QUALI VOCAZIONI PER IL FUTURO?
CINQUE OTRI CON VINO NUOVO
L’attuale crisi della vita consacrata è una crisi di
significato più che di vocazioni. Per troppo tempo abbiamo pensato che
l’aspetto più importante fossero le cose da fare e i compiti da assolvere. Così
l’aspetto secondario è diventato il fine.
Vocazioni nuove, per che cosa? È la domanda un po’
provocatoria e inquietante che tutti oggi si pongono e che Mariano Varona G.
fms, rilancia sulla rivista cilena Testimonio,1 di fronte alla cosiddetta “crisi
vocazionale” che affligge la maggior parte degli istituti religiosi. A suo
parere le vocazioni nuove – e quindi tutta la pastorale vocazionale – trovano
la loro ragion d’essere in relazione a una vita religiosa rifondata. Per usare
un’immagine evangelica: il vino nuovo ha bisogno anche di otri nuovi.
Prendendo lo spunto da Mt 9,17 sono cinque gli otri nuovi
necessari per contenere il vino nuovo della rifondazione.
Il primo consiste nel sottolineare più l’essere che il
fare “se si vuole che il vino non si adulteri”. Infatti, la principale sfida
della pastorale vocazionale, scrive Varona, non sta nel rinnovare le
metodologie e le strategie o nell’affinare le équipes vocazionali. La sfida più
importante sta nel rispondere adeguatamente alle domande di sempre:
religiosi/e, chi siete? Che avete da dire oggi a questa nostra società e a
questa nostra Chiesa? Qual è il vostro contributo e il vostro servizio? Per
quale ragione un giovane e una giovane si imbarcano in questo progetto di vita,
in questa avventura? Perché impostare la loro vita sulla vostra identità?
Perché lasciare tutto per comprare il tesoro?
Vi sono degli autori che preferiscono parlare non tanto
di crisi di vocazioni ma di crisi di significato. L’accento quindi deve essere
posto sul “segno” ed è qui che si trova l’elemento primordiale in tutta l’opera
di risveglio delle vocazioni. Per troppo tempo abbiamo confuso le cose pensando
che l’aspetto più importante fossero le cose da fare, i compiti da
assolvere.Abbiamo così descritto la crisi vocazionale come mancanza di membri o
il loro logoramento, con la conseguente difficoltà a far fronte alle tante
opere e realizzazioni; abbiamo identificato il “carisma” con l’attività da
compiere. In questo modo l’aspetto secondario è diventato il fine, rendendo
così opaca l’essenza della vita religiosa. In effetti, l’immagine che noi
religiosi/e proiettiamo all’esterno è quella di persone molto occupate che
vivono a ritmo di efficienza e con orari sovraccarichi, con la conseguenza che,
quando arriva l’età in cui non è più possibile continuare a fare ciò che si è
sempre fatto e con quei ritmi, sopraggiunge una crisi profonda. «Dal punto di
vista vocazionale, sottolinea Varona, questa immagine non è molto attraente, e
se l’essenziale sta nel lavorare molto, i laici fanno la stessa cosa. Questa
confusione nell’identità è una delle ragioni per le quali la vita religiosa non
si rinnova come dovrebbe, nonostante i numerosi sforzi compiuti».
Il senso della nostra vita religiosa sta piuttosto in ciò
che le nostre vite significano, nei valori cristiani che incarnano, nel volto
della persona e della vita di Cristo che mettiamo in risalto, in modo speciale
nella Chiesa (“carisma”). La nostra identità è carismatica, significativa,
iconica. Essere parabola del Regno, memoria del trascendente, coscienza del
divino nell’umano, annuncio che c’è una cosa sola che vale la pena cercare
nella vita: Dio presente nel cuore del mondo e la sua giustizia in mezzo alla
miseria umana. Più significativa sarà la nostra presenza tra gli uomini e le
donne di oggi quanto più visibile apparirà la persona e la vita di Gesù nella
nostra vita di comunità, quanto più renderemo trasparenti i suoi sentimenti,
quanto più assumeremo i suoi criteri, benché appaiano “folli” negli ambienti
corrotti e secolarizzati in cui ci muoviamo, quanto più mettiamo in questione
questa società che vive ignorando la “trascendenza” ed esclude ogni giorno più
i deboli e i poveri.
