UNA RELAZIONE NELLA LIBERTÀ
PER UNA AUTENTICA FORMAZIONE SPIRITUALE
Accompagnatore e accompagnato sono soggetto della
relazione. Il primo come testimone del passaggio di Dio nella vita di una
persona; il secondo come persona che chiede di camminare nella luce.
Il ministero dell’accompagnamento spirituale (AS) punta a
una nascita sempre più piena della nuova creatura in Cristo. È, in altre
parole, il compito di chi si rende disponibile a fare qualcosa per facilitare
la trasformazione dell’individuo in una persona spirituale (cf. Rm 8,5). Nel
cammino che porta il cristiano a divenire “uno” con il Signore,
l’accompagnatore spirituale vero e proprio è lo Spirito Santo: tutte le forme
di accompagnamento spirituale presenti nella Chiesa non sono altro che
strumenti nelle mani dello Spirito per operare la trasformazione di ogni uomo
nell’immagine del Figlio, «finché Cristo sia formato in voi» (Gal 4,19).
Con questo concetto di fondo si apre un intervento di p.
Eddie Mercieca, gesuita e direttore di un centro di spiritualità ignaziana, con
l’intento di riflettere sugli atteggiamenti che caratterizzano entrambi i
protagonisti di quella relazione che è sempre stata denominata “direzione
spirituale”.1
ANZITUTTO
LA RELAZIONE
Al centro si pone la relazione, che ha caratteristiche
proprie. L’AS è realtà che avviene tra due persone credenti, e p. Mercieca
sottolinea il sostantivo “persona”. Infatti «tutti i fenomeni che si verificano
in una relazione interpersonale (la presenza di meccanismi difensivi,
manifestazioni dell’inconscio, resistenze, trasferenze e controtrasferenze, ecc.)
sono presenti anche nell’AS». La vita nello Spirito non può prescindere da
questi fenomeni che caratterizzano la relazione umana, se non vuole scadere in
una vita spirituale immatura e malsana. Maturità umana e maturità spirituale
non corrono parallele come due binari, ma si alimentano e si condizionano
reciprocamente.
Che cosa porta un religioso ad accettare, o a offrirsi,
di essere un accompagnatore spirituale? E che cosa motiva a chiedere un AS?
Essere consapevoli della motivazione è fondamentale all’inizio
dell’AS, quando tra i protagonisti di questa particolare relazione si
stabilisce il “contratto”, o l’“alleanza”, da cui emergono le aspettative e gli
impegni dell’uno e dell’altro. «Per la persona accompagnata – suggerisce p.
Mercieca – la coscienza di ciò che lo motiva nella sua ricerca spirituale
condiziona la crescita spirituale ed equilibra lucidità nel processo. Per la
persona che accompagna, la coscienza permanente della sua motivazione è la
chiave per centrarsi sull’altra persona e non danneggiarla, per vivere nella
relazione l’adeguata distanza affettiva, per non ingannarsi». Nel verificare
queste motivazioni risulta utile anche confrontare il modo di portare avanti
questo servizio con un gruppo di persone che svolgono il medesimo impegno.
L’AS si caratterizza per lo spirito di libertà. Che non è
solo il frutto di fiducia e chiarezza negli obiettivi condivisi, ma soprattutto
è effetto dello Spirito Santo che agisce nella relazione. Questo “regalo” del
Signore produce un clima di fiducia ed esigenze che sono percepibili nella loro
profondità solo in un clima di fede. In definitiva, chiarisce p. Mercieca, ciò
che si cerca con l’AS non è tanto portare una persona a essere adulta e matura,
quanto continuare a cercare, incontrare e seguire la volontà del Signore nella
storia personale: questo è il filo conduttore della direzione spirituale, ed è
la fonte della libertà interiore e della disponibilità per la missione. La
convinzione vitale nella fede deve essere sempre presente, cosciente e attiva
dal principio alla fine del processo di accompagnamento.
