GESÙ DISSE ALLA DONNA: “NON PIANGERE!”
Dio visita il suo
popolo, nel momento in cui Gesù reagisce con cuore d’uomo_al dolore di una
donna di cui il Vangelo ci ha conservato solo il pianto.
«Veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”. E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Giovinetto, dico a te, alzati!”. Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre» (Lc 7, 12-15).
L’episodio è tutto nell’ottica della madre; e il miracolo di cui si parla è fatto a beneficio di lei assai più che del giovane morto.
La nostra attuale sensibilità tende a cogliere soltanto la tragedia familiare, affettiva, in questa idea di una vedova che ha perso l’unico figlio. In realtà la perdita è molto, ma non tutto. Per comprendere fino in fondo quanto sia triste la situazione della vedova di Nain, occorre situarsi all’interno del contesto giudaico dei tempi di Gesù. Allora si comprende che qui non c’è soltanto una madre che soffre, ma anche una donna azzerata socialmente, una creatura finita.
In quell’ambiente la donna trova la propria dignità e la propria ragione di esistere soltanto nell’essere madre. Giovane o vecchia, la donna non può vivere senza il sostegno di un uomo. E questa ha perduto il suo unico figlio; ed è vedova, forse di età avanzata, e non avrà altri figli. Se è povera, rimane anche completamente priva di risorse.
La vedova in quanto tale è bisognosa di tutto e anche, nella sua debolezza, facilmente raggirabile. Nella Scrittura, appare quasi sempre figura emblematica di una povertà estrema.
«Vedendola, il Signore ne ebbe compassione».
Ne ebbe compassione: l’espressione usata in greco contiene diversi richiami all’Antico Testamento. Evoca il Dio che ha viscere di misericordia, cioè il Dio che (se proprio si debba usare il linguaggio inadeguato delle immagini) è più madre che padre, e soffre della sofferenza dei suoi figli.
Forse è significativo il fatto che qui Luca – solito a graduare con grande attenzione l’uso degli epiteti riferiti a Gesù – adoperi il termine «Signore», Kyrios, che nel Nuovo Testamento evoca la glorificazione pasquale, e che Gesù venga riconosciuto come Signore – cioè superiore a ogni potere terreno, padrone della vita e della morte – proprio nel momento in cui si lascia coinvolgere, anzi sconvolgere, dal dolore umano.
«...E le disse: “Non piangere!”».
Non piangere! Per noi sono soltanto povere parole, anche se nobilitate dalla com-passione, parole su cui pesa l’impotenza umana a confortare il dolore. Ma qui, senza perdere il significato umano più nobile (condividere il dolore), questa frase vuol dire molto di più. Vuol dire proprio che «non si deve» piangere: perché la morte non è più morte. Non cercate tra i morti il Vivente.
«E accostatosi toccò la bara».
Gesù non tocca il morto, in questo caso, ma il cataletto con cui viene portato alla sepoltura, il simbolo del potere della morte. Al suo gesto i portatori si fermano. Non sanno chi sia; non hanno alcuna idea di ciò che intende fare; ma istintivamente reagiscono alla sua autorità.
«Giovinetto, dico a te, alzati!».
Somigliano alle parole di Dio nell’atto della creazione. Sono parole che creano. Quando Dio dice «Sia la luce», la sua parola-azione fa sì che la luce cominci a essere.
«Il morto si alzò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre».
Questa conclusione sottolinea quanto detto all’inizio: che il miracolo, più che a beneficio del figlio, è fatto alla madre.
La memoria dell’Antico Testamento si fa particolarmente evidente nelle parole degli astanti: «Un grande profeta è sorto fra noi». Subito lo stesso entusiasmo si autocorregge. No, questi non è solo uno dei vari profeti venuti come inviati da Dio, ma «Dio ha visitato il suo popolo»: è la stessa presenza di Dio che si rivela, incarnata nella storia.
Dio visita il suo popolo, nel momento in cui Gesù reagisce con cuore di uomo al dolore di una povera donna, simile a tante altre nel suo dolore eppure, nel suo dolore, unica. Una donna di cui il Vangelo ci ha conservato soltanto il pianto: non il nome, e neppure una parola.
Lilia Sebastiani
da Donne dei Vangeli, Edizioni Paoline 1994