Fra Giacomo Bini e il consiglio generale uscente

 

FRA GIACOMO BINI AI CAPITOLARI OFM

I RATTOPPI NON BASTANO PIù

 

Dobbiamo convincerci che formazione, fede e ricerca di Dio sono collegate e costituiscono la priorità assoluta per custodire e vivere la nostra vocazione in qualunque momento della nostra vita. È la priorità su cui occorrerà investire tutte le nostre forze.

 

 “Il momento storico in cui viviamo ci invita a una revisione globale della nostra esistenza: non è più tempo di ritocchi marginali, di rattoppi temporanei… Vanno ristrutturate le nostre relazioni, ciò che siamo e facciamo, la nostra vocazione e la nostra missione”.

È una delle affermazioni chiave che fra Giacomo Bini, ministro generale uscente dei frati minori ha sottoposto all’attenzione dei 142 capitolari, in rappresentanza di 16.000 frati di tutto il mondo, convenuti in Assisi, a S. Maria degli Angeli, per il 185o capitolo generale, messo in agenda dal 25 maggio al 21 giugno.

Di questo capitolo, tuttora in atto mentre scriviamo, ci interessa qui soprattutto una parte della relazione di fra Giacomo, in particolare la seconda, intitolata Visione dell’ordine, impostata sull’analisi delle priorità che erano state stabilite per il sessennio 1997-2003: lo spirito di orazione, la comunione di vita in fraternità, la vita in minorità, povertà e solidarietà e la formazione.

 

E SE RICOMINCIASSIMO

A CREDERE?

 

Anzitutto lo spirito di orazione. Fra Giacomo butta lì una provocazione che è insieme un auspicio e un interrogativo: “E se ricominciassimo a credere…”. Afferma: “Penso che la fede non sia solo un dato di fatto, un dono che viene dall’alto una volta per tutte, ma una dinamica di ricerca, un cammino di adesione sempre più profonda al Signore Gesù, di purificazione progressiva dai vari idoli e dalle varie dipendenze, un cammino che richiede di superare le varie forme di egocentrismo, di possesso, di arrivismo, di dominio sull’altro… Così il nostro essere e il nostro fare si trasformano e noi stessi siamo trasformati in profeti e testimoni dell’Assoluto. Solo accogliendo e vivendo questa tensione possiamo “ri-ordinare” la nostra vita, centrandola sull’essenziale, riportandola alla libera, gioiosa e teocentrica semplicità francescana”.

In effetti, “tutte le nostre attività apostoliche e sociali hanno bisogno di trovare la loro ragion d’essere in una fede più viva, più incarnata, più nutrita dallo spirito di preghiera e capace di riportare a Dio tutte le esperienze che segnano la nostra esistenza…”.

Ciò è tanto più importante in quanto “il contesto di secolarizzazione nel quale viviamo non facilita questa relazione con il Signore del tempo e della storia che sembra invece rendersi sempre più assente dalle complesse vicende della nostra vita”. La stessa scelta vocazionale “non garantisce automaticamente questa relazione preferenziale, né una lettura “teologale” dell’esistenza personale e sociale”.

Ma prosegue fra Giacomo “anche all’interno della Chiesa abbiamo bisogno di discernere e ridefinire meglio il nostro “luogo e spazio” di testimonianza, la nostra funzione che resta pur sempre “profetica”, perché “paradossalmente” evangelica. Se siamo “dono del Signore alla Chiesa” è importante ridare priorità, all’interno stesso della Chiesa, alla dimensione intuitiva e spirituale, che sa cogliere segni di vita nuova al di là delle apparenze chiassose, devastanti e devianti; germi di vita in una cultura di morte. Con coerenza, audacia e creatività dovremo discernere forme nuove e significative di dialogo missionario in un mondo assetato di valori che lo trascendono”. Bisogna pertanto “avere il coraggio di fermarci: ascoltare Dio, ascoltarci fraternamente, ascoltare il mondo per ritrovare le ragioni della nostra speranza e la passione per la nostra vocazione francescana. Nessun impegno pastorale è più urgente di questo; nessuna tentazione efficientistica dovrà distrarci da questa ricerca che ha sempre contraddistinto la nostra forma di vita. Solo così la nostra parola potrà riacquistare credibilità, poiché noi stessi saremo diventati parola viva”.

 

COMUNIONE

IN FRATERNITÀ

 

Una seconda priorità è la comunione di vita in fraternità. Fra Giacomo rileva che in questi ultimi anni molte fraternità hanno assunto un volto nuovo i cui segni sono così delineati: “Sta maturando uno spirito di fiducia e di rispetto reciproco che facilita il dialogo e crea un clima di corresponsabilità attiva nella edificazione delle fraternità provinciali e locali. Diminuiscono sempre più i “distruttori” dell’unione fraterna grazie a relazioni più assidue e familiari dei Ministri (guardiani, formatori…) con gli altri frati. Questa comunione di vita si fonda sul dialogo, sulla condivisione della parola di Dio, sul progetto comunitario di vita elaborato insieme, sul capitolo locale che diventa sempre più spesso occasione per la revisione di vita…”. Ma c’è una sfida che potrebbe migliorare ulteriormente la quantità della vita ed è una conversione relazionale. In altre parole bisogna “tornare a mettere al centro delle nostre preoccupazioni e impegni non tanto la gestione amministrativa o l’accanimento terapeutico per tenere in vita determinate strutture esterne delle entità, ma la vita spirituale-relazionale di ogni frate; occorrerà far crescere l’apertura incondizionata del singolo alle necessità e alle urgenze della fraternità, che diventerà, così, il centro animatore di ogni progetto e missione…

