In
una Europa in continua trasformazione, l’Ordine dei Predicatori individua
sfide impegnative riguardanti la formazione per la missione. Ma da quali precise
realtà provengono, tali sfide? E a quali condizioni poterle vincere?
Si
sono radunati a Madonna dell’Arco (Napoli) nei giorni 22-27 aprile 2003 i
superiori maggiori d’Europa dell’Ordine
dei Predicatori (OP), sollecitati
dall’urgenza di riflettere sui rapidi e profondi cambiamenti storici,
culturali, politici e religiosi che il continente sta vivendo per potervi
caratterizzare le sfide che ne provengono all’impegno di una adeguata
formazione per la missione. Domande molto serie, infatti, ne scaturiscono
particolarmente per la cura dovuta alle giovani generazioni, tra le quali quanti
si affacciano alla vita religiosa recano necessariamente, di quelle
trasformazioni, tracce non facilmente integrabili con le esigenze odierne della
missione evangelizzatrice.
Come dunque annunciare il Vangelo oggi, in un contesto tanto cambiato e
tuttora fluido? Di quale preparazione dotare i giovani candidati a tale
missione, in Europa? Con quali mezzi aiutarli a non subire le trasformazioni
della storia e ad affrontare le situazioni segnate dalla multiculturalità e
dalle diversità religiose? E prima ancora, come impostare la loro formazione in
quanto futuri “predicatori”? Su quest’ultima domanda, riguardante
soprattutto la formazione di base, ha svolto la sua relazione, Formation
pour la mission dans une Europe transformée, fr. Franz Muller op, della provincia domenicana svizzera, proponendo considerazioni
circa il contesto nel quale avviene oggi la formazione alla vita domenicana e
sottolineando sia le urgenze per la missione sia l’impegno necessario a
formare religiosi che vi sappiano rispondere col più adeguato servizio alla
Parola richiesto dalla loro specifica vocazione.
Fratel Muller, dopo aver premesso che parla a partire dalla propria
esperienza in Svizzera, introduce la sua riflessione citando il teologo e
attuale vescovo di Bale, il quale parlando della crisi che oggi la fede
cristiana attraversa, afferma che «la questione della trasmissione della fede
cristiana alle generazioni future è divenuta per le Chiese cristiane
particolarmente nelle società occidentali la grande questione esistenziale». Ed è dentro tale questione il
problema ineludibile – lo conosciamo bene anche in Italia –, lo scoglio
quasi inamovibile che ostacola in Europa il puro annuncio evangelico, per non
parlare della catechesi.
E’ ormai tramontato «il tempo dell’occidente cristiano nel quale,
salvo qualche eccezione, tutti i cittadini e le cittadine erano socialmente
cristianizzati e realmente si consideravano cristiani», mentre oggi «le
persone che vogliono in modo cosciente nutrire la propria vita alle fonti della
fede cristiana rappresentano un’esigua minoranza». Vi si aggiunge il fatto
che l’orientamento religioso della società non è più verso le sole due
grandi Chiese – cattolica e protestante – ma va spezzettandosi per il
continuo sorgere di forme di religione antiche e nuove, cristiane e no, ora di
una certa serietà ora stravaganti, ma che esercitano un’attrazione più forte
di quella delle Chiese cristiane tradizionali.
Inoltre – e ciò è forse più grave entro la citata “grande
questione esistenziale” del cristianesimo in occidente – «si constata in
una larga fascia della popolazione un crescente analfabetismo su quanto concerne
l’esperienza della fede cristiana. Anche in coloro che frequentano con una
certa regolarità le nostre assemblee domenicali, possiamo sempre meno
considerare acquisiti i punti fondamentali dell’iniziazione cristiana». Vi si
può notare un vago senso di religiosità, ma occorre dire che «si è passati
da una “identità religiosa prescritta” (dalle Chiese istituzionali) a una
“identità religiosa costruita” (da ciascun individuo). Ognuno/a si fa un
proprio “cocktail religioso”
secondo i propri bisogni. I sociologi parlano anche di una sorta di bricolage delle credenze».
