XXI CAPITOLO GENERALE DEI DEHONIANI
UN CUORE APERTO E SOLIDALE
Il capitolo ha incentrato l’attenzione su tre aspetti
fondamentali: spiritualità, comunità, missione. Urgente più che mai essere
«profeti dell’amore e servitori della riconciliazione». Preoccupano il calo
numerico e i problemi di sopravvivenzanelle “province madri” europee.
Spiritualità, comunità e missione sono i tre temi sui
quali sono andate maturando le riflessioni più significative del XXI capitolo
generale dei dehoniani, celebrato nel contesto del 125° di fondazione
dell’istituto (1878), e conclusosi il 13 giugno, dopo cinque lunghe settimane
di lavori; su questi temi, indicati dai superiori maggiori dell’istituto ancora
nel novembre del 2001, si erano successivamente svolti i vari capitoli
provinciali ed era stato redatto l’instrumentum laboris da parte della
commissione preparatoria del capitolo generale.
Una spinta determinante per la impostazione dei lavori
del capitolo era venuta dal superiore generale, p. Virginio Bressanelli (al
quale, proprio in questo capitolo, è succeduto il quarantanovenne padre Ornelas
José de Carvalho, attualmente superiore provinciale in Portogallo, foto a p.
13) con la sua lettera del 14 marzo 2003 alla congregazione, in occasione dell’anniversario
della nascita del fondatore, p. Leone Dehon, di cui la commissione medica
presso la congregazione delle cause dei santi, proprio nel corso dei lavori
capitolari, ha definitivamente riconosciuto un miracolo, avvenuto nel 1954 in
Brasile.
ZAVORRA GIURIDICA
E POSSIBILITA’ CARISMATICHE
Le due espressioni più ricorrenti nei documenti
preparatori, negli interventi in aula dei capitolari (81 in rappresentanza dei
2.250 dehoniani sparsi nel mondo) e nei documenti conclusivi e programmatici
sono forse quelli di “rifondazione” e di “sfide del nostro tempo”; sono le
espressioni più ricorrenti anche in tanta recente letteratura sulla vita
consacrata. Se, come si ripete con sempre maggior frequenza, un certo stile di
vita religiosa ha ormai fatto definitivamente il suo tempo, se oggi incombono
anche sulla vita religiosa nuove e impegnative “sfide”, ecco allora l’esigenza
di passare coraggiosamente dal semplice “rinnovamento” voluto a suo tempo dal
concilio alla “rifondazione” vera e propria di un certo modo di intendere e
vivere la vita consacrata.
Ma un capitolo non è abitualmente il luogo più adatto per
un approfondimento sistematico di tutte le implicazioni teoriche e pratiche di
un processo di rifondazione. Soprattutto in un capitolo generale si tocca con
mano la fondatezza di un interrogativo che la commissione teologica dell’Unione
dei superiori generali si poneva in un suo recente documento: «La vita
consacrata non ha forse attualmente un’eccessiva zavorra giuridica, che in
certa misura schiaccia le sue possibilità carismatiche?». La preparazione, la
presentazione, la discussione e la votazione, ad esempio, di mozioni e
contro-mozioni, a volte di secondaria importanza per la vita e il futuro di un
istituto religioso, quanto spesso poi, in capitolo, sottraggono tempo prezioso,
energie e anche soldi, a tutto scapito delle sue potenzialità carismatiche.
Almeno in parte, questo si è verificato anche in questo
capitolo generale. Grosse novità, a parte il rinnovo al completo del consiglio
generale e la definitiva ristrutturazione della congregazione in provincie,
regioni e distretti (questi ultimi dipendenti o dalla curia generalizia o da
una singola provincia), non ce ne sono state; in capitolo non c’è stato neanche
il tempo per una approfondita presa di coscienza di tutte le potenzialità
apostoliche dell’istituto; almeno in parte è mancato anche un dibattito
dialetticamente più vivo e costruttivo; questo comunque non ha impedito, alla
fine, di “convenire” su alcuni capisaldi di fondo determinanti per il futuro
dell’istituto.
Molto opportunamente, nel documento programmatico
conclusivo, è stato mantenuto lo schema del documento preparatorio; vale a
dire, per ognuno dei tre temi di fondo, spiritualità, comunità e missione, si è
partiti anzitutto dalle radici dehoniane, si è poi passati ad alcuni
orientamenti propositivi e si è concluso con delle raccomandazioni operative.