L’AS aiuta la persona accompagnata a rendersi conto degli
effetti e a leggere i segni dello spirito buono e dello spirito cattivo – nella
terminologia ignaziana –, e l’accompagna perché impari a trarre profitto
dall’esperienza. Ciò che spesso si dimentica è che il buono e cattivo spirito
agiscono anche in chi accompagna. Per questo discernere come si rende presente
lo spirito buono e cattivo anche nella persona dell’accompagnatore è garanzia
di fedeltà nell’aiuto prestato.
Sempre a partire dal vocabolario ignaziano, p. Mercieca
ricorda che lo Spirito di Dio lavora sempre: nei tempi di consolazione come nei
tempi di desolazione spirituale. Imparare a discernere le “mozioni” interiori,
per sapere da dove vengono e dove portano, è un’arte che si impara durante il
cammino, perché «Dio lavora sempre, nelle esperienze piene e nei tempi vuoti».
L’importante è rendersi conto per tempo dove si colloca la persona
accompagnata, quali mozioni la abitano e sapere come agire in ogni situazione,
per non sprecare la grazia di Dio. E in questo ambito è di grande aiuto la
pedagogia degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, sia per l’accompagnato
come per l’accompagnatore.
Sono tre – ricorda p. Mercieca – i dinamismi che interagiscono
nella relazione tipica dell’AS. Anzitutto la dinamica ascolto–accoglienza,
atteggiamento di fondo che deve essere sempre presente, ma soprattutto
all’inizio e nei momenti difficili del cammino.
Poi la ricerca intelligente e sentita, integrando la conoscenza
di se stessi, l’esperienza del Vangelo nella propria vita e l’impegno nella
missione.
Infine la presenza–mediazione del Signore nella stessa
relazione d’aiuto. Entrambi i credenti in relazione – consapevoli di vivere una
relazione asimmetrica – testimoniano l’azione di Dio. Lo stile della relazione
tipica dell’AS trova nell’atteggiamento e nell’azione di Gesù con i suoi
discepoli il modello di riferimento costante.
CARATTERISTICHE
DELL’ACCOMPAGNATORE
L’atteggiamento di fondo di chi accompagna deve essere
l’accoglienza dal profondo, priva di giudizio e moralismo. «La chiarificazione
della problematica viene dopo ed è frutto di questa accoglienza». Essa deve
essere presente in tutto il processo dell’AS, ma soprattutto all’inizio della
relazione.
Essere se stessi è altrettanto doveroso per il bene della
relazione d’aiuto. Accompagnare non significa entrare in un ruolo, ma dare
testimonianza. Da qui l’importanza di impegnarsi a essere autentici e coerenti.
Nascondersi dietro al ruolo è atteggiamento che allontana l’altro, e
contribuisce a farlo sentire lontano dal Signore. L’elemento più serio della
mediazione nell’AS è l’insieme degli atteggiamenti e la qualità della relazione
più che le parole.
Il discernimento nel Signore va operato stando in contatto
con i propri sentimenti, poiché «ciò che sente o sperimenta la persona mentre
accompagna o fuori della sessione è un segnale che indica qualcosa degno di
essere decifrato». Questo per dire che non si va lontano aiutando solo con la
testa e non a partire dal profondo di se stessi.
Più che ricette, frasi fatte o argomenti imposti
d’autorità – sostiene p. Mercieca – arricchisce il lavoro di accompagnamento il
lasciarsi condurre dalle proprie intuizioni. «L’intuizione è un dono che il
Signore fa alla persona che accompagna. Si dovrebbe prenderla sul serio con
discernimento e senso di fede, senza quel timore paralizzante che non lascia
spazio alla novità».
Chi accompagna è invitato a sviluppare una tolleranza
alla frustrazione e essere pronto a sperimentare a volte invidia, gelosia,
dolore, sconcerto, gioia, soddisfazione… di fronte alla reazioni della persona
accompagnata sia dentro che fuori dell’incontro. Ciò esige gratuità nel dare
aiuto, un atteggiamento che evita il dare origine alla dipendenza e un modo di
reagire difensivo. Tollerare la frustrazione e mantenere la gratuità sono
atteggiamenti che suppongono la maturità di persone centrate in Gesù Cristo.
