INDAGINE SUL CLERO IN ITALIA

 

Un recentissimo sondaggio dell’Eurisko rileva che due italiani su tre sembrano essere d’accordo con l’idea di restituire evidenza alle “radici cristiane” nella futura Costituzione europea.

Il problema è che oltre metà di essi (38% della popolazione) pensa però che ciò vada espresso “nel rispetto delle altre religioni”: affermando così una concezione “relativa” del ruolo religioso come fondamento dell’identità europea. Questo fa dire a Ilvo Diamanti che gli italiani «attribuiscono alla religione uno spazio crescente, nella loro vita, nella definizione del mondo. Ma, al tempo stesso, la piegano alle loro domande, ai loro problemi… Da ciò la forza e la debolezza della religione e soprattutto della Chiesa cattolica, nel nostro tempo. Perché è pressoché unica a parlare, a offrire significati, carisma; a scavare nel fondo “irrazionale” delle nostre paure e delle nostre coscienze. Unica a offrire identità, aggregazione ai più giovani; pietà ai sofferenti; sicurezza e cittadinanza agli anziani; sostegno ai marginali e ai migranti. Una Chiesa “personalizzata”. Interpretata, coniugata, usata, secondo l’esigenza e l’interesse dei singoli. Una Chiesa sospesa, stirata: fra chi la accosta per motivi particolari e chi per soddisfare la domanda d’assoluto. Non possiamo non dirci cattolici, quindi. Figli di un Dio relativo» (La Repubblica, 22/62003).

Con questa prospettiva ci accostiamo al volume curato dal sociologo torinese, Franco Garelli, dal titolo Sfide per la Chiesa del nuovo secolo. Indagine sul clero in Italia (ed. Il Mulino, Bologna 2003).1 Il punto di osservazione prescelto è quello del clero che opera nelle realtà ecclesiali di base. L’indagine, realizzata tra il 2000 e il 2001, ha coinvolto un campione di 800 preti (85% secolari e 15% religiosi) rappresentativo degli oltre 37mila sacerdoti presenti in più di duecentoventi diocesi. Gli interrogativi di fondo rivolti loro sono stati i seguenti: la Chiesa deve essere di minoranza o di popolo? Come annunciare il Dio cristiano in una società in cui l’islam cresce, in cui la new age e le religioni orientali esercitano un forte richiamo? L’impegno nel campo della carità e nel volontariato non rischia di confinare la Chiesa nel ruolo di “infermiera della storia”? Come “rievangelizzare” i molti italiani che risultano cattolici più all’anagrafe che nei fatti? Come comporre la devozione per p. Pio con le altre spiritualità presenti nel mondo cattolico? La parrocchia è una formula ormai superata o trova oggi nuovi motivi di rivalutazione? Come coinvolgere i giovani e proporre i valori dello spirito da parte di un clero sempre più ridotto e anziano? La Chiesa e i credenti si stanno chiudendo nel loro ovile o sono in grado di dire la loro nel dibatto pubblico?

 

TRA DISINCANTO

E MEDIAZIONE

 

Contrariamente alle aspettative, la maggioranza dei sacerdoti appare possibilista circa le sorti della fede nel nostro paese. Si riconosce l’influenza della secolarizzazone, ma essa viene vista come difficoltà fisiologica interna alla modernità avanzata; non sono molto preoccupati dalla concorrenza di altre fedi religiose e dalla presenza di nuove offerte tipica di una società pluralista.

Alla base c’è l’idea che il messaggio cristiano abbia ancora molto da offrire all’uomo contemporaneo e che la sua afasia sia questione temporanea. Per far fronte a tali sfide la maggior parte è impegnata a ricostruire i tre pilastri del cattolicesimo italiano: la famiglia (luogo di trasmissione dei valori religiosi), la socializzazione religiosa delle nuove generazioni e la formazione. Non si è attenuata l’azione sociale e caritativa, ma essa viene considerata un campo di impegno che deve armonizzarsi al più generale intento di rendere evidenti i valori della fede. Solo un numero ristretto di preti opera una rottura del proprio statuto con l’impegno a favore dei più svantaggiati; non pare particolarmente avvertita l’esigenza di un ri-orientamento professionale e sociale della propria attività sacerdotale, tendenza che negli anni 1970 aveva spinto non pochi a impegnarsi come insegnanti, educatori, consulenti familiari ecc.

