13ª ENCICLICA DEL PAPA
ECCLESIA DE EUCHARISTIA
Presentiamo una lettura per punti chiave dell’enciclica, sottolineandone gli aspetti più rilevanti e le affermazioni più salienti. Seguono alcuni rilievi critici su alcuni aspetti particolari che possono suscitare interrogativi.
Sebbene l’enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia (17.4.2003) presenti chiavi di lettura alte (59), forse ciò che rende ragione del documento è il n. 10. Ivi infatti, dopo una positiva valutazione del cammino della riforma liturgica, si elencano delle «ombre» che sono: il venire meno del culto di adorazione eucaristica in alcuni luoghi, la riduzione dell’Eucaristia a convito fraterno, alcuni equivoci sulla presidenza del presbitero nonché nella prassi ecumenica. Questi sono «abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica» e circa i quali l’enciclica vuole apporre delle puntualizzazioni.
Qui offriamo due strumenti per una lettura proficua del testo: anzitutto una sintesi che ne ponga in luce le linee di architettura e le affermazioni più salienti; poi alcuni rilievi critici.
COMPRENSIONE
DEL TESTO
Premesso che la Chiesa vive dell’Eucaristia poiché in essa è racchiuso tutto il suo bene spirituale (1), l’Introduzione situa l’Eucaristia in rapporto al Cenacolo, «il luogo dell’istituzione», dove forse i discepoli non compresero le parole di Cristo, in quanto esse «si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del triduum sacrum» (2). Da allora ogni Eucaristia raduna la Chiesa e la mette in comunicazione, attraverso la Cena di Cristo, con gli eventi salvifici del triduo pasquale.
Mistero della fede (cap. I)
È il capitolo dogmaticamente più impegnativo. Si inizia richiamando il rapporto dell’Eucaristia con la morte e la risurrezione del Signore, evento di cui l’Eucaristia è memoriale e che da essa «è reso realmente presente» in vista di consentire a tutti la partecipazione al sacrificio della croce «come se vi fossimo stati presenti» (11). Però l’Eucaristia – «sacrificio in senso proprio» (13) – non si aggiunge al sacrificio della Croce né lo moltiplica (12).
Poiché la Pasqua di Cristo comprende la risurrezione, anch’essa è resa presente nel sacrificio eucaristico per la nostra salvezza (14) e alla presenza del Risorto viene ricondotta la presenza “reale” come fatto oggettivo indipendentemente dal nostro spirito (15).
Dall’Eucaristia così intesa derivano alcuni frutti e maturano precisi impegni: «l’unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la comunione» (16); l’accrescimento del dono dello Spirito (17); il fervore della tensione escatologica e «la garanzia della risurrezione corporea alla fine del mondo» (18); la comunione con la chiesa celeste (19); l’impulso al cammino storico, poiché annunciare la morte del Signore fino a che egli venga (1Cor 11,26) «comporta, per quanti partecipano all’Eucaristia, l’impegno di trasformare la vita» (20).
L’Eucaristia edifica la Chiesa(cap. II)
La edifica nel senso che la Chiesa “cresce” e viene costituita in unità a partire da un’esperienza che fu anzitutto degli apostoli, «un particolare di notevole rilevanza» (21). Precisato che «non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma anche Cristo riceve ciascuno di noi», l’unione a Cristo non chiude in credenti in se stessi, ma li invia nel mondo costituendoli come un sacramento per il mondo stesso (22) e dà un senso più elevato alle varie forme di fraternità. Anzi, «ai germi di disgregazione tra gli uomini... si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo» (24).
A questa tematica si lega il discorso devoto sul culto eucaristico fuori della Messa, precisando che la presenza di Cristo nelle specie conservate «deriva dalla celebrazione del sacrificio e tende alla comunione, sacramentale e spirituale», ma anche spezzando una lancia a favore di un «rinnovato bisogno di trattenersi a lungo in spirituale conversazione» e citando s. Alfonso Maria de’ Liguori per il quale l’adorazione eucaristica «fra tutte le devozioni (...) è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi» (25).
