GRAVE MINACCIA PER I MISSIONARI

DRAMMA NEL NORD UGANDA

 

Non c’è nulla di più pericoloso di un pazzo con in mano un fucile, a capo di una banda di fanatici ribelli. È questa la situazione in cui versano in questo momento le popolazioni del nord Uganda. A essere presi di mira sono soprattutto le chiese e i missionari.

 

La guerra civile che insanguina il nord Uganda sta trasformandosi in un lento genocidio delle popolazioni nilotiche che vivono nei distretti di Gulu, Kitgum, Pader, Apac e Lira. Su una popolazione di un milione e 400 mila abitanti d’etnia acholi e lango, circa 850mila sono sfollati e vivono all’addiaccio in condizioni umanitarie disperate per la mancanza di cibo e medicinali.

A seminare morte e distruzione sono i ribelli del sedicente Esercito di resistenza del Signore (LRA), chiamati comunemente dalla gente olum (“erba” in lingua acholi). Si tratta di un movimento nato nel 1988, a seguito della sconfitta militare di Alice Lakwena, leader di una fazione antigovernativa soprannominata Esercito dello Spirito Santo. Fu proprio allora che un suo presunto cugino, un certo Joseph Kony, fondò un nuovo gruppo armato denominato prima Forza mobile dello Spirito Santo e successivamente Esercito di resistenza del Signore. Ancora oggi un alone di mistero pare celare questa compagine che nei fatti ha purtroppo raggiunto vertici di violenza che io stesso, alla luce della mia esperienza diretta sul campo, definisco ben al di là degli orrori perpetrati dal pur sanguinario movimento sierraleonese del Fronte unito rivoluzionario (Ruf) di Foday Sankoh.

 

RIBELLI GUIDATI

DA UNO SQUILIBRATO

 

I giovani combattenti dello LRA definiscono Kony un “santo maestro”, un “profeta buono”, come se avessero subito una sorta di lavaggio del cervello e la ragione fosse stata azzerata da chissà quale malefico artificio. Addirittura c’è chi parla di un’ipnosi collettiva operata dal padre fondatore dello LRA. Senza ombra di dubbio, è un “pazzo lucido” che da anni riesce a far fronte, incontrastato, a una crociata assurda contro il governo di Kampala con l’intento dichiarato d’imporre a tutti i costi il decalogo dell’Antico Testamento al posto della costituzione attualmente in vigore in Uganda. Il suo credo è un miscuglio di credenze che legittimano il ricorso alla violenza contro chiunque intenda protestare con l’uso della ragione o del semplice buon senso. Basti pensare che il 12 giugno scorso ha annunciato di voler uccidere i missionari e chiunque, nella società civile, ostacoli il suo cammino verso la vittoria. D’altro canto, risulta assai arduo comprendere la follia di Agnes Akot, 36 anni, che poco più di una settimana fa, con il suo ultimo nato stretto in un fagotto sulle spalle, imbracciando con disinvoltura il mitra, ha assalito la missione cattolica di Madi Opei, picchiando a sangue un anziano catechista e sparando all’impazzata all’interno dell’edificio parrocchiale.

Ma chi sono i ribelli dello LRA? Quando nel gennaio del 1986, Yoweri Museveni, presidente ugandese attualmente in carica, conquistò Kampala, Kony aveva venticinque anni. Nato a Odek, nei pressi di Opit, nel distretto di Gulu (nord Uganda), il capo degli olum manifestò sin da bambino profondi segni di squilibrio. I suoi genitori lo affidarono a uno stregone locale. Sua madre raccontò a padre Raffaele Di Bari, missionario comboniano ucciso dallo LRA il 1 ottobre del 2000, che il figlio era stato sottoposto a una sorta d’esorcismo. Con il risultato, disse sempre la donna, di essere posseduto permanentemente da uno “spirito di guarigione”. La verità è che, negli anni, il suo stato mentale è peggiorato notevolmente. Nel 1994, a seguito di un contatto diretto con l’esercito governativo sudanese, Kony s’impegnò a combattere contro Kampala reclutando forzatamente bambini (prevalentemente dagli 8 ai 16 anni) nei distretti acholi e lango del Nord Uganda. In cambio, le autorità sudanesi decisero di fornire armi e munizioni, oltre che concedere ai ribelli le basi operative sul proprio territorio a Jabulen (Equatoria, Sud Sudan), al 39° miglio sulla strada che collega Juba a Nimule. Per ammissione dello stesso presidente sudanese Omar Hassan el Beshir, prima che le relazioni tra Khartoum e Kampala si normalizzassero un paio d’anni fa, lo LRA è stato appoggiato per oltre un decennio dal suo esercito, in funzione anti-ugandese. Ma testimonianze dirette, raccolte in questi giorni da ragazzi che sono fuggiti dalle mani di Kony, smentiscono le affermazioni del leader sudanese. Khartoum continuerebbe infatti ad appoggiare Kony, fornendo equipaggiamento militare ai ribelli e recapitandolo a Nisitu, una località a sud di Juba controllata dallo LRA. In effetti, nei mesi scorsi, la riconquista della cittadina sudsudanese di Torit da parte dei governativi sudanesi sarebbe stata possibile proprio grazie all’aiuto dello LRA. Nel frattempo Kampala continua a essere un fedele alleato di John Garang, leader storico dello Spla (Esercito di liberazione popolare del Sudan), formazione antigovernativa sudsudanese. Alcuni osservatori ritengono che un accordo di pace tra il governo sudanese e lo Spla, in fase di definizione a Machakos in Kenya, possa giovare anche alla causa di pacificazione nel nord Uganda. Anche se, a detta di molti, lo LRA sembra ormai una scheggia impazzita che solo un contingente militare internazionale (una forza di peacekeeping, sotto l’egida dell’Onu) potrebbe arrestare.