COMUNITÀ
E MISSIONE
La costruzione di un mondo nuovo, nella fedeltà al
proprio fondatore, per i dehoniani parte dalla comunità; con molta chiarezza
nelle costituzioni è detto che la vita fraterna in comunità è lo specifico modo
dehoniano di aprirsi ai fratelli e alla missione, è la prima opera apostolica;
anzi, la comunità, è detto nel documento finale, viene prima della missione. La
comunità locale soprattutto è il primo luogo dove concretamente si può vivere
il passaggio dall’”io” al “noi”, imparando a condividere la fede, i progetti, i
beni, in un fondamentale atteggiamento di rispetto dell’altro. Se una certa
regolarità nella vita comunitaria conserva ancora il suo valore, oggi però non
è più possibile identificare la vita comune con la pura regolarità; se, nella
tradizione dehoniana, la comunità è la prima opera apostolica, la prima forma
di missione e anche il criterio fondamentale per assumere ministeri e opere,
tutto ciò non è possibile senza un ritorno “sine glossa” al vangelo, senza la
testimonianza concreta al mondo del fatto che ancora oggi è possibile la
fraternità dei discepoli del Signore.
Mai come oggi forse si è coscienti che la vita
comunitaria è la grande sfida per il futuro della vita religiosa. Alla
comunità, però, bisogna formarsi, crederci, costruirla giorno per giorno;
bisogna non indietreggiare di fronte alle non poche difficoltà, dai complessi
di inferiorità-superiorità fra persone di culture diverse soprattutto nelle
sempre più frequenti comunità internazionali, alla mancanza di maturità
psicologica, di fiducia reciproca e di sincerità, alla esclusiva ricerca della
propria realizzazione. Proprio per questo la sensibilità comunitaria non può
non essere un criterio fondamentale anche nel discernimento vocazionale, nella
formazione iniziale e permanente.
Non può esserci però vera comunione senza una effettiva
apertura all’altro, senza preghiera comune, senza condivisione di fede, di
progetti e anche di beni. Il ruolo stesso dell’autorità va ripensato proprio a
partire dalla comunità in seno alla quale vanno costantemente promosse la
corresponsabilità, l’elaborazione e la verifica dei vari progetti apostolici,
l’assunzione delle scelte prioritarie, in un costante atteggiamento di apertura
alle esigenze religiose, ecclesiali e sociali del proprio ambienti. La comunità
ovviamente non è solo quella locale; c’è anche quella inteprovinciale, quella
del “noi congregazione”; è una sensibilità da rafforzare con sempre maggiore
convinzione in vista di una collaborazione, di una condivisione di persone e di
beni, di una realizzazione congiunta della missione comune.
UN CUORE
APERTO E SOLIDALE
La missione infatti, come è detto nei documenti finali
del capitolo, parte dalla comunità ed è animata dalla spiritualità. Cercando di
chiarire lo slogan di fondo del capitolo: “Dehoniani in missione, un cuore
aperto e solidale”, nel documento si dice che la missione dei dehoniani è una
missione radicata nella contemplazione di Cristo (cuore aperto) che va al mondo
portando il mistero di Dio, la sua benevolenza, la sua immagine riflessa in
ogni persona (cuore solidale).
Anche parlando di missione, il punto di partenza è sempre
la sensibilità evangelica di padre Dehon, la sua piena consapevolezza delle
carenze della società e della Chiesa del suo tempo; ora, tutto questo per un
dehoniano significa dare risposte al mondo della cultura e della comunicazione
globalizzata; significa ancora, partendo dalla propria spiritualità,
evidenziare e perseguire alcune chiare priorità: formazione delle coscienze,
diffusione della dottrina sociale della Chiesa, apertura missionaria ad gentes,
temi sui quali si è efficacemente soffermato, nella sua ampia relazione, anche
il saveriano p. Gabriele Ferrari.
Scopo fondamentale della missione dehoniana è l’annuncio
dell’amore in un mondo che ha perso il senso della trascendenza e del mistero
di Dio e dell’uomo. Ma per camminare in questa direzione non basta, come
auspicava qualche confratello capitolare, una “cultura del cuore”; occorrono
invece anche il dono della sapienza, quello dell’intelligenza, occorrono
lucidità e profezia insieme per leggere e cogliere in profondità le sfide di
oggi in vista del futuro.
Quante volte anche nel corso di questo capitolo è
risuonata una felicissima espressione (delle costituzioni) che ha avuto e
continua ad avere nel vissuto e nel linguaggio dei dehoniani una enorme
risonanza: profeti dell’amore e servitori della riconciliazione. Ma non basta
semplicemente ripeterla, quasi avesse da sola un potere taumaturgico, capace di
trasformare non solo la realtà ma anche le persone; è necessario viverla,
incarnarla nella complessità del presente. Solo allora acquistano spessore
tutti gli ambiti preferenziali di impegno apostolico riconfermati anche dal
recente capitolo: da quello della formazione, a quello della pastorale
giovanile e vocazionale, della cultura e della comunicazione, dell’impegno
sociale e della missione ad gentes.
