suo parere, mentre la prima consiste nel passare dalla condizione di schiavo a quella di servo fedele; la seconda invece segna il passaggio da servo ad amico. Scrive: «La prima tappa della vita spirituale è quella del servo. La prima conversine consiste nel passare dalla condizione di schiavo a quella di servo, del servo fedele, libero, scelto e chiamato dal suo padrone. Egli si impegna con tutte la sua generosità, segue il suo maestro con tutto il suo amore…. Il servo fedele conosce il suo padrone e lo serve in vita e in morte… Quando Gesù dice: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15) è per far passare alla seconda conversione, a una seconda tappa dell’esperienza spirituale. Questa consiste nell’essere introdotti alla conoscenza del mistero, del progetto e del disegno misericordioso di Dio per la salvezza del mondo».

In altre parole: «C’è un momento per donarsi, e in generale è quello della giovinezza, e un momento per consegnarsi. Gesù si è consegnato. Noi quindi entriamo in questa comunione profonda con lui, impariamo a conoscere i disegni del suo cuore, della sua misericordia, della sua sapienza».3

Ma per passare dalla prima alla seconda tappa bisogna fare l’esperienza della propria miseria e povertà, «essere confrontati con la nostra incapacità a pregare, col nostro cuore di pietra e il nostro peccato…».

 

LA FORZA

DI UN DONO

 

Alla seconda conversione non si giunge a forza di grandi sacrifici, ma mediante un’iniziativa di Dio che mormora al nostro cuore Duc in altum; vai al largo! Qui, come altrove, «non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia» (Rm 9,16). Ciò che importa è saper rispondere a questa misericordia. Teresa di Gesù osserva: «Quale forza ha questo dono! Il meno che ottenga, se ne abbiamo la ferma decisione, è di condurre l’Onnipotente a fare una sola cosa con la nostra bassezza (debolezza), a trasformarci in lui. L’umile riconoscimento della nostra miseria, della nostra “bassezza” costituirà quindi il fondamento base della nostra risposta d’amore.

Occorre precisare che la vita mistica non si identifica in maniera pura e semplice con i favori straordinari; essa non è altro che la vita cristiana realmente e abitualmente guidata dalla Spirito che agisce attraverso i suoi doni ricevuti nel battesimo. La teologia classica parlando di questa azione nascosta dello Spirito – come di quella di Cristo – nel cuore del credente, parla di “missioni invisibili” e sottolinea la potenza particolare di alcune di queste “missioni” che permettono di superare una fase spirituale, di ricevere un carisma speciale o di intraprendere qualcosa di difficile. L’entrata nella vita mistica non è un «nuovo stato di grazia» secondo l’espressione di san Tommaso.

Essa corrisponde alla “notte dei sensi” descritta da san Giovanni della Croce, prima purificazione profonda (prima della “notte dello spirito”) che ogni amico fedele di Cristo è chiamato ad attraversare. Da notare che queste “notti” spirituali toccano sia la vita di preghiera sia la stessa attività. Esse sono perciò portatrici di speranza, poiché sfociano sempre su un di più di luce e di amore per la fecondità della Chiesa.

Certo la parola “notte” evoca l’idea di una morte a se stessi, quale conseguenza dell’azione congiunta dello Spirito e della libera collaborazione dell’anima alle sue esigenze. Lo scopo di questa purificazione, di giungere ad armonizzare meglio le diverse energie (sensibili e spirituali) della persona affinché si orienti a Dio con tutte le fibre del suo essere. La conseguenza di questo misterioso lavoro della grazia è la docilità crescente allo Spirito e la progressiva unificazione tra azione e contemplazione.

In effetti la separazione, o addirittura l’opposizione, che può esistere tra la preghiera e l’azione, tendono a scomparire nell’esatta misura in cui si progredisce nell’unione effettiva alla volontà di Dio. Infatti, l’apostolo contemplativo, compiendo la volontà di Dio, diviene capace di “nutrirsi” di lui (cf. Gv 4,34) in ogni circostanza, sia nella contemplazione sia nell’intensità dell’azione.

 

Per illustrare questa realtà, Teresa riprende le figure evangeliche di Marta e Maria, la prima simbolo dell’azione e la seconda della contemplazione. Scrive che “insieme” le due sorelle sono chiamate a «offrire ospitalità al Signore». L’una e l’altra, in effetti, devono “nutrire” il Signore – e nutrirsi di lui – compiendo la volontà del Padre attraverso il compimento della loro vocazione.

L’opposizione apparente tra il carisma delle due sorelle si risolve nell’unione della carità, nel senso che «nella vita attiva e che sembra esteriore, l’interiore agisce». Azione e contemplazione si compenetrano e si fecondano reciprocamente nell’amore: Maria è anche Marta e Marta è anche Maria.

Per il fatto della sua docilità allo Spirito, l’apostolo mistico è, allo stesso tempo, come svuotato di se stesso e riempito di Dio. Veramente egli è “convertito” ossia una persona fondamentalmente rivolta vero il Signore che trova in tutte le circostanze.

 

1 Le presenti considerazioni sono ricavate dall’articolo La seconde conversion, apparse in Vie consacrée, 2003 n. 3-4, 247-258, a firma di p. François-Régis Wilhélem, membro dell’Istituto di Notre-Dame de Vie e insegnante di teologia morale e di spiritualità presso lo Studium international de Théologie. Dal 2000 egli esercita anche la funzione di teologo nel “Comitato episcopale francese per il Rinnovamento e i movimenti di animazione spirituale”.

2 Introduzione e note a La doctrine spirituelle, coll. Christus, n. 3, DDB, 1959.

3 La seconde conversion in Tychique n. 130, novembre 1997.