I CRISTIANI IN INDIA

NELL’OCCHIO DEL FONDAMENTALISMO

 

Il fanatismo dei fondamentalisti indiani sta diventando sempre più aggressivo e intransigente. In alcuni stati si tenta di impedire qualsiasi conversione imponendo l’obbligo di ottenere la previa autorizzazione delle autorità giudiziarie. L’assurdo sopruso denunciato _dal papa e dai vescovi.

 

Tra i cristiani dell’India – il 2,34% della popolazione – e in particolare tra i cattolici circola da tempo una certa preoccupazione, dovuta all’avanzata di un fondamentalismo induista sempre più aggressivo e intransigente che ha assunto in molti casi tutte le caratteristiche del fanatismo. Diversi gruppi estremisti predicano e praticano l’ideologia della cosiddetta Hindutva che rivendica “una nazione, una cultura, una religione”.

Il fenomeno ha pervaso ormai anche le istituzioni pubbliche. Sono due i segnali che lo confermano: il movimento anticonversione che ha già messo piede in alcuni stati della federazione e i numerosi attacchi a persone e istituzioni cristiane che si sono verificati negli ultimi anni – sono oltre 500 i casi accertati.

Recentemente in tre stati della federazione – Tamil Nadu, Uttar Pradesh, Gujarat – è stato approvato un testo legislativo, definito della libertà religiosa, che in realtà è un documento anti-conversione. Secondo la normativa prevista, una persona che voglia cambiare religione deve chiedere la previa autorizzazione alle autorità giudiziarie. Col pretesto di impedire le conversioni forzate, la norma in realtà mira a impedire qualsiasi conversione. Il documento approvato in Gujarat ha dell’incredibile, ha spiegato mons. Macwan, vescovo di Ahmadabad: “Prevede che il pastore o il sacerdote debba recarsi dal magistrato del distretto per chiedere il, permesso di amministrare un battesimo. Questo è contro la costituzione che, nell’articolo 25, sancisce il diritto fondamentale di professare e propagare liberamente la propria religione”. Da parte sua mons. Stanislaus Fernandez, arcivescovo di Gandhinagar, sempre nello stato del Gujarat, dopo aver detto anch’egli che questa normativa viola i diritti umani fondamentali e i diritti costituzionali, la libertà di coscienza e la libertà di religione… ha aggiunto: “Noi crediamo che la conversione sia una grazia di Dio che non può essere soggetta all’ esame di un governo civile. Chiedere il permesso alle autorità civili per una conversione religiosa significa abdicare alla responsabilità personale di ogni individuo per la salvezza eterna della sua anima. In questo caso ogni uomo deve rispondere alla voce della sua anima e non a regole temporali”.

La chiesa cattolica, assieme ad altre organizzazioni indù e della società civile ha già deciso di fare ricorso alla Corte suprema.

Non solo i singoli vescovi, ma anche la conferenza episcopale ha alzato la sua voce. Lo ha fatto anche di recente in occasione della XV assemblea plenaria, che si è tenuta dal 15 al 19 gennaio scorso presso il seminario San Paolo di Tiruchirappalli. Parlando dell’evangelizzazione in India i vescovi hanno accennato a due precise difficoltà: la prima di carattere interno e la seconda di natura esterna. Riguardo alla prima, come si legge nella dichiarazione finale, i vescovi indicano “le vestigia del sistema delle caste e la discriminazione tra cristiani, una certa esitazione a proclamare Gesù come salvatore, il carico per certi membri della Chiesa di una quantità di lavori che vengono svolti a detrimento della loro disponibilità all’annuncio del messaggio di Gesù”. La seconda difficoltà deriva invece dall’espandersi minaccioso di “fondamentalismi militanti, la rinascita di un nazionalismo militante monoculturale che identifica l’appartenenza all’India con una religione e una cultura”. Senza dubbio, scrivono i vescovi, “un vero rinnovamento e una riaffermazione delle culture locali sono da salutare con favore, ma gli atteggiamenti negativi dei nazionalismi monoculturali che hanno uno sguardo ostile verso le minoranze religiose ed etniche sono inquietanti”.

Di questa inquietudine si è fatto interprete anche il papa. Egli era infatti già intervenuto sul problema in occasione del viaggio in India nel 1999. Rivolgendosi in quella circostanza (7 novembre) ai rappresentanti di altre religioni e confessioni cristiane, dopo aver ricordato l’incontro di Assisi del 1986, aveva dichiarato: “Nessuno stato, nessun gruppo ha il diritto di controllare sia direttamente sia indirettamente le convinzioni religiose di una persona, né può a ragione rivendicare il diritto di imporre o di impedire la professione pubblica e la pratica della religione o il rispettoso appello di una particolare religione alla libera coscienza delle persone”.