«Banalizzare ciò che la persona accompagnata condivide
danneggia la relazione e oscura il cammino che segue. Stupirsi del cammino di
Dio, diverso e originale in ogni persona, facilita il rimanere aperti a ciò che
il Signore realizza nella persona con la sua personalità, la sua storia, i suoi
punti di forza e di debolezza. È tutto un apprendistato da realizzare».
Lo sguardo contemplativo che sviluppa chi accompagna non
solo rende gradevole il ministero dell’AS, ma fa scoprire realtà profonde nella
persona accompagnata, anche più in là di un semplice processo analitico. Lo
sguardo contemplativo invita a vedere l’altra persona con gli occhi di Dio.
Chi accompagna, infine, deve stare attento a non cadere –
coscientemente o no – nel tranello di volersi appropriare della persona o del
processo stesso di AS. Questa, che è verità per ogni tipo di relazione,
acquista maggior forza qui, dove la presenza dello Spirito del Signore è
vissuta a livello cosciente e cercata da entrambi gli interlocutori. «L’AS è
caratterizzato dall’apertura a ciò che Dio vuole nella vita di chi sta
camminando, lì dove i grandi desideri della persona tendono ai desideri di Dio
per essa. Ciò suppone un accompagnamento libero, disinteressato, capace di
prendere o sciogliere opzioni, cercando soltanto il bene dell’altro».
ASPETTATIVE
DELL’ACCOMPAGNATO
Chi cerca aiuto, come soggetto principale della
relazione, spera di poter contare su un’esperienza privilegiata nell’itinerario
spirituale del cristiano. P. Mercieca elenca alcune di queste caratteristiche.
«Senza la trasparenza e l’onestà di chi chiede AS non
sarà possibile progredire». Se non c’è trasparenza l’aiuto di chi accompagna
non sarà mai adeguato. Il discernimento spirituale richiede una vera ricerca
della volontà di Dio, così come porre in atto i mezzi che la rendono possibile.
Non c’è spazio per nascondersi e tanto meno per mentire. Farlo significherebbe
ingannare se stessi.
D’altro lato, da parte di chi accompagna, esser onesti
significa capire che l’AS esiste per aiutare e non per compiacere, e ancor meno
per essere complici. Essere amabili nel tratto non significa mancare d’onestà
in ciò che, come accompagnatore, si deve dire o fare. «Lavorare nella verità
non sempre è gradevole, ma è l’unico modo per crescere in modo reale e
duraturo».
Col passare del tempo entrare in un processo e essere
disposti a correre il rischio della missione, si trasforma in maggior fiducia
nel processo spirituale, nell’accompagnamento come istanza discernente e in
Dio. «La fiducia crescente è l’altra faccia della volontà, chiave in tutto il
cammino dell’accompagnamento».
Nella relazione di AS è sempre necessario un
atteggiamento di grande discrezione. Su ciò che la persona confida bisogna
essere sempre discreti al massimo. Il mistero di ogni persona – sottolinea p.
Mercieca – è un tesoro divino che, come fece Maria, si custodisce nel cuore. Il
minimo che la persona accompagnata può dire di chi l’accompagna è che merita
fiducia. Quando manca discrezione la relazione d’aiuto si altera e perde il suo
potenziale di crescita. E una volta persa la fiducia di base è molto difficile
recuperare un clima di trasparenza.
Il ritmo del cammino di chi si accompagna non è sempre –
o quasi mai– quello che l’accompagnatore desidererebbe. Ma il ritmo del cammino
spirituale lo determina in buona parte la persona aiutata e non altri. «La
crescita profonda che porta alla trasformazione richiede tempo e molte volte
avviene nel silenzio dell’azione e in circostanze di sofferenza. Il buon Dio
rispetta i nostri passi per non confondere l’ideale di un Io narcisista con la
vita nello Spirito… Nella vita spirituale le cose non avvengono magicamente.