Nella percezione del clero vi sono numerosi indizi che il cristianesimo vissuto e partecipato è ormai un fenomeno di minoranza: la difficoltà nell’essere accettati per la loro identità religiosa spinge molti a dedicare le migliori energie al “popolo” dei “vicini”. Nella realtà, però, i sacerdoti odierni privilegiano strumenti che tendono a perpetuare un cattolicesimo di maggioranza: si può dunque ritenere che i credenti convinti siano una minoranza e nello stesso tempo operare per non disperdere il carattere popolare del cattolicesimo italiano. Di qui il modo “morbido” in cui sono affrontate questioni delicate, tra cui l’accesso ai sacramenti, la religiosità popolare e l’iniziazione; su tutto prevale l’istanza della “mediazione” per far giungere a tutti la proposta religiosa e per operare un mix fra tradizione e innovazione.

Leggendo i dati dall’angolatura dello stato di salute dell’organizzazione ecclesiale e dei modi in cui è esercitata l’autorità, emergono i seguenti elementi: la figura del prete appare ancor oggi fortemente legata alla parrocchia (non c’è clero senza parrocchia e non c’è parrocchia senza clero!); la condivisione dei programmi pastorali nazionali non riduce però la distanza nei confronti della Chiesa nazionale; anche a livello di Chiesa locale il clero risulta distaccato da uffici e servizi di curia così come dai formatori e dai teologi della diocesi; un diffuso consenso riguarda invece sia il papa che il proprio vescovo locale. Il modello formativo risulta ancora centrato sull’impegno e sulla dedizione personale: grande attenzione viene riposta nell’essere uomini di fede, testimoni vicini alla gente; c’è scarsa considerazione per qualità più tecniche o manageriali (riflessione culturale, programmazione, conduzione della comunità, formazione del personale, collaborazione con altri enti) e per la moderna logica della rete. Non mancano tensioni e segnali di disagio, tipici di una condizione di vita in costante ridefinizione: non pochi i preti che ammettono problemi di solitudine, alcuni sembrano in difficoltà nel rimodellare il proprio ruolo.

 

NELLA SOCIETÀ

COMPLESSA

 

Dalla ricerca appaiono tutte le difficoltà che i preti incontrano a orientarsi nella complessità. Alla domanda sui problemi ecclesiali più rilevanti essi rispondono denunciando la crisi delle vocazioni sacerdotali (54%), la difficoltà di aggiornare il linguaggio religioso (43%) e quella di proporre il Vangelo in una società secolarizzata. Il 91% dichiara che le famiglie non sono più luogo di esperienza e formazione religiosa, il 73% rileva che i riti liturgici hanno perso la capacità comunicativa, il 69% denuncia la lontananza della gente dalla morale sessuale e familiare della Chiesa, il 67% ritiene che la pastorale sia condizionata dalla generica appartenenza degli italiani al cattolicesimo e il 58% individua nell’assenza degli adulti e nella non chiarezza dei criteri di accesso ai sacramenti i problemi più rilevanti. L’aspetto ritenuto indispensabile è l’individuazione di nuove modalità di coinvolgimento della gente, considerata importante da quasi il 90%: il rischio che traspare sullo sfondo è che la Chiesa smarrisca il contatto con la sua base, trasformandosi in una istituzione che parla a se stessa.

Nei riguardi della modernità, i sacerdoti più anziani manifestano una reazione un po’ confusa e frastornata, i più giovani invece una reazione disincantata, pragmatica e realistica. Tra gli strumenti pastorali ritenuti più utili risultano la benedizione nelle case (83%), le preghiere di caseggiato (67%), la visita ai malati (96%), i corsi di preparazione al matrimonio (89%) e i campi estivi per giovani (88%); fanno più problema invece le missioni popolari e i gruppi di ascolto del Vangelo (utili soprattutto nelle parrocchie cittadine), la celebrazione della festa patronale (soprattutto al sud), novene e processioni, i grandi raduni giovanili.

I preti oggi, infine, amano sì attorniarsi di laici, ma per attribuire loro ruoli diversi da quelli di corresponsabili nella gestione e nella programmazione della parrocchia che frequentano: inquilini di una struttura ancora saldamente in mani clericali. I sacerdoti hanno oggi un’idea della parrocchia più ricca e profonda che nel passato, ma sembrano poco attenti alle attese della gente nei confronti della parrocchia stessa. I segnali di questo scollamento tra la parrocchia vista dai preti e quella vista dalla gente sono: fatica e solitudine nel lavoro pastorale, adulti impegnati ma giudicati poco formati, scarsa qualità della pratica religiosa. Su questo punto occorrerà meditare attentamente per non approfondire quel sentimento di estraneazione dal corpo sociale della comunità che la riflessione conciliare aveva tentato di eliminare in favore di una concezione integrata della Chiesa, unificata nella categoria di popolo di Dio al cui interno il presbiterio è essenzialmente servizio.

 

M. C.