E ancora: «Se prendiamo sul serio il nostro contesto designato spesso
come post-moderno, vediamo a qual punto la nostra società si è diversificata
in differenti sistemi di riferimento: la famiglia, la professione, il tempo
libero, l’economia, la politica, la cultura si sono articolate in
sottosistemi, ciascuno con la propria legittimazione e propri modi di
comunicazione». Si tratta di una frammentazione che non è senza conseguenze
per gli individui, mentre la stessa religione, «anziché essere un riferimento
inglobante e unificante i diversi sottosistemi, sembra essere divenuta un
sottosistema a fianco degli altri e fra gli altri».
Ma c’è qualcosa di ancor più preoccupante, ai fini della trasmissione
della fede cristiana oggi.
«Il pluralismo
crescente della società e l’individualismo sempre più radicale che ne
consegue rendono sempre meno possibile rivolgersi a tutti allo stesso modo: lo
stile di vita, il linguaggio, le forme di pensiero e di vita degli uomini e
delle donne d’oggi sono divenuti troppo differenti tra loro. Pertanto una sola
via di trasmissione della fede non basta più; ne occorrono oggi di numerose,
adattate ai diversi gruppi umani e ai vari settori della nostra società».
L’individualismo infatti riflette un cambiamento sociale molto
profondo, e p. Muller insiste col sottolineare un punto che gli sembra di grande
importanza per la formazione.
«Le trasformazioni
relative all’entrata dell’individuo nell’età adulta hanno creato uno
spazio particolarmente favorevole alla sperimentazione. In effetti, le varie
dissociazioni prodottesi negli ultimi trent’anni, tra le soglie d’entrata
nell’età adulta, la fine della scolarità, l’inizio di una carriera
professionale, l’uscita dalla casa paterna, la creazione di una nuova unità
familiare hanno sconvolto gli schemi stabiliti e i percorsi soliti. Il
prolungamento della durata degli studi, l’instaurazione di un precario mercato
del lavoro, la pluralità delle scelte di vita e delle loro conseguenze (in
coppia, da single, con i genitori, in
comunità) e lo spostamento dei tempi per la procreazione hanno creato le basi
di una inedita età della vita che non corrisponde né alla giovinezza né
all’età adulta tradizionalmente intesa. Essa corrisponde bensì a una fase
intermedia durante la quale si dispone dei diritti, perfino dei mezzi
finanziari, dell’adulto ma spesso senza l’assunzione di responsabilità
sociali come quella di allevare un figlio; o le si assumono secondo modalità
esprimenti in particolare una diffidenza viscerale verso le istituzioni e i
modelli culturali ereditati».
Come comportarsi di fronte a quella che p. Muller chiama
“evaporazione” del contenuto della fede cristiana e tenendo conto del
crescente analfabetismo religioso?
Un tempo si poteva partire dal fatto che i contenuti elementari della
fede cristiana venivano trasmessi in quanto elementi della cultura occidentale,
e ci si giovava della sinergia tra famiglia, scuola, usanze varie e catechesi
centrata sulla trasmissione di una dottrina cristiana elementare: ora tutto
questo non esiste quasi più. «La conoscenza dei contenuti biblici è
retrocessa drasticamente. Gli stessi studenti e studentesse di teologia
cominciano spesso i loro corsi senza adeguate nozioni bibliche previe. Le
immagini, i simboli e le metafore della Bibbia, che in larga misura permeavano
il linguaggio e la cultura occidentale non sono più comprensibili a molti
nostri contemporanei. Così il significato di feste religiose anche importanti,
per cui giustamente possiamo parlare, malgrado gli sforzi immensi della
metodologia intrapresi da qualche decennio nella catechesi, di crescente
analfabetismo biblico o cristiano». E tutto ciò mentre «si manifestano
tendenze fondamentaliste, che insistono sulla stretta osservanza delle formule
di fede trasmesse».
Le sfide da raccogliere assolutamente comportano, pertanto, l’urgenza
di elaborare «una catechesi di base centrata sull’essenziale e sulla
comprensibilità». Infatti, trasmettere la fede è molto più che la
trasmissione di un contenuto dottrinale o di informazioni sulla
fede. La fede – ricorda il relatore – «si vive in una dimensione
esistenziale, è fondamentalmente spiritualità vissuta. Condurre alla fede
significa perciò introdurre a una vita che si fonda su Dio, a una vita che si
trova nel suo Mistero e che riceve la sua ispirazione dal Vangelo».