Di fronte all’eventualità che ogni provincia, ogni
regione, ogni distretto dell’istituto rischi di andare dritto per la propria
strada ignorando quanto e come si fa nelle unità diverse dalla propria, ecco
l’invito del capitolo a favorire incontri internazionali di settore anche in
vista di progetti comuni: dalle attività editoriali e dei mezzi di
comunicazione, al settore educativo dei giovani e della pastorale vocazionale,
a quello della formazione dehoniana alla missione, al rilancio convinto della
Famiglia dehoniana, alla quale, per la prima volta, con una specifica mozione,
ha formalmente aderito l’istituto dei dehoniani; senza una rete informativa e
uno scambio di esperienze di quanto avviene e di quanto si fa anche a livello
di istituto, è difficile dare concretezza ad un programma come quello di “Noi
congregazione per la missione”.
Proprio per questo non si dovrebbe lasciare nulla di
intentato; e in capitolo sono state ribadite precise indicazioni di percorso:
dal rilancio del centro studi della congregazione, alla istituzione di un vero
e proprio ufficio stampa, alla valorizzazione dei tanti centri di studio e di
spiritualità esistenti nelle diverse aree geoculturali, ad una piena e critica
utilizzazione di tutti gli strumenti di informatica ormai un po’ ovunque
diffusi, al coraggio di ripensare e anche di chiudere tutte le opere e le
strutture ormai non più significative.
LA CRISI DELLE
“PROVINCE MADRI”
Dopo il placet del capitolo per una nuova missione
interprovinciale in Angola e l’invito a chiarire meglio tutte le condizioni per
avviare un analogo progetto in Vietnam, nel documento finale c’è un passaggio
che necessiterebbe di uno sviluppo molto più articolato di quanto non sia stato
fatto durante il capitolo stesso; è il punto in cui si invita a «collegare le
presenze missionarie ad gentes e i settori di frontiera con l’animazione della
ordinarietà della nostra missione apostolica». Anche se non detto
esplicitamente, qui sono chiamate in causa le “province madri” della
congregazione, quelle europee.
Proprio nel corso dei lavori capitolati era stato
statisticamente dimostrato lo spostamento geo-culturale e numerico della
congregazione dall’emisfero nord a quello del sud orientale, anche se poi,
aveva detto p. Bressanelli nella sua relazione introduttiva, il polo direttivo
dell’istituto è ancora tutto saldamente ancorato al nord. È un problema questo,
crediamo, non solo dei dehoniani, ma di gran parte degli attuali istituti
religiosi. L’invecchiamento dei religiosi e la carenza di vocazioni sono due
fattori nettamente più sensibili soprattutto nei paesi occidentali. In Olanda,
la provincia dehoniana più numerosa fino ai tempi del concilio, è già scattata
l’ora x, il 2038, come probabile data di sopravvivenza dell’ultimo dehoniano
olandese. In altre provincie nord europee, per la progressiva contrazione
numerica dei religiosi, sono già stati concretizzati o avviati processi di
unificazione. Di fronte ai sempre più diffusi fenomeni del genere, sarebbe
stato opportuno, in sede capitolare, trovare il tempo per interrogarsi seriamente
se forse non siano in gioco non solo il futuro dei dehoniani e di tanti altri
istituti religiosi, ma anche il futuro del cristianesimo stesso in Europa.
Fin dagli inizi del suo pontificato Giovanni Paolo II ha
parlato di un’urgenza su tutte, quella della “nuova evangelizzazione” nei paesi
occidentali, paesi nei quali è nata anche la grande maggioranza degli istituti
religiosi che si sono poi ampiamente diffusi in tutto il mondo; è sotto gli
occhi di tutti, infatti, la perdita di significatività del messaggio cristiano
nella nostra società.
Problemi di questo genere non si risolvono certo
importando dagli istituti religiosi e dalle chiese dell’Asia o dall’Africa
forze giovani; questo anzitutto perché le vocazioni asiatiche o africane anche
ammesso ma non concesso che continui a lungo un trend di sviluppo vocazionale
promettente, almeno in molti casi, come quello attuale saranno sempre più necessari nei propri
paesi d’origine; ma più ancora, poi, perché il primo passo per «rifare il
tessuto cristiano delle nostre comunità ecclesiali», compete essenzialmente
alle Chiese occidentali stesse.
Il processo di unificazione e la progressiva
islamizzazione dell’Europa in corso, un processo che secondo alcuni osservatori
è forse più correlato di quanto non sembri, potrebbe rendere ancora più
problematica e più urgente insieme la “rievangelizzazione” delle nostre
comunità cristiane; è questa sicuramente la grande sfida del nostro tempo di
fronte alla quale si trovano non solo l’istituto dei dehoniani, ma anche tutti
gli altri istituti religiosi e la Chiesa nel suo complesso; è una sfida che
nasce dalla piena consapevolezza di tutte le conseguenze, negative o positive,
che, come in passato anche nel presente, si ripercuoterebbero sicuramente anche
in tutte le unità religiose sud orientali, nate dalle provincie madri europee.
Angelo
Arrighini