P. FRANK MONKS AI CAMILLIANI

TESTIMONIANZA DI VITA COMUNITARIA

 

Oggi la vita comunitaria ha compiuto molti progressi rispetto al passato.Ma c’è ancora un notevole spazio di miglioramento. Diversi sono gli elementi che aiutano a crescere: le cose semplici, un progetto comune e la preghiera.

 

«La prima testimonianza che siamo chiamati a dare è quella di una comunità in cui si è capaci di vivere insieme e di mostrarsi un vero interesse e una vera attenzione gli uni per gli altri». Lo scrive p. Frank Monks, superiore generale dei camilliani in un messaggio dedicato al tema Comunità e fraternità, il cui testo è contenuto nel n. 1/2003 di Camilliani-Camillians.

Guardando in retrospettiva la propria esperienza, mettendo cioè a confronto la vita di comunità del passato con quella attuale, p. Monks osserva: «Vorrei affermare prima di tutto che, a mio parere, la fraternità gode oggi di un miglior stato di salute all’interno dell’ordine, rispetto a qualsiasi altro periodo della mia vita. Indubbiamente ci sono delle ragioni storiche che spiegano questo fatto, non da ultimo l’ossessione tipica del passato per le amicizie particolari, quando il sesto e il nono comandamento costituivano l’aspetto supremo come fossero gli unici comandamenti a contare realmente. Quante volte abbiamo sentito risuonare la frase numquam duos semper tres? Il nostro problema oggi sembra piuttosto consistere nel mettere dei limiti alle nostre amicizie e nel rispettarli.

Comunque, c’è una maggiore attenzione vicendevole che non nel passato».

Secondo p. Monks c’è tuttavia spazio per un miglioramento. A questo scopo egli attira l’attenzione su alcuni settori della vita fraterna: il primo è quello delle cose semplici.

«Mi ha colpito, scrive, il numero di comunità che ha posto il tema della fraternità al centro delle riflessioni del loro ritiro mensile. È una cosa da salutare con favore e da incoraggiare». Ma, prosegue, «a volte mi chiedo se quando riflettiamo sulla vita comunitaria non stiamo facendo dei piani e dei programmi grandiosi, dando invece per scontati o trascurando alcuni semplici ingredienti basilari che sono richiesti prima di iniziare la costruzione. Quante volte sono proprio le semplici cortesie e le buone maniere a mancare, quando cerchiamo di far prevalere a ogni costo il nostro punto di vista. Le buone maniere sono leggere da portare e non costituiscono mai un peso. È più facile essere gentili che taglienti, e tuttavia molti religiosi sono specialisti nel lanciare pungenti frecciate indiscriminatamente in tutte le direzioni, anche durante i pasti, che invece dovrebbero rappresentare i momenti più rilassanti della giornata. Dovremmo chiederci come mai alcuni di noi riservano il lato migliore di sé al di fuori delle nostre comunità, mentre all’interno della nostra famiglia, nelle nostre comunità mostriamo il lato più gretto e meschino».

«A ognuno di noi, prosegue p. Monks, sono stati dati i frutti dello Spirito: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23). Anche il semplice elenco di questi frutti dello Spirito di cui parla Paolo ci fa capire quanto essi siano importanti per la vita di comunità. Non si tratta tanto di sapere se possediamo o no questi doni, il fatto è che non potremmo vivere la vita cristiana senza di essi. Li abbiamo ricevuti nel sacramento del battesimo e della cresima. Ciò che dobbiamo chiederci è: questi frutti giacciono ancora sepolti nelle segrete profondità del nostro essere? Dobbiamo guardare dentro i nostri cuori e vedere non se sono presenti, ma se questi frutti dello Spirito crescono nella nostra vita.

Una delle cose che ho imparato lavorando con gli anziani e parlando con le loro famiglie è che se una persona è stata gentile nel corso della sua vita, allora questa dote sembra accompagnarlo pienamente nell’età anziana, mentre se è stata una persona difficile allora essa diventa quasi impossibile nell’età avanzata. È un fatto che merita certamente di essere considerato e sembra dire che è meglio che io cambi qualcosa nella mia vita, e subito.