La vita religiosa, prosegue Varona, è fondata sulla
parola di Dio, una parola che mette perennemente in questione l’ordine
stabilito; è costituita da un insieme di pellegrini che cercano Dio e il senso
della vita. Si pone in controcorrente rispetto alla società che serve ed è
chiamata a promuovere una vita secondo il Vangelo. Di conseguenza la sua forza
non sta nelle opere che possiede e nemmeno nelle attività che compie, ma nella
forza della sua testimonianza evangelica.
AFFONDARE
LE RADICI IN DIO
Il secondo otre, sempre per stare all’immagine
evangelica, sta nel radicarsi fortemente in Dio “per servire e gustare in ogni
ora – non solamente alla fine – il vino più buono, quello della festa”.
Da un po’ di tempo, osserva Varona, si sta imponendo
nella Chiesa la sfida della spiritualità e si colloca tra le emergenze più
importanti e i compiti più promettenti del futuro. Lo stesso avviene anche tra
gli istituti. A quattro decenni dal concilio, ci siamo accorti che nell’ampio
processo di rinnovamento avviato non abbiamo ancora attuato la cosa più
importante, ossia «il recupero mistico, l’identità, lo spirito, il ritorno
all’essenziale da cui abbiamo avuto origine».
Non è un segreto per nessuno infatti che la vita
religiosa è in crisi perché non è sufficientemente affermata in ciò che
costituisce la sua colonna vertebrale. La crisi sembra dovuta non alla
diminuzione degli effettivi, ma «soprattutto alla mancanza di un’autentica
esperienza di Dio» (cf. VC 63).
Attualmente coloro che si impegnano nella rifondazione
della vita consacrata guardano alla spiritualità. La rifondazione infatti è un
problema di spiritualità non di semplici riforme strutturali, per quanto
necessarie. Ma il fondamento ultimo del progetto chiamato vita religiosa «è la
fede che sostiene una sequela radicale di Gesù Cristo». Non sembra pertanto
arrischiato affermare «che qui sta la radice della crisi in cui ci troviamo,
nella debolezza della fede».
La rifondazione, sottolinea Varona, è quindi una
scommessa su una maggiore vitalità per il futuro da cui derivi un incremento
delle vocazioni; esige la presenza di religiosi/e decisi a essere testimoni
visibili e trasparenti del Dio di Gesù Cristo, in maniera più ferma e radicale,
rispetto al presente. Richiede inoltre processi di discernimento e di
conversione in modo che la nostra vita di consacrati/e sia ogni giorno più
radicata in Cristo, maggiormente alimentata dal Vangelo e più appassionata per
l’instaurazione del Regno. Esige una spiritualità robusta e vigorosa che faccia
sorgere religiosi/e maturi, adulti, solidi capaci di affrontare le difficili
sfide di oggi; una spiritualità edificata sulla base di una preghiera profonda,
coltivata per convinzione personale; una pratica del discernimento a tutti i
livelli; un accompagnamento spirituale abituale sia a livello personale sia
comunitario in cui il superiore ritorni ad assumere il ruolo di animatore
spirituale; un impegno apostolico generoso e appassionato e un’abitudine a
scoprire, amare e servire Dio nel quotidiano della vita.
Una spiritualità, inoltre, che coltivi allo stesso tempo
l’apertura alla novità e non la paura del cambiamento; la freschezza e non il
rigorismo; la misericordia e non la prepotenza. Una spiritualità che aiuti a
scoprire e ad accettare la vulnerabilità propria e altrui e stimoli a vincere
l’orgoglio e la rigidità; una spiritualità che promuova la fiducia, lo stimolo,
la gioia, la pace interiore e la semplicità e abbandoni il sospetto permanente,
il pessimismo e l’ansietà.
