I FRANCESCANI IN TERRA SANTA
È SEMPRETEMPO DI PASSIONE
Per i cristiani e i francescani che vivono in Terra Santa continua una dolorosa via crucis, come appare da questo servizio inviatoci da fr. Artemio Vítores, ofm, a ridosso della guerra in Iraq e nell’imminenza della Pasqua.
Essere francescani in Terra Santa non è mai stato facile.1 Nel corso dei secoli, i figli di san Francesco sono passati attraverso vicissitudini, vessazioni, persecuzioni e spesso attraverso il martirio. In questi quasi otto secoli di storia hanno sofferto nella loro carne le difficoltà in cui ha vissuto questa tormentata e sempre amata Terra Santa.
Non sempre, evidentemente, hanno dovuto portare la croce. Ci sono stati, ci sono e ci saranno dei momenti di gioia che sono stati molti e molto intensi. Tuttavia, i momenti attuali sono più di passione che di gloria.
Viviamo da oltre due anni in un clima assurdo di violenza che si è instaurato nella Terra Santa in cui la sofferenza, la fame, la violazione dei diritti umani e persino la morte sono notizie di ogni giorno.
Qui vorrei sottolineare quattro aspetti che hanno toccato direttamente i francescani: l’assedio della basilica della Natività, la mancanza di pellegrini, la guerra attuale in Iraq, l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa e l’impegno dei figli di san Francesco per dar loro una ragione di speranza.
CALVARIO
A BETLEMME
In questi giorni si compie un anno dell’episodio doloroso nella vita della Custodia francescana della Terra Santa. Per 38 giorni un gruppo numeroso di religiosi assieme ad alcune religiose hanno vissuto un capitolo triste della storia, sempre difficile, della Terra Santa. Essi erano consapevoli della missione che avevano da realizzare in questo momento storico. Sono rimasti sul posto, nonostante il pericolo, perché volevano essere fedeli ai luoghi santi, in conformità con il mandato ricevuto dalla Santa Sede e anche perché era loro dovere custodire, ad ogni costo, il luogo della nascita del Figlio di Dio, che è un patrimonio di tutti i cristiani, dal momento che tutti siamo nati qui e Betlemme, e rappresenta il cuore del mondo cristiano. Inoltre perché volevano difendere la vita e la dignità umana, a prescindere dalla razza, religione, che si trattasse di assedianti o assediati, convinti che il loro sacrificio poteva evitare mali maggiori sia alla persone sia alla basilica. Ed erano sicuri che era preferibile risolvere il problema attraverso il dialogo che non il confronto armato, come erano stati il desiderio e le istruzioni date ai suoi frati da san Francesco e come avrebbe fatto il serafico padre in persona.
In questo doloroso episodio i frati non sono soli. Anche qui, come avvenne per san Pietro, «una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui» (At 12,5). Si è creata una catena di solidarietà di tutto il mondo cristiano il quale pregava incessantemente il Signore. La preghiera del mondo intero, dal papa fino all’ultimo fedele, cooperò ad alleviare la sofferenza dei francescani.
Solo così – crediamo – si poté convincere il mondo che la vita può vincere la morte, che l’amore trionfa sull’odio e che la pace è capace di eliminare la violenza.
Il 10 maggio i francescani videro finalmente la luce della libertà. I figli di san Francesco, in un orribile contesto di morte e di distruzione, tornavano a essere testimoni della risurrezione di Cristo, proclamando al mondo che la vita può vincere la morte e che la pace è possibile in Terra Santa.
“QUALE GIOIA
QUANDO MI DISSERO…”
Oggi, nel ritmo frenetico imposto dalla vita moderna, ci costa molto affrontare situazioni in cui non avviene niente. Siamo più preparati all’attività che alla riflessione. Ci spaventa un po’ la solitudine perché ci sembra di non stare collaborando alla diffusione del regno di Dio.
È ciò che sta un po’ avvenendo ai francescani in questi ultimi anni. Non ci sono più pellegrini o ce ne sono molto pochi. Nel cuore dei fratelli che sono addetti alla custodia dei santuari può insinuarsi un senso di solitudine e di scoraggiamento. Che cosa faccio qui? Sono soltanto un custode di pietre, per quanto importanti esse siano?
Sono lontani gli anni in cui l’afflusso dei pellegrini era continuo, quasi strabocchevole, come avvenne nel 2000. I francescani non solo si sentivano custodi dei luoghi santi in nome della chiesa universale. Si sentivano, soprattutto – per citare le parole di Giovanni Paolo II – testimoni verso quanti venivano in Terra Santa in devoto pellegrinaggio «di amore e di donazione a Cristo redentore dell’uomo».
I figli di san Francesco, nonostante tutto, continuano a essere fedeli al mandato ricevuto dalla Santa Sede e allo spirito francescano. Anche oggi continuano a prestare un servizio alla chiesa universale. Non solo custodendo e curando questo patrimonio inestimabile, comune a tutti i cristiani, che sono i luoghi santi, ma soprattutto sono convinti che la grazia che scaturisce da questi luoghi è la forza che salverà il mondo. Infatti “tutto cominciò qui” e da Gerusalemme verrà la salvezza.
Per questa ragione, in questi momenti di solitudine, niente si è fermato in Terra Santa
I francescani, a volte soli o con qualche altro religioso o pellegrino, continuano ad ascoltare la parola di Dio nei luoghi dove essa è risuonata e a celebrare i misteri del Verbo fatto carne lì dove egli si è manifestato. Non è mai stata sospesa la via crucis dei venerdì attraverso le vie di Gerusalemme; tutti i giorni prendono parte alle celebrazioni nel santo sepolcro e in altri santuari. E in questi giorni stanno concludendo l’itinerario quaresimale seguendo le orme di Gesù e percorrendo i luoghi santi “attraverso i quali egli è passato”: Dominus flevit, Getsemani, Flagellazione, Betania, ecc., che ricordano i momenti che hanno preceduto la passione e la risurrezione del Signore. Tutto terminerà, durante la settimana santa, sul Calvario e nel santo sepolcro in cui risuoneranno con chiarezza le parole dell’angelo alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto» (Mt 28,5-6).
Essi sono convinti che la luce e la gioia che Gesù ci ha portato con la sua risurrezione sono le uniche che possono illuminare e rallegrare la vita dell’uomo. L’alleluja pasquale è il vero grido di liberazione per gli uomini e le donne del nostro tempo.
Nel clima di violenza in cui è immerso il medio oriente e specialmente nei giorni drammatici in cui ci tocca vivere, a causa della guerra in Iraq, i francescani della Terra Santa non solo sono chiamati a pregare per la pace, ma anche a essere, per quanto è possibile, costruttori di pace.
“DESIDERATE PACE
PER GERUSALEMME”
In questa guerra ci sentiamo tutti più tranquilli perché, a differenza di quella del Golfo del 1991, non sono stati lanciati missili contro la Terra Santa. È vero che i frati hanno sigillato il refettorio del convento e hanno distribuito le maschere antigas, ma tutti eravamo convinti che in questa occasione non sarebbe successo niente.
Quale è stato l’atteggiamento dei francescani della Terra Santa di fronte alla guerra? Anzitutto lo sforzo di creare nella fraternità un clima di pace. “pace, pax, peace, paz, pokoj, shalom, salam, eirene, mir, mier, pakea, asomdwee e frieden”: sono tredici accezioni della parola pace in diversi idiomi che i francescani del convento san Salvatore di Gerusalemme hanno stampato sulle finestre del refettorio, mentre lo sigillavano. Si voleva ricordare ai 95 membri della fraternità appartenenti a 30 nazioni, con questo gesto simbolico, le parole di san Francesco: «La pace che annunciate con la bocca, abbiatela più abbondante nel vostro cuore» (Leggenda dei tre compagni 58).
Per creare questo clima di pace sono stati fondamentali la preghiera e il digiuno, come consigliava il papa. Soprattutto, a partire dal mercoledì delle ceneri, c’è stata un’azione costante per chiedere al Signore, “il Principe della pace”, che movesse i cuori di tutti gli uomini di buona volontà e potesse regnare così la concordia tra i popoli. Ci sono stati dei momenti molto emozionanti: il canto dell’antifona Da pacem, Domine… al termine di ogni via crucis, davanti alla tomba vuota di Cristo; o il 19 marzo, il pellegrinaggio al Dominus Flevit per commemorare il pianto di Gesù su Gerusalemme. In quel momento, le parole di Gesù su Gerusalemme «se anche tu conoscessi in questo giorno il messaggio della pace….» sembravano annunciare ciò che sarebbe successo ore più tardi a Bagdad. Fu un segno premonitore, poiché tutto ciò che succede a Gerusalemme riguarda tutto il mondo nel senso che, in certo modo, Gerusalemme è l’epicentro del conflitto.
I francescani hanno voluto essere soprattutto strumenti di pace. San Francesco, “uomo di pace e artefice di riconciliazione” tra gli uomini e i popoli, non dubitò di recarsi in Oriente per incontrare il sultano d’Egitto, Malek eñ-Kamel, e poter così mettere pace tra i crociati e i musulmani che erano in guerra. E volle che i suoi frati fossero, specialmente in Terra Santa, “strumenti di pace e di riconciliazione” per il mondo, estirpando, soprattutto con l’esempio della loro vita, le radici dell’odio e del risentimento. Non con grandi discorsi o manifestazioni, ma in modo semplice. I frati che vengono in Terra Santa non devono fare «né alterchi né dispute», “siano sottomessi” a tutti e confessino di “essere cristiani” (RnB 16). In una parola, devono amare tutti. Il comportamento dei frati di Betlemme durante l’assedio alla basilica ne è stato un esempio concreto. E crediamo che questa è stata la storia dei francescani di Terra Santa e continui a esserlo oggi. Per questo, Giovanni Paolo II poteva dire a Nazaret il 25 marzo 2000: «La divina provvidenza ha voluto che… in nome della cristianità di occidente stessero, specialmente i figli di san Francesco di Assisi, santo della povertà, dell’umiltà e della pace…” a prestare il loro servizio in Terra Santa e a interpretare così, in modo “genuinamente evangelico”, il desiderio di tutta la Chiesa.