D’altra parte, sono ugualmente convinto che ognuno di noi cresce nella misura in cui è amato: “Tutti noi diventiamo migliori per il fatto di essere amati” (McLoad). L’amore ci trasforma; l’amore scioglie i cuori più induriti e in questo processo offre una meravigliosa testimonianza. Allo stesso modo, la sua assenza invia un messaggio silenzioso, potente e negativo a chi ci circonda. Tutti noi abbiamo bisogno di trovare questo amore nelle nostre comunità. Io ho bisogno di un ambiente familiare a cui tornare dopo le ore spese nel ministero. Che tristezza sentire espressioni come queste: “la mia comunità non è altro che una pensione” oppure “viviamo in un condominio”…».

«Nella mia vita, prosegue p. Monks, ho avuto la fortuna di incontrare persone famose e brillanti. Alcune erano arroganti a motivo della loro intelligenza e dunque per questo erano le più povere, ma la maggior parte mi hanno colpito per la loro semplicità e umiltà. Con il loro esempio mi hanno insegnato che la persona veramente intelligente è sempre consapevole di ciò che non sa, e di conseguenza è più incline ad ascoltare e a rispettare gli altri… La vera umiltà è una grande ricchezza nella comunità, così come l’arroganza è una inesorabile corazzata di distruzione».

Di grande importanza per costruire la comunità, sottolinea ancora p. Monks, sono anche un progetto condiviso e la preghiera.

Un progetto condiviso «è un mezzo che fortemente unisce e crea solidarietà e fraternità». Unisce in modo tale come poche altre cose sono in grado di fare.

Inoltre la preghiera: «Sono edificato, scrive p. Monks, per il modo con cui molte comunità hanno saputo sviluppare una preghiera distintamente camilliana. Ma sono altrettanto perplesso di fronte alla evidente incapacità di condividere personalmente e comunitariamente sul piano spirituale. È chiaro che se Dio è il centro e colui che motiva la nostra vita, allora questo comune denominatore dovrebbe essere visibile e avvertibile nelle nostre conversazioni. Delle buone paraliturgie e ben preparate sono strumenti meravigliosi per entusiasmarci vicendevolmente per le cose di Dio, nel senso che ci ricordano che la nostra consacrazione è fatta a lui e non al nostro lavoro, ed esse uniscono la comunità in una maniera unica. Trovo sempre che un pasto dopo una messa a cui tutti hanno partecipato, o dopo una paraliturgia ben preparata, è molto diverso e si caratterizza per la conversazione più rilassata, gioviale e animata. Fatene la prova!».

«La prima testimonianza che siamo chiamati a dare, conclude p. Monks, è quella di una comunità capace di vivere insieme e di mostrare una vera attenzione e un vero interesse gli uni verso gli altri. Come la primitiva comunità cristiana, siamo invitati a essere un gruppo di credenti “uniti in un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). In armonia con le nostre costituzioni, siamo chiamati al “servizio del Regno nel mondo della salute, sostenuti dalla comunione fraterna, tendiamo a esercitare con frutto le opere del nostro ministero. Sull’esempio della chiesa apostolica”, siamo chiamati “a essere segno della comunione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, certi di parteciparvi fin d’ora”. L’unità delle persone della Trinità assieme a quella della prima comunità cristiana degli Atti degli Apostoli costituiscono i modelli su cui basiamo la nostra vita di comunità. Questa è la teoria e questo è l’ideale che ci motiva e che dobbiamo possedere.

Per tradurlo in pratica abbiamo bisogno di grande tolleranza, di pazienza e di una overdose di buon senso. Gli sforzi che compiremo per tradurre l’ideale in realtà ne valgono veramente la pena. Come si dice in Italia: “coraggio”, vale a dire, andiamo avanti, lo possiamo, forza avanti».