Su questo argomento, diventato ora ancor più grave, ha parlato anche nel corso dell’udienza concessa al primo gruppo di vescovi indiani di rito latino (diocesi di Calcutta, Guwahati, Imphal e Shillong) nella visita ad limina, il 23 maggio scorso, in cui ha detto: “È piuttosto sconcertante che alcune persone che desiderano diventare cristiane debbano ricevere il permesso delle autorità locali, mentre altre hanno perso il loro diritto all’assistenza sociale e al sostegno alla famiglia. Altre ancora sono state messe al bando o cacciate dai loro villaggi. Purtroppo certi movimenti fondamentalisti stanno creando confusione tra i cattolici e stanno perfino sfidando direttamente qualsiasi tentativo di evangelizzazione. È mia speranza che, come guide nella fede, voi non siate scoraggiati da queste ingiustizie, che piuttosto continuiate a coinvolgere la società in modo tale che queste tendenze allarmanti possano essere invertite”. A questi gruppi fondamentalisti e al pericolo che rappresentano ha accennato anche nel discorso all’altro gruppo di vescovi di rito latino (diocesi di Cochin, Alleppey, Quilon e Calicut), in visita anch’essi ad limina, il 3 giugno scorso.

 

ALLE ORIGINI

DEL FONDAMENTALISMO

 

Il fondamentalismo indù è un fenomeno relativamente giovane. Come scrive nella rivista Spiritus Antony Samy Savarimuthu,1 esso appare nel grande orizzonte dell’India verso la fine del secolo XIX e l’inizio del XX. Fu in quell’epoca che gli indù fondamentalisti formularono un principio che era in radicale contrasto con tutta la lunga tradizione del paese, ossia la supremazia dell’induismo rispetto alle religioni che facevano proselitismo – l’islam e il cristianesimo. Per riuscire nel loro intento cominciarono a mobilitare gli indù, a qualunque casta o setta appartenessero, per condurli sotto l’unica egida dell’induismo. Nacque così l’ideologia dell’Hindutva che afferma l’unità di un solo popolo, una sola religione, una sola lingua, un solo paese. Agitando lo slogan “l’induismo è in pericolo” ne diffusero la dottrina attraverso un processo in tre fasi: fondamentalismo, comunalismo e fanatismo, riuscendo poco alla volta a pervadere tutti gli ambiti della società indiana, religioso, sociale, culturale.

Il fondamentalismo, lasciato al libero gioco, assunse ben presto un carattere estremista. Nel loro libro Le phénomène fondamentale, Dobson, Hindson e Jerry Falwell ne descrivono così i tratti: intolleranza, assolutismo, militantismo, separatismo, inflessibilità, un accento poco marcato sul sociale, il confronto e la proclamazione, strumenti preferiti al dialogo.

Secondo Savarimuthu è quasi impossibile tracciare una linea di demarcazione tra il fondamentalismo e il fanatismo anche se per ragioni pratiche si può tentare di farlo. Nessun fondamentalista è comunque al riparo dal rischio di diventare fanatico. Tutte le tendenze fondamentaliste finiscono con l’evolversi verso il fanatismo, quando si nutre dell’odio verso gli “altri” e si cerca di affermare la propria superiorità attraverso metodi violenti. Del resto basterebbe seguire l’evoluzione di questi movimenti per averne una conferma. Questi “altri” sono soprattutto i cristiani e i musulmani, accusati, pur essendo essi stessi indiani, di essere stranieri in terra indiana.

La tappa seguente del fondamentalismo è il comunalismo. Savarimuthu definisce questo fenomeno “un processo attraverso il quale i membri di una classe sociale, raggruppati sulla base di un credo o di una identità comune si trovano politicamente mobilitati come se tutti i loro bisogni sociali, economici e politici fossero esattamente gli stessi. Ora se delle persone si identificano come gruppo, per esempio sulla base di un credo, esse escludono necessariamente coloro che ne professano uno diverso. Inoltre, le differenze interne al gruppo si mascherano trovando nell’ “escluso” il nemico da combattere, un nemico spesso più inventato che realmente identificato.

 

IL FASCINO DEL FASCISMO

E DEL NAZISMO

 

La nascita del primo gruppo di fondamentalisti risale al lontano 1925: si tratta dell’RSS (Rashtriya Swayamsevak Sangh): fu fondato dal bramino Hedgewar, ma per molti decenni rimase come un vulcano assopito. Durante tutto questo tempo si preparò a una lotta su tutti i fronti, prima trasformandosi in partito politico, Bharathiya Jan sangh (1951), e poi nel Bharathiya Janata Party (BJP) costituito da un’ala religiosa e da un’ala militante. Il BJP, come è noto, ha vinto le elezioni legislative del 1999 e ha visto la riconferma del primo ministro Vajpa­yee, attualmente alla guida del paese.