L’apostolicità dell’Eucaristia e della Chiesa (cap. III)
La Chiesa è apostolica perché fondata sugli apostoli come testimoni, perché ne custodisce il deposito, perché fino al ritorno di Cristo è istruita, santificata e governata da quanti hanno il carattere della successione apostolica attraverso una ininterrotta serie di ordinazioni episcopali valide. Tutto ciò riguarda l’Eucaristia (26-28). L’assemblea «necessita assolutamente di un sacerdote ordinato che la presieda» (29) e ciò non diminuisce la dignità del popolo di Dio poiché è «nella comunione dell’unico corpo di Cristo... che questo dono ridonda a vantaggio di tutti» (30). Ne seguono due conseguenze. Per la Chiesa cattolica non può essere ritenuta “normale” – e dunque è “provvisoria” – una comunità cristiana senza un presbitero ordinato (32-33). Nella prassi ecumenica i cattolici devono astenersi dal partecipare alla comunione di comunità cristiane prive di un autentico sacerdozio ministeriale ordinato; né le celebrazioni della Parola di queste ultime sostituiscono l’Eucaristia domenicale (30).
A questa tematica si lega il discorso devoto sul rapporto presbitero/Eucaristia come antidoto alla dispersione pastorale e con la «raccomandazione» – dunque non si tratta di un “ordine” – della celebrazione quotidiana «anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli» (31; citazione letterale di PO 14).
L’Eucaristia e la comunione ecclesiale (cap. IV)
Premesso che c’è una comunione invisibile con le Persone divine e una visibile nella dottrina degli apostoli, nei sacramenti e nell’ordine gerarchico, l’Eucaristia «non può essere il punto di avvio della comunione» (35).
Se la comunione invisibile (stato di grazia) è compromessa dal peccato grave, va ristabilita con il sacramento della Penitenza (36-37). Quanto alla sfera visibile, la Chiesa può interdire l’accesso all’Eucaristia a chi manifesta un comportamento esterno gravemente e stabilmente contrario alla normativa morale (37), ma soprattutto l’Eucaristia «esige di essere celebrata in un contesto di integrità dei legami anche esterni di comunione» (38) con il vescovo e il romano pontefice. Positivamente l’Eucaristia crea la comunione ed educa ad essa soprattutto nella celebrazione domenicale (40-41); negativamente «non è possibile dare la comunione alla persona che non sia battezzata o che rifiuti l’integra verità di fede sul mistero eucaristico» (38). Dal punto di vista ecumenico non è possibile celebrare un’unica Eucaristia sino a che non siano ristabiliti integralmente i vincoli della comunione visibile; gli accordi sull’ammissione alla mensa eucaristica intercorsi con gli Orientali non sono una intercomunione, ma solo hanno «l’obiettivo di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli» (45).
A tale tematica si lega il discorso devoto della comunione spirituale come «costante desiderio del sacramento eucaristico», sostenuto da una citazione di santa Teresa d’Avila (34).
Il decoro della celebrazione eucaristica (cap. V)
Si ricorda il patrimonio artistico fiorito attorno alla celebrazione e alla custodia dell’Eucaristia e l’analogo patrimonio che sta fiorendo nelle giovani chiese/culture (47-51). Riguardo al decoro non sono mancati abusi, ma su questi si rinvia a un documento in preparazione (52).
Alla scuola di Maria, donna “eucaristica” (cap. VI)
I Vangeli tacciono sulla presenza di Maria nel Cenacolo, ma si può supporre una sua presenza tra i fedeli che dopo la Pentecoste erano assidui nella frazione del pane. Resta inteso che «Maria è donna eucaristica con l’intera sua vita» (53).
L’abbandono all’azione di Dio che supera il nostro intelletto è favorita dal collegamento del “Fate questo in memoria di me” al “Fate quello che vi dirà” interpretato come parola di Maria che assicurerebbe: fidatevi della parola del mio Figlio, che, come a Cana cambiò l’acqua in vino, così opererà la mutazione eucaristica (54). C’è un rapporto tra la risposta di fede di Maria nell’incarnazione e «l’amen che ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del Signore» (55). Nella presentazione al tempio e sul Calvario Maria vive la dimensione sacrificale dell’Eucaristia (56). Nel «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19) c’è anche una consegna di Maria alla Chiesa da parte di Cristo (57). Il Magnificat infine è eucaristico per la capacità di memoria, la lode, l’esaltazione dei poveri e degli umili alla mensa del Signore ecc. (58).
La Conclusione riprende vari motivi: lo stupore di fronte all’Eucaristia e la centralità pastorale della sua celebrