VOCAZIONI IN MONASTERO
ESPERIENZA DI LUCI E OMBRE
Questa testimonianza
viene da un monastero di cistercensi (ocso) del Cile. Descrive l’andamento
vocazionale che si svolge tra luci e ombre, interrogativi e paure: molti
entrano e pochi rimangono. Ma il seme della vocazione continua a portare
frutti.
La nostra vita è essenzialmente orientata alla contemplazione: vivere nella solitudine cenobitica e nella semplicità, pregando, meditando e lavorando per cercare e incontrarci più intimamente con Dio; solitari nel nostro ambito cerchiamo di portare, nella nostra preghiera, le gioie e le sofferenze di tutti gli uomini, nostri fratelli, davanti al Padre di tutti. Questa è la nostra missione in seno alla Chiesa.1
La prima cosa che mi sembra opportuno sottolineare è il contesto caratteristico che il nostro carisma monastico conferisce alla pastorale vocazionale della nostra comunità. Il fatto di non avere un apostolato di inserimento diretto negli ambienti giovanili (né collegi né catechesi) fa sì che il flusso di giovani alle porte del monastero, per cercare di seguire il Signore, sia minore. Ma la vocazione, questa chiamata irrepetibile del Signore, continua a toccare le persone, e il Signore si incarica di porre il suo seme in ogni cuore aperto all’ascolto, desideroso di conoscerlo, di amarlo e seguirlo; una prova è che, grazie a Dio, non ci sono mancate vocazioni in questi 42 anni di vita.
Accompagnare quanti scrivono o visitano il nostro monastero, cercando di chiarire il loro cammino, è stata un’esperienza di luce e di ombre, di interrogativi e timori, di illusioni e di ideali. Ma al di là di quanti di questi cercatori hanno gettato le ancore nella nostra casa per rimanere nella nostra comunità e unirsi al nostro cammino con Cristo, la certezza che ci rimane nel profondo è che si tratta dell’opportunità unica di entrare in questa zona sacra di ciascun essere umano, dove Dio si rende presente, dove l’uomo può scoprirsi libero figlio di Dio. Molte volte il mio lavoro ha avuto molto di “ostetricia” per aiutare a far nascere il vero uomo, amato da Dio, che viene con una pesante bisaccia piena di paure, ferite, di notti… ma intravedendo particelle di speranza, sprazzi di luce nel più profondo del proprio essere.
Molti giovani sono passati per la nostra comunità, cercando di dare una risposta a ciò che in un determinato momento è percepito come chiamata di Dio a seguirlo nella vita contemplativa; un buon numero, scoprendo ben presto che non era la loro strada, hanno preso i loro bagagli per continuare a cercare, ascoltare, rimanere liberi. Forse la lettura più immediata e facile di tutto ciò sta nel dire che abbiamo fallito nel lasciarli partire, che ne passano molti e ne restano pochi, ecc. Siamo tuttavia consapevoli che il Signore ci ha chiesto l’umile servizio di essere “levatrici” che tendono una mano misericordiosa a questi fratelli, dando ad essi uno spazio di silenzio e di pace per ascoltare meglio, un luogo di incontro con Dio e con se stessi, per far salire alla superficie della vita questa identità più autentica e sacra di riconoscersi figli amati da Dio.
La nostra comunità vive questo fenomeno (in apparenza sterile) con uno sguardo di fede e di speranza. Riconoscendo che ogni uomo che passa nel nostro monastero ha un’autentica esperienza della misericordia di Dio e della propria dignità, e ciò è un frutto prezioso per l’incontro finale.