CORAGGIO E CREATIVITÀ
NELLA MISSIONE
Il terzo otre in cui versare vino nuovo consiste nel
“tradurre con creatività e coraggio, la missione originale della vita religiosa
nei tempi d’oggi affinché continui a essere significativa», in modo che «il
vino continui a essere sangue che si sparge per la salvezza di molti».
Col passare del tempo, scrive Varona, noi religiosi/e
corriamo il rischio di dimenticare che, se siamo esistiti finora e continueremo
ad esistere in futuro, ciò è in vista della missione che abbiamo ricevuto come
dono da Dio; della missione di essere segni viventi del Vangelo e incarnare un
tratto specifico della vita e spiritualità di Gesù; inoltre della missione di
continuare la sua azione salvifica, prolungando attraverso diverse mediazioni
(educazione, salute, mezzi di comunicazione sociale, attenzione alle carceri,
ecc. ) i suoi gesti di salvezza. Ambedue le dimensioni della missione si
completano e si potenziano tra loro.
È il servizio a questa missione concreta – quella
ricevuta e trasmessa dai fondatori – che legittima che una determinata famiglia
continui a esistere e a ricevere nuovi membri.
Per la fedeltà creativa noi consacrati dobbiamo essere
attenti ai segni dei tempi e stabilire come adattare questa missione alle
necessità poste dai tempi nuovi, così come hanno fatto ai loro tempi i nostri
fondatori. Sono due le variabili a cui prestare speciale attenzione per non
perdere né la fedeltà né la vitalità. Oggi appaiono nuove disumanizzazioni e
necessità a cui prestare attenzione e spesso avviene anche un certo
allontanamento dal cammino originale che si è orientato ad altri destinatari o
a settori che non erano quelli delle origini. In questa fedeltà rinnovata,
sottolinea Varona, si giudica una parte significativa della crisi che
attraversa la vita religiosa oggi, e risuona una chiamata intensa alla
rifondazione. Rifondare vuol dire assumere il cuore dei fondatori, sentire le
chiamate di Dio nel momento attuale, avere i loro occhi per guardare con amore
il mondo d’oggi e le sue urgenze, impregnarci a incarnare con un linguaggio
nuovo il loro messaggio, intraprendere progetti che possano essere più fedeli
alle intenzioni fondazionali e spogliarci di tutto ciò che ci allontana da
questa fedeltà.
La vita religiosa avrà futuro, e varrà la pena
abbracciarla, se fa qualcosa per far giungere il regno di Dio nei luoghi dove è
assente. Come sua missione specifica, essa sempre dovrà aprire spazi nuovi di
servizio, sviluppare nuove funzioni, diventare un polo di contestazione
evangelica di fronte a un mondo ingiusto e discriminatorio, affrontare il
rischio con coraggio evangelico, risvegliare la Chiesa e offrirle profetismo,
anche se in questo modo si generano tensioni e conflitti.
Varona cita a questo proposito la bella descrizione della
vita religiosa del futuro che ne fa p. Victor Codina: «La vedo giovane,
inserita nella realtà popolare. Profondamente mistica, ma di una mistica che
scopre il Signore nei segni dei tempi, negli avvenimenti, e soprattutto nei
poveri. Profetica con un profetismo di tutti i giorni, ben preparata e disposta
a occuparsi dei grandi areopaghi del nostro tempo. Vicina ai laici con cui
collabora attivamente, e vive la intercongregazionalità con altri carismi
religiosi, nella prospettiva del genere, aperta a una nuova relazione
uomo-donna, formando una comunità evangelica capace di dire ai giovani: venite
e vedete. Una vita religiosa che senta la passione per il regno di Dio e viva
seriamente la sequela di Cristo, sia testimone della misericordia del Padre e
della forza vivificante dello Spirito. Questa nuova vita religiosa si inserirà
nella grande tradizione dei carismi fondanti, ma li ricreerà in maniera attiva
e profetica nell’oggi. Non è forse vero che in tante parte ci sono indizi che
questa novità sta nascendo?».