La conversione relazionale vale anche per la stessa provincia: possono essere valorizzate tutte le potenzialità di un’entità quando vengono decentrate verso la fraternità universale, verso il mondo. Sappiamo bene che con la Pentecoste siamo stati chiamati ad andare “oltre” l’ambito locale, oltre ogni paura: è iniziato un movimento “centrifugo”, il messaggio evangelico ha valicato la limitata dimensione iniziale (Gerusalemme e la Palestina) per aprirsi agli orizzonti del mondo; sappiamo anche che l’esperienza originaria dell’ordine e delle province è itinerante, aperta al mondo. Oggi, a causa della crisi, mi sembra di vedere un rischio di chiusura: nelle nostre province vedo tante (troppe…) ricchezze (strutture e persone) non valorizzate perché non aperte ai segni dei tempi, e quindi “soffocate” da realtà locali sempre più ripiegate e preoccupate di se stesse. Solo aprendoci alla collaborazione, allo scambio reciproco, il cammino della Fraternità universale riprenderà vigore e le stesse province saranno meno “bloccate” dalla logica della pura sopravvivenza. Anche i frati potranno ritrovare la fiducia necessaria per impegnarsi in un rinnovamento vocazionale e missionario.

L’ordine, lungo la storia, si è sempre rinnovato grazie a gruppi di frati appassionati e capaci di “sognare”, appartenenti a diverse province, che hanno unito e collegato i loro sforzi dando vita a nuove strutture evangeliche e formative; basta pensare all’Osservanza. Per costruire una fraternità autentica, quella a cui ci siamo consegnati nel giorno della professione, dobbiamo sentirci maggiormente responsabili, “in solido”, di fronte alle attese del mondo, alle aspettative della Chiesa e della nostra famiglia più ampia. La mancanza di apertura a questi orizzonti “globali” conduce alle difficoltà gravi che ho segnalato: la disintegrazione dell’ordine; l’individualismo autoreferenziale di comodo che distrugge ogni valore francescano; il clericalismo discriminante che ferisce alcune entità; una disuguaglianza tra frati che è in contraddizione netta con la nostra regola e le costituzioni; i pregiudizi e la mancanza di fiducia che paralizzano le relazioni.

“Vedi di essere tanto buono quanto tutti dicono che tu sia” (2Cel 142). Proprio questo è quanto la gente di tutto il mondo ci ripete con grande fiducia. Non possiamo deluderla, vanificando le nostre energie disperdendole o impiegandole in progetti troppo personalistici, troppo locali, troppo interessati…”.

 

POVERTÀ

E SOLIDARIETÀ

 

Terza grande priorità: una vita in minorità, povertà e solidarietà, aspetti che costituiscono la “rivoluzione francescana di ieri, di oggi e di sempre”, ossia “credere al Vangelo che chiede categoricamente di lasciare tutto sia per seguire Gesù, sia per continuare la sua missione per le strade del mondo”. Fra Giacomo commenta: “Credere e tentare”.

È indispensabile pertanto formarsi a una “radicale espropriazione”. Ora “un cammino spedito alla sequela di Cristo richiede due condizioni: un’attrazione che riscalda il cuore e mette forza ai nostri passi, e la libertà da ogni forma di possesso, da ogni idolatria per rendere più facile la nostra marcia. In linguaggio biblico possiamo dire: conquistati da Cristo, ci incamminiamo nella ricerca appassionata del tesoro (cf. Mt 13,44) con gioia, liberandoci progressivamente da ogni intralcio e impedimento. Sin dalle prime parole la nostra regola è chiara: i frati devono vivere sine proprio per non essere “distratti” e rallentare la corsa nella sequela. “I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa” (Rb 6,1). È un’aspirazione non facoltativa nella vita di ogni frate”.

“Questo atteggiamento di espropriazione radicale, di dono di sé convinto e senza pentimento, esige una costante conversione, chiede di essere continuamente rinnovato a partire dalla contemplazione stupita di Dio che ci ama e ci attira a sé; solo allora è possibile sperimentare con gioia la “relatività” di tante cose che ci sembravano indispensabili. È un processo di formazione, teorico e pratico, che non termina mai”.

Per vivere questa espropriazione, sottolinea fra Giacomo, bisogna “formarsi all’itineranza, cioè alla disponibilità, all’obbedienza allo Spirito; formarsi al “rischio” di lasciarsi ri-inventare periodicamente dalla Spirito, valorizzando i suoi stessi doni: non possiamo lasciarli inutilizzati e sepolti in noi”; inoltre “formarsi alla minorità, all’accoglienza dei poveri e soprattutto all’incontro con loro; essere disposti ad andare verso di loro e non aspettare soltanto che vengano a noi; condividere e lasciarsi evangelizzare per costruire insieme una fraternità aperta e universale”; infine, “formarsi a una responsabilità concreta e personale per la giustizia, la pace e la riconciliazione”.