La fede non è un sapere – prosegue – «ma un’esperienza; e quale
tipo di esperienza spirituale propongono le nostre comunità?... Se i fedeli non
trovano spazi spirituali nella loro Chiesa, li vanno a cercare altrove... o
altri se li inglobano».
In verità occorre anche dire che «la maggior parte delle persone che
oggi accedono a una fede cristiana viva la trovano nei gruppi cristiani dove si
sentono accolti e introdotti a una pratica comune della fede. Se la fede
cristiana è una risposta all’amore di Dio, almeno in qualche misura non può
essere trasmessa che nella comunità e dalla comunità. Perché “essendo
amore, Dio non può essere conosciuto nelle grandi organizzazioni e istituzioni,
ma solamente nelle comunità concrete”(Jurgen Moltmann). Ecco perché è di
importanza vitale, per la trasmissione della fede, la promozione di nuclei
comunitari aperti e solidi, nei quali la fede può essere vissuta in tutte le
sue dimensioni», poiché essa ha bisogno, «per svilupparsi e approfondirsi, di
radicamento, di tempo e di uno spazio protetto in una comunità».
Non per nulla aggiunge compiaciuto p. Muller: «Ebbene, i nostri testi
fondanti parlano del convento come di Iesu
Christi praedicatio! E il convento è una “predicazione di Gesù Cristo”
per la qualità della vita comune che vi si conduce».
Ed è per una vita così che i giovani candidati alla vita domenicana si
preparano, anche se entrando non sanno forse che tale possono e devono
aspettarsela nonché contribuire un
giorno a farla essere.
Il relatore è dunque passato alle provocazioni che il contesto descritto
nella maggior parte della sua lezione lancia all’Ordine domenicano riguardo
alla formazione in generale e particolarmente a quella iniziale.
Processo lungo e non semplice, risultando di elementi e di dimensioni che
si interpenetrano, egli ama distinguere nella formazione, dice, tra
“umanizzazione”, evangelizzazione” e “domenicanizzazione”. «In quanto
appartenenti all’OP siamo chiamati a divenire umani a immagine di Gesù. E la strada
che vi ci conduce è quella di divenire evangelici (viri evangelici), come è stato Domenico: uomini (e donne) presi a
tal punto dalla compassione di Dio che devono
comunicarla». Non si tratta, pertanto, del solo studio o di una fase
predeterminata, ma: «Per formazione io intendo qualche cosa di globale, poiché
si tratta di apprendere un modo di essere, della nostra “domenicanizzazione”,
in cui l’apertura e l’attenzione a tutto ciò che accade nel mondo è un
elemento essenziale. Come dice anche la nostra Ratio
formationis generalis, “per sua natura la comunità domenicana deve
esortarci a essere per tutta la vita in formazione”(n.14)»
Molti problemi oggi vi sono connessi, e non ultimi per importanza quelli
che riguardano i formatori e la loro specifica formazione di accompagnatori
mediante un servizio, date le premesse di cui sopra per la missione odierna in
Europa, necessariamente personalizzato; e, questo, conclude p. Muller, sempre
entro un quadro comunitario di studio, di preghiera e di vita fraterna
indispensabile a favorire l’assunzione, «per osmosi», dell’evangelismo
domenicano quale “divisa” interiore dell’essere. E riporta, a conferma di
come la comunità diventi così «sacramento in cui si sperimenta la presenza
del Risorto», un testo da una lettera del b. Giordano di Sassonia, successore
di s. Domenico quale maestro dell’OP:
“Ho appreso, carissimi, e questa notizia mi ha colmato di gioia, che tutti
uniti sotto lo stesso tetto e nella più perfetta unanimità perseverate nella
preghiera, vi applicate allo studio e crescete nella mutua carità. Conservate
sempre tra voi la carità vicendevole. Gesù non saprebbe apparire a coloro che
si sono separati dall’unione comune; san Tommaso non meritò di vederlo
soltanto per il fatto che si trovava fuori dal Cenacolo: sareste voi più santi
di questo apostolo?”.
Zelia
Pani