Nulla può sostituire il tempo. Chi chiede di essere accompagnato chiede di
avanzare, ma a partire dall’esperienza e con un ritmo vitale integratore, che
rispetta i suoi tempi e i suoi momenti».
Molte persone chiedono di essere accompagnate perché soffrono,
o si sentono disintegrate nella loro vita. C’è qualcosa in loro e nella loro
esperienza che li disorienta, si allontana dall’ideale, fa loro perdere la pace
e il vigore apostolico. «Alla luce della fede e in un clima di familiarità con
Dio, l’AS le aiuta a rivalutare il buono che c’è in loro, nella dinamica della
storia della salvezza. Su questa base si potrà costruire. Nella misura in cui
una persona si accetta e cresce il positivo, la debolezza viene relativizzata
ed essa apprende a convivere con i fatti appropriandosi della propria storia».
Per la vita cristiana, inserita nel mondo del lavoro, della famiglia, delle
relazioni sociali, del divertimento, ecc., l’integrazione fede–vita è solido
criterio di crescita spirituale.
«Se c’è qualcosa che caratterizza l’accompagnamento di
Gesù è la compassione, questo sentire e patire con l’altro e a partire
dall’interiorità dell’altro. Nell’AS la compassione va molto più in là della
stessa empatia, che può essere anche sottilmente selettiva e non sempre duratura.
Ciò che aiuta in questo atteggiamento è la conoscenza di sé da parte
dell’accompagnatore, con i suoi limiti, il dolore, le delusioni, le
frustrazioni. Per questo tale atteggiamento compassionevole si accentua con il
progredire dell’età. È una grazia della maturità, di una sapienza umana nello
Spirito.
A che punto si trova la persona accompagnata nella sua
ricerca spirituale? Dove le chiede di giungere il Signore? Che passi compiere?
Aiutare la persona a localizzarsi per procedere nel cammino, aiutandola a
riformulare le sue domande a un livello più profondo, è ciò che fa Gesù nei
suoi dialoghi (cf. il dialogo con la samaritana). Precedente è la piattaforma
da cui ci si chiede: dove mi chiede di giungere il Signore? Quali segni lo
indicano? È il dinamismo del discernimento spirituale, della ricerca della
volontà di Dio a partire dalla stessa realtà, dal mondo circostante e da se
stessi, che accompagna tutta la vita del credente.
«La persona accompagnata chiede di essere “orientata”.
Non si accontenta di essere ascoltata e capita. In questo senso l’impegno che
si prende da un incontro all’altro dell’AS è molto utile. Esso orienta il
cammino e in un certo modo prepara l’incontro successivo». Prendere un impegno
aiuta in due sensi: lega il nuovo incontro con il precedente e aiuta a
costruire la storia di salvezza personale.
Nell’AS l’impegno suggerito deve essere qualcosa che non
renda infantili; qualcosa invece che ispiri, che apra prospettive e non
restringa il proprio mondo. Deve essere come un bastone che aiuti la persona a
camminare da sola, a vedere chiaro. Mai presentare percorsi chiusi, definitivi,
che non lascino spazio al discernimento e all’opzione personale.
Concludendo, p. Mercieca ricorda che l’AS è un evento di
grazia. «È il Signore che lavora nella persona che chiede aiuto e nella persona
che l’accompagna. Il frutto sarà sempre sproporzionato rispetto al progetto di
aiuto di chi accompagna e al suo lavoro. Che bello che sia così! Il Signore
opera molto di più della nostra capacità di intervento. Grazie a Lui né i
nostri errori risultano tanto tremendi né le nostre certezze tanto fantastiche.
Senza dubbio, e per ciò stesso, ci rimane il bell’impegno di sviluppare
atteggiamenti che facilitino la grazia di essere testimoni fedeli del passo di
Dio nella vita di una persona (accompagnatore) e la grazia ricevuta di qualcuno
che cerca di camminare nella luce (accompagnato)».
E.B.
1 MERCIECA E., Relación acompañante – acompañado:
actitudes de ambos como auténticos sujetos de la relación, in Testimonio 197-198/2003,
65-74.