LA BREZZA
DELLA FRATERNITÀ
Il quarto otre: offrire profeticamente a un mondo
individualista e diviso la fresca brezza della fraternità «per condividere
festosamente il vino che anticipa il banchetto celeste». Senza esagerazione,
rileva Varona, possiamo affermare che il futuro di molte nostre famiglie
religiose si gioca sulla qualità della vita comunitaria. Ma quali
caratteristiche dovrebbe possedere una comunità che porti in sé i germi della
rifondazione? È necessario aspirare a costruire comunità umanizzanti, che
sappiano di focolare e vivano al loro interno, in maniera intensa e gioiosa, la
fiducia, lo spirito di famiglia e relazioni interpersonali sane. Comunità che
centrino la loro vita in Cristo, condividano la vita, si stimolino e animino
spiritualmente. Pratichino il discernimento che le proietti in maniera generosa
e creativa verso un servizio profetico. Comunità che optino per stili semplici
di vita, austeri, che si avvicinano alla gente e condividono le loro sofferenze
e le loro gioie, capaci di aprirsi al mondo dei laici e alle necessità
dell’ambiente e si inseriscano nella chiesa locale. Comunità che guardino con
amore, come Gesù, il mondo che li circonda, sentano compassione e misericordia
per quanto accade e rinnovino ogni giorno il loro atteggiamento eucaristico di
spezzare il pane, lavare i piedi e dare la vita.
Purtroppo ci sono diversi religiosi che hanno una
comprensione molto limitata della comunità; la riducono all’area relazionale e
del privato, orientandola in gran parte alla ricerca del benessere personale e
comunitario, per scarso mordente e mancanza di passione apostolica. Ma la
comunità non può costituirsi come fine a se stessa; è a servizio della missione
che Dio le ha affidato; esiste per evangelizzare, per annunciare la buona
novella, per liberare e manifestare l’amore e la misericordia di Dio. Di
conseguenza non può ripiegarsi su se stessa nella sicura solitudine di una
casa, senza rischiare di collocarsi alle frontiere. Più che offrirci sicurezze
dal di dentro, deve invitarci a dare la vita e a darla in abbondanza. Non può
dedicare gran parte del suo tempo a parlare di problemi interni e a risolvere
situazioni personali dei suoi membri, ma è la missione che deve occupare il
centro delle sue preoccupazioni.
Di qui allora l’ultimo otre: optare sinceramente per i
poveri e per una vita povera «affinché il vino si moltiplichi». Anche in questo
campo, sottolinea Varona ci vogliono creatività e nuove risposte. Infatti «la
cosa più importante non è conservare le istituzioni che abbiamo, ma mantenere
vivo il fuoco del carisma che ci ha fatto nascere, essere presenti per
elezione evangelica nelle situazioni di dolore e di miseria, prolungando lì l’amore
di Dio che non ha frontiere né tramonto.
Questi, conclude Varona, sono i presupposti su cui
costruire la pastorale vocazionale. Ciò non significa che non si debba anche
lavorare e chiamare direttamente; «al contrario, quando un gruppo umano non si preoccupa
di perpetuarsi, quando non lo interessa essere fecondo e avere figli, vuol dire
che ha scelto la morte come futuro. La pastorale vocazionale deve costituire il
contenuto di tutta la pastorale nella Chiesa e in modo speciale la vocazione
consacrata deve essere, per sua identità, agente di pastorale vocazionale.
Infatti se è autentica, è anche vocazionale.
A.D.
1Mariano Varona, Vocaciones nuevas, para qué? A
vocaciones nuevas, vida religiosa refundada, in Testimonio, marzo-aprile 2003,
59-72.