I francescani continuano ad aver fiducia che la gioia provata dagli Apostoli la domenica della risurrezione, quando Gesù apparve loro nel cenacolo e disse Pace a voi possa riempire i cuori di tutti gli uomini e di tutte le donne che cercano sinceramente la pace.
L’ESODO
DEI CRISTIANI
Ciò che ci rattrista come francescani in questo momento è l’esodo dei cristiani della Terra Santa. Questi, col passare degli anni, stanno diventando una minoranza quasi insignificante in seno alla popolazione totale della Terra Santa. Sono molte le ragioni che hanno contribuito ad accelerare questa diminuzione drastica dei cristiani: la mancanza di abitazioni, di lavoro, di sicurezza, ecc. Non vedono un futuro per continuare a condurre qui una vita che valga la pena.
I francescani non sono mai rimasti con le mani in mano di fronte a questa situazione. Con le parole e l’esempio cercano di far capire ai cristiani della Chiesa madre che cosa rappresenta il cristianesimo della Terra Santa per tutta la Chiesa, e per questo sono sempre rimasti loro accanto, anche nei momenti più difficili. Inoltre hanno cercato di fare sempre qualcosa di concreto, mettendo così in pratica le parole di Gesù ai suoi discepoli: «date loro da mangiare» (Lc 9,13). Con molte iniziative: procurando cibo e medicine per centinaia di famiglie, con scuole gratuite, borse di studio per universitari, lavoro nei loro centri (sono stati pagati tanti impiegati senza che ci fosse lavoro) e con ogni genere di aiuti sociali e soprattutto con la costruzione di case per i cristiani. Dal secolo XVI fino ad oggi i figli di san Francesco non hanno mai smesso di costruire abitazioni affinché il cristianesimo in Terra Santa avesse radici stabili. I processo è stato accelerato in questi ultimi anni. I francescani hanno capito che, assieme ai santuari, dovevano conservare la presenza di queste “pietre vive” che sono i cristiani.
Questa è oggi una missione fondamentale. E vale soprattutto per Betlemme. I cristiani della città di David, oltre alle conseguenze così penose che rappresentò per essi l’assedio alla basilica della Natività un anno fa, stanno vivendo momenti molti difficili. Non solo si limitano i loro diritti, ma si vuole isolare la loro città con la costruzione di un muro, con la conseguenza che una parte dei suoi abitanti rischiano la fame. Tutte queste difficoltà ci sembrano altrettante stazioni della via crucis dei cristiani che porta al Calvario.
I francescani sanno che le loro fatiche sono forse solo una goccia d’acqua in questo immenso oceano di difficoltà che è la Terra Santa, ma pensano che possono offrire a tanti cristiani “una ragione sicura di speranza”, poiché è una speranza tangibile.
Si potrebbero citare altre difficoltà incontrate dai figli di san Francesco in questi ultimi anni. Una di queste, molto dolorosa, è costituita dagli ostacoli che il governo israeliano sta ponendo al rinnovo dei permessi di residenza a molti religiosi, in modo speciale ai fratelli arabi; le conseguenze possono essere disastrose per le comunità cristiane, poiché potrebbero restare senza pastori. Credo, tuttavia, che quanto ho descritto sia sufficiente per comprendere la via verso il Golgota che percorrono i francescani. Ma essi non cessano mai di guardare al luogo della risurrezione di Cristo.
Non è il momento di tessere l’elogio delle fatiche dei francescani. I sommi pontefici non hanno mancato di farlo. Hanno considerato la presenza dei figli di san Francesco in Terra Santa come un dono della provvidenza divina alla Chiesa universale e affermato che i francescani hanno corrisposto a questa grazia con generosità e dedizione angelica.
Convinti di compiere un servizio ecclesiale, i francescani della Terra Santa hanno iniziato il terzo millennio seguendo le orme del loro padre san Francesco, il quale fu perfetto imitatore di Cristo.
Fr. Artemio Vítores, ofm
1 L’autore di questo articolo, fr. Artemio Vítores, è il guardiano del convento san Salvatore di Gerusalemme e consigliere della Custodia. Nel convento è presente una comunità molto numerosa e qui hanno sede anche la Custodia della Terra Santa, uno Studio teologico, ecc.