GLI ORDINI RELIGIOSI ABBANDONANO MODENA
Risorse preziose,
acquistate dalla Chiesa di Modena nel volgere di secoli, si sono dissolte in
pochi anni, quasi nell’indifferenza del contesto cittadino ed ecclesiale: mi
riferisco ai numerosi ordini religiosi che, nella diversità e complementarietà
dei carismi, hanno rappresentato, per la chiesa locale, un forte riferimento
per l’evangelizzazione e per l’assistenza spirituale.
Hanno lasciato Modena
i Gesuiti, che erano in via dei Servi dal 1591 e per secoli hanno provveduto
all’istruzione di innumerevoli generazioni, formando anche discepoli illustri
come Ludovico Antonio Muratori. Perduto da tempo l’impegno dell’insegnamento,
erano rimasti a servizio dei fedeli, dedicandosi particolarmente alle
confessioni: in qualsiasi ora del giorno, almeno due di loro erano sempre nei
confessionali, ad amministrare un sacramento sempre meno garantito nelle
parrocchie, assediate da incombenze di ogni genere.
Tra pochi mesi, i
cappuccini lasceranno il loro convento di via Ganaceto, eretto nel 1574. In
verità, erano a Modena già dal 1539, ospitati dal cardinale Giovanni Morone
all’interno del palazzo vescovile: con la loro partenza viene sepolto un pezzo
di storia cittadina, se si pensa all’assistenza prestata in occasione di pesti
e calamità, suscitando fervore di vita cristiana in tutte le classi sociali, al
punto che perfino un duca di Modena, Alfonso III d’Este, nel 1629, lasciò il
trono per vestire il saio dei cappuccini.
Qualche anno fa, sono
partiti i domenicani, la cui presenza in città era iniziata in tempi ancor più
remoti e per secoli erano stati riferimento luminoso per dottrina e
spiritualità. Ora, la loro splendida chiesa, perfettamente restaurata dopo il
terremoto del 1996, è utilizzata per celebrarvi una messa solo nei giorni
festivi.
Si può ricordare la
partenza dei Salesiani, che nell’istituto di via Selmi sono stati a lungo un
formidabile centro di formazione, soprattutto per giovani e adolescenti; si
possono aggiungere i frati minori, che da due anni hanno abbandonato la
parrocchia di via Cittadella e l’elenco risulterà, probabilmente, ancora
incompleto.
Insomma, nel volgere
di qualche lustro, si è assistito ad un impoverimento di energie spirituali
senza precedenti, ancor più preoccupante se si considera la carenza di
vocazioni nel clero secolare. Più che la materiale chiusura di tante chiese,
interessanti talora sotto il profilo artistico, suscita preoccupazione il
disorientamento di noi fedeli, privati di guide spirituali autorevoli e
credibili. In una realtà caratterizzata da confusione etica e da riemergente
paganesimo, sentivamo il bisogno di una più autentica evangelizzazione,
annunciata da nuovi operai inviati dal padrone della messe e, invece,
constatiamo la fuga anche dei pochi che erano ancora presenti.
Che cosa abbiamo fatto
in Modena perché questo non accadesse?
Sarebbe fuori dalla
realtà chi avesse immaginato che le strutture delle parrocchie ed il clero
diocesano avrebbero potuto da soli garantire il servizio ministeriale e
l’assistenza spirituale a una città i cui problemi aumentano a ritmi
impressionanti.
Né sembra
tranquillizzante la constatazione che la scarsità delle vocazioni negli ordini
religiosi imponga una progressiva soppressione di sedi. Infatti, se per un
momento si osserva la situazione di una nostra vicina, qual è la città di
Parma, si constata che tutti gli ordini religiosi, insediatisi in essa in
passato, continuano al presente il loro servizio, pur con qualche inevitabile
difficoltà. Con ventimila abitanti meno di Modena, Parma usufruisce ancora
della presenza dei frati minori, dei cappuccini, dei frati minori conventuali,
dei Carmelitani Scalzi, dei Gesuiti, degli Stimmatini, dei Salesiani, dei
Saveriani, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, dei Benedettini. Sicuramente,
la situazione differente nelle due città è stata determinata da eventi non
casuali, ostacolati o favoriti dall’atteggiamento delle chiese locali e dal
diverso contesto socio-culturale.
All’inizio, ho
ricordato che nel 1539 Giovanni Morone accolse nel palazzo vescovile i primi
cappuccini, in attesa di una sistemazione più adeguata: come mai, oggi, la
chiesa locale si comporta da estranea spettatrice alla loro partenza, dopo
quasi cinque secoli ?
Un’altra domanda mi
inquieta da tempo: con quali criteri i superiori degli ordini individuano le
sedi da sopprimere? sulla base delle necessità spirituali delle zone più
scristianizzate, oppure tenendo conto di vantaggi logistici, della tranquillità
del lavoro e di altre siffatte questioni?
Come battezzato,
auspico che queste considerazioni possano innescare una serena analisi e delle
opportune riflessioni in quanti hanno responsabilità di governo all’interno
della Chiesa: noi laici avremmo diritto a qualche risposta. Siamo pronti ad
essere interpellati e provocati, anche a livello operativo e, nel caso ci siano
state omissioni da parte nostra, possiamo, con la Chiesa e nella Chiesa, fare
in modo di recuperare e ripristinare quanto possibile. Nei secoli, gli ordini
religiosi sono stati più volte scacciati, soppressi e sono sempre ritornati
nelle loro sedi: che possa accadere anche ai nostri giorni?
Oronzo Casto
Credo che non ci sia alcun istituto religioso che giunga a chiudere delle opere a cuor leggero. Ogni chiusura è sempre una sofferenza, o meglio una decisione sofferta. Prima di prendere questa risoluzione c’è stato senza dubbio un lungo attento discernimento e certamente anche un dialogo con la chiesa locale.
Gli istituti religiosi che operano in campo nazionale e internazionale devono fare delle scelte a partire dalle priorità inerenti al loro carisma e alla loro tradizione. I cambiamenti dei tempi, il prospettarsi di nuovi areopaghi della missione, accompagnati dalla drastica diminuzione delle vocazioni e dal progressivo aumento delle età faranno sì che queste situazioni abbiano a moltiplicarsi, come già sta avvenendo un po’ ovunque. Forse facciamo ancora fatica a capire che il passato, per quanto glorioso, non tornerà più e che è giunto il tempo di trovare altre forme di presenza nella Chiesa, diverse da quelle finora consuete. Bisognerà mettersi in ascolto dello Spirito per cercare di capire dove egli vuole condurci. E mi pare che gli istituti religiosi lo stiano già facendo. La sofferenza di qualcosa che muore è la stessa del chicco di grano che viene sepolto in terra, ma ciò avviene per sprigionare poi nuova vita. Questa è almeno la nostra speranza. (A.D.)