I primi atti di violenza esplosero nel 1992; il 6 dicembre di quell’anno ebbe luogo la demolizione perfettamente pianificata della moschea di Babri, a Ayodhya, rivendicato come luogo della nascita di Rama, una delle divinità indù. I disordini che seguirono provocarono centinaia di vittime soprattutto tra i musulmani.

Poco alla volta il fanatismo si volse anche contro i cristiani, ritenuti appunto “stranieri”. Nel dicembre 1998 nel Gujarat furono bruciate alcune chiese, in prossimità delle feste natalizie, mentre nel settembre precedente quattro suore erano state violentate a Jhabhua, nel Madhya Pradesh, un atto esecrabile vantato come “azione patriottica giovanile”. Nel 1999, il 24 giugno, fu assassinato un missionario australiano, il rev. Stains, bruciato vivo con i suoi figli dai 7 ai 9 anni da alcuni attivisti. Sono solo alcuni fatti tra le centinaia che si potrebbero raccontare.

Gli studiosi dell’RSS, analizzando le radici ideologiche di questo movimento, hanno scoperto che esso ha attinto linfa dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco. Rientrano in queste ideologie fatti, per esempio, come l’incendio di un vagone ferroviario del treno che viaggiava il direzione di Ahmadabad, a Godhra, il 27 febbraio 2002 in cui morirono arsi vivi 58 passeggeri. L’ex giudice della corte suprema H. Suresh dichiarò senza mezzi termini: “È stato un attacco ben pianificato contro i musulmani”.

Savarimuthu commenta: “Non c’è pertanto da meravigliarsi che le tecniche naziste di uccisioni e di genocidio siano utilizzate per impossessarsi del potere e giungere alla realizzazione di un sogno: una nazione, una cultura, una lingua, slogan questo ben conosciuto di Sangh Parivar, altro movimento gemello dell’RSS.

Le leggi anticonversione di cui parlavamo all’inizio rientrano in questa logica e potrebbe diventare devastanti soprattutto se si diffondessero a macchia d’olio in altre parti della federazione.

 

ATTEGGIAMENTO

DEI CRISTIANI

 

Quale dev’essere l’atteggiamento dei cristiani, si domanda Savarimuthu, di fronte alla violenza fisica, agli attentati alla dignità umana, al vandalismo, come la distruzione totale delle chiese, dei centri di cura o dei servizi sociali, azioni che da oltre una decina d’anni si moltiplicano nel nord dell’India e minacciano di estendersi anche al sud. “Dividendo il paese in due gruppi – gli induisti e in non induisti – gli ideologi dell’Hindutva ritengono questi ultimi come degli stranieri e negano loro i diritti fondamentali alla giustizia, libertà, uguaglianza e fraternità, che oltretutto sono scritti nella costituzione dell’India. L’induismo che essi propugnano, in effetti, non è altro che il bramanesimo che ne è divenuto la forma principale. È per questo che essi sostengono fortemente il sistema delle caste, legittimando così l’oppressione dei dalit (i senza casta, la classe più povera). Sono quindi contro i poveri. Malgrado la loro pretesa di parlare in nome della maggioranza, in realtà rappresentano gli interessi di una piccola minoranza – le persone delle classi sociali e delle caste più elevate – e persino una piccola parte di questo gruppo.

“In questo contesto, conclude Savarimuthu, il fondamentalismo indù non è solo un problema religioso, è un problema umano. Esso viola la dignità fondamentale dell’uomo. I cristiani devono quindi incoraggiare la solidarietà tra la gente e impegnarsi con tutti, con donne e uomini di buona volontà, qualunque sia la loro religione, la loro casta o la loro lingua, nella lotta contro il fondamentalismo. Non devono accontentarsi di scendere a protestare per le strade quando i loro beni e le loro istituzioni sono attaccati. Al contrario, devono far sentire la loro voce sul piano regionale e nazionale in solidarietà con tutte le altre minoranze che soffrono”.

I vescovi, comunque, hanno ripetutamente dichiarato di non aver paura e sono decisi a ricorrere fino alla Corte suprema per difendere i loro diritti. In India, pur rappresentando solo una piccola minoranza, i cristiani gestiscono 17.000 scuole e collegi, svolgono un’importante opera di educazione a favore di tutto il popolo, lavorano per i 250 milioni di persone malnutrite e in mezzo a quel 40% di popolazione che vive sotto la soglia della povertà. Non bisogna perciò permettere che il fanatismo di pochi distrugga tutto questo immenso patrimonio.

 

1_Cf. ANTONY SAMY SAVARIMUTHU, La montée du fondamentalisme in India, in Spiritus giugno 2003, 206-217.

Savarimuthu è un sacerdote della diocesi di Palayamkottai, nel Tamil Nadu, ed è rettore del seminario maggiore interdiocesano che serve sei diocesi del sud Tamil, oltre che professore di diritto canonico a Bangalore.