Una cosa è certa. La condotta dei ribelli non ha nulla a che fare con il Vangelo. Padre Elia Pampaloni, parroco della cattedrale di Gulu, rileva che nei registri parrocchiali di Opit non risulta neppure che Kony sia stato battezzato. «La guerriglia – spiega – sta rendendo la vita impossibile a tutte le comunità cristiane del nord Uganda e la gente è ridotta all’esasperazione». Il fatto che l’esercito non sia mai riuscito a piegare gli olum, secondo fonti dell’opposizione ugandese, dimostra la scarsa volontà politica di Museveni di risolvere il problema. Kampala, infatti, dispone di truppe ben addestrate che hanno operato per anni nell’ex Zaire. Viene il dubbio che la guerra nel nord del Paese serva a tenere a bada gli acholi, tradizionalmente ostili nei confronti del leader ugandese.

 

IN 20 ANNI

UNDICI COMBONIANI UCCISI

 

Nell’arco degli ultimi vent’anni, undici comboniani e una comboniana sono stati uccisi in varie circostanze in Uganda. Due di loro, padre Egidio Biscaro e padre Di Bari sono stati proprio vittime dei ribelli.

Il primo cadde in un’imboscata sulla strada tra Kitgum e Pajule il 29 gennaio del 1990. Padre Di Bari fu assassinato dieci anni dopo. In questo contesto geopolitico a dir poco sconvolgente, l’unico vero segnale di distensione era rappresentato fino a non molto fa dall’iniziativa di pace promossa dall’ARLPI (Acholi religious leaders’ peace initiative), il cartello delle comunità religiose presenti nei distretti acholi del nord Uganda. Si tratta di un gruppo di persone, guidate dal coraggioso e temerario arcivescovo di Gulu, monsignor John Baptist Odama, che ha sempre creduto nella soluzione non violenta della crisi armata, incontrando, dal luglio del 2002 all’aprile del 2003, ben 20 volte i ribelli nel bush (bosco).

Purtroppo, però, anche questi tentativi negoziali sembrano essere naufragati da quando, un paio di mesi fa, la mancanza reciproca di fiducia tra governativi e ribelli ha determinato la sospensione di ogni forma di dialogo. Ciò non toglie che questa organizzazione abbia il grande merito di aver promosso in Uganda, in modo efficace, una national awareness (coscienza nazionale), soprattutto nel contesto delle comunità cristiane dell’Uganda centrale e meridionale. Va infatti riconosciuto che il governo di Kampala non ha mai brillato nel presentare la verità sul nord all’opinione pubblica.

Al momento, lo LRA risulta organizzato in cinque brigate: Control Altar, sotto il diretto comando di Kony; Sinia, agli ordini del colonnello Charles Tabuley; Stockree diretta dal colonnello Abudema Buk; Gilver guidata dal colonnello Ocan Bunia; e Trinkle comandata dal colonnello Okot Odyambo. Secondo fonti ben informate, il numero dei ribelli è stimato attorno alle 3.500/4.000 unità, di cui il 90% risulta essere stato rapito in età preadolescenziale o adolescenziale. Addirittura il colonnello Tabuley sarebbe stato catturato dagli olum e poi successivamente avrebbe conquistato la stima di Kony al punto da essere nominato colonnello di brigata.

I bambini rapiti entrano a far parte del movimento solo dopo l’unzione (in acholi wiro ki moo) che viene somministrata sul corpo della nuova recluta secondo un rituale ideato dallo stesso Kony. Lo scopo è duplice: serve a proteggere il giovane combattente dal fuoco delle pallottole e a vincolarlo al movimento attraverso un legame ritenuto dagli stessi ribelli indissolubile. Sta di fatto che gli olum operano spesso sotto l’azione di stupefacenti per trovare il coraggio di uccidere e compiere altre atrocità.

In questo inferno di dolore, la missione cattolica di Kitgum, 500 chilometri a nord della capitale ugandese, Kampala, è un fortino di Dio dove chi ci vive si sente testimone inerme di un’orribile mattanza. Intanto, proprio a Kitgum, il rischio che la missione cattolica possa essere attaccata dai ribelli è sempre alto, soprattutto se si pensa che nelle ultime ore è salito a oltre 700 il numero dei bambini che, per timore d’essere sequestrati dallo LRA, hanno trovato ospitalità negli edifici del catecumenato parrocchiale. Di notte le ore sono spesso scandite dalle sparatorie che avvengono a pochi chilometri dalla città. A pagare il costo più alto di questa “guerra civile” è la povera gente, soprattutto i più piccoli. Tutti devono essere arruolati, anche i seminaristi dell’arcidiocesi di Gulu sequestrati nel maggio scorso dagli olum.

Un proverbio acholi dice che «un pazzo è riconoscibile non solo dalle parole, ma soprattutto dalle azioni». È il caso di Kony, ma anche di chi acconsente a un simile degrado della condizione umana.

 

Giulio Albanese direttore di MISNA, agenzia di

stampa delle congregazioni missionarie