E soprattutto osare la fiducia in Dio: “Osare la fiducia in Dio significa aprire anima e cuore alla condivisione fraterna, superando ogni forma di individualismo autoreferenziale e soddisfatto; solo così impariamo ad aprirci alle urgenza di un mondo che ci sta interrogando, attraverso tante forme di povertà che mettono in discussione (o, almeno, dovrebbero…) le nostre sicurezze, la nostra vita in comune “indisturbata”, troppo “borghese” e segnata da una mentalità consumistica e rassegnata.

Osare la fiducia in Dio significa impegnarci in una via evangelicamente alternativa a quella del mondo, creando fiducia, fraternità e condivisione anzitutto nelle nostre case, oltre che con tutti Spesso continuiamo a preoccuparci di accumulare, sia personalmente che comunitariamente, creando a volte situazioni di ingiustizia tra di noi e attorno a noi.

Oggi la semplicità teocentrica francescana non è semplicemente un “valore”, ma la testimonianza per eccellenza e la vera strada di liberazione!”.

 

FORMAZIONE

E STUDI

 

Infine il tema della formazione, introdotto con l’affermazione: “In questi ultimi anni i documenti dell’ordine, accogliendo la preoccupazione della Chiesa, continuano a ripetere che il futuro di un istituto, quindi anche del nostro ordine, dipenderà dalla qualità della formazione sia permanente che iniziale, strettamente connesse tra di loro e con la vita”.

Ha ricordato, qualora ce ne fosse bisogno, che “tutta la nostra vita è un cammino di formazione: Siamo “in formazione” perché siamo in via, come ricercatori infaticabili di Dio e della Sua volontà; perché cambiamo, come anche il mondo intorno a noi cambia, così che ci viene continuamente richiesto di adeguare la nostra risposta evangelica alle nuove situazioni… Siamo “in formazione” perché la nostra vocazione cresce e si sviluppa solo a una temperatura molto alta: dobbiamo, cioè, mantenere sempre vivo l’ascolto del Signore, nutrirci di lui nell’eucaristia e continuare a ricercare le risposte adeguate, sempre nuove, ai suoi sorprendenti inviti… Siamo “in formazione” perché lo esige la dinamica della vita fraterna che è costantemente in “riforma”, deve continuamente trovare un nuovo equilibrio nelle relazioni interne ed esterne senza venir meno alla forma vitae, ai dati essenziali della nostra identità…

Ci formiamo perché vogliamo vivere con gioia e in pienezza la nostra vocazione e missione. Se manca questa coscienza si possono verificare, all’interno del cammino vocazionale, situazioni distruttive”.

Dovrà trattarsi di una formazione capace di integrare e porre in relazione, all’interno della comune identità francescana, elementi quali: un’esperienza viva al seguito di Gesù, secondo la forma di vita, lo “stile” di san Francesco e una formazione nel mondo attuale.

Concludendo questa parte della sua relazione, fra Giacomo ha richiamato quelli che considera i punti nodali “che possono davvero cambiare il volto di una provincia o dell’ordine intero”.

Ha detto: “Dobbiamo convincerci che formazione, fede e ricerca di Dio sono collegate e costituiscono la priorità assoluta per custodire e vivere la nostra vocazione in qualunque momento della nostra vita. È la priorità su cui occorrerà investire tutte le nostre forze:

– la formazione è missionaria sin dall’inizio, missionaria in tutte le dimensioni del termine, in tutte le forme di evangelizzazione; non ci si forma principalmente o esclusivamente in vista delle strutture di una provincia, ma per fortificare la propria vocazione, nella disponibilità ad ogni missione in vista del Regno. Non ci si forma “al chiuso” per poi, in un secondo momento, “andare fuori”;

– occorre formarsi (e formare) alla libertà e ad una nuova ascesi. Nelle situazioni sociali in cui viviamo, sotto il peso del superlavoro, di un’affettività spesso ferita o non ben integrata, di un consumismo schiavizzante, di scelte a propri uso e consumo che il mondo ci propone, l’ascesi a cui formarci e formare non è più quella delle “penitenze” o del cilicio… È piuttosto la liberazione da ogni tipo di idolatria, di droga (alcool, velocità, fretta, rumori, risultati immediati ed eclatanti…), da ogni forma di dipendenza (mass-media, superfluo, edonismo…). L’ascesi veramente formativa, oggi, consiste nel sapere come e perché fare apostolato, nel saper utilizzare il tempo, nel trovare spazi di riposo, di silenzio, di interiorità, di pace, di ascolto della presenza di Dio, di una vera e profonda relazione fraterna…”.

Tutto questo accompagnato da uno studio di alto livello, nella convinzione che, come scrive Tommaso da Eccleston, “l’edificio dell’ordine si edifica su due pilastri, quello della santità di vita e quello della scienza”.