Solamente come costatazione del profilo generale dei nostri aspiranti e per mettere in risalto l’indole del lavoro di selezione dei candidati che bussano oggi alle nostre porte, posso affermare che si mescolano vari condizionamenti sociali che segnano la risposta dei nostri giovani:
– una frammentazione sempre più acuta della famiglia;
– una cultura vertiginosa che promuove l’immediato (effimero) su ciò che è duraturo;
– paura o poco interesse di stabilire vincoli solidi e duraturi (si può applicare a tutte le vocazioni, compreso il matrimonio);
– la figura paterna piuttosto deteriorata, in cui la figura dell’autorità è rifiutata e messa in questione, e ciò si ripercuote nella difficoltà a entrare in un cammino di formazione;
– una confusione morale e religiosa, poiché l’ambiente offre un’ampia gamma dove scegliere “l’esperienza
religiosa” che si adatta meglio alle necessità del momento.
In questo contesto sfavorevole, dar risalto alla persona e al messaggio di Cristo, e alla sua costante azione personale in ciascun uomo, costituisce una grande sfida e un servizio che pone continuamente alle frontiere della fede.
Infine una parola sull’affettività, aspetto di non minore importanza nei nostri noviziati e seminari; forse il più fragile dei nostri programmi di formazione alla libertà. Aiutare a scoprire, valorizzare e ordinare gli affetti è di vitale importanza per formare veri apostoli e discepoli di Cristo. Non è un compito facile, ma un dovere irrinunciabile. Se stiamo attenti a leggere i segni dei nostri tempi si comprenderà la ragione per cui desidero sottolineare questo compito Per la nostra comunità è un aspetto della formazione e del discernimento che ha un risalto maggiore poiché siamo eredi di una spiritualità più affettiva (il libro preferito della Bibbia nei nostri chiostri era ed è il Cantico dei cantici) che speculativa. I nostri padri di Citeaux danno un’importanza particolare alla concezione benedettina del monastero come scuola del servizio divino per passare a una scuola di carità, dove si impara ad amare Dio e il fratello, in cui l’esperienza di un vero amore fraterno va di pari passo con l’amore di Dio. Con una visione sufficientemente ottimista dell’uomo, partono dall’amore umano con tutta la carica di imperfezione che questo possa avere, riconoscendolo come la base necessaria da cui iniziare un arduo cammino spirituale che conduce alla libertà nell’amore; in questo processo si sviluppa l’ordinamento dell’amore, al cui servizio sono le osservanze monastiche (obbedienza, silenzio, solitudine, lavoro, lectio, preghiera, ecc.); avendo come meta di giungere ad amare come Dio ci ama, o per usare le parole del nostro san Bernardo, amare Dio senza misura.
Per le caratteristiche della nostra vita monastica in cui le relazioni fraterne e interpersonali sono il pane quotidiano, una maturità affettiva, libera da traumi che atrofizzano la capacità di amare è essenziale.
In conclusione, non posso lasciare di sottolineare che accompagnare i nostri aspiranti è stata una vera e profonda esperienza di Dio. Un’opportunità provvidenziale per approfondire le radice della mia stessa chiamata e della mia risposta al Signore; chiamata che mi ha condotto prima al nostro monastero di La Dehesa (monastero fondato nel 1960), agli inizi del 1981, dopo un discernimento che ha richiesto una conoscenza previa, avvenuta attraverso lettere, ritiri e un’esperienza di due mesi all’interno della comunità, con un accompagnamento attento del maestro dei novizi e l’aiuto dei fratelli; esperienza che mi ha aiutato a confermare con maggiore limpidezza quel sussurro iniziale della chiamata. A partire da allora il Signore non ha perso occasione per ricordarmi quanto mi ama e quanto desidera che io risponda al suo amore.
Così, in seguito a tutta l’esperienza dell’amore
misericordioso vissuto in questi anni, sgorga dal profondo del mio cuore il desiderio sincero che ciascuno di coloro
che bussano alla porta del nostro monastero e tutti i giovani in ricerca abbiano a sentirsi trafitti da questo sguardo
intenso di amore che dice loro: Vieni e seguimi.
1 Raul Soto Vergara, Experiencia vocacional: Monasterio Trapense Santa Maria de Miraflores, in Testimonio, marzo-aprile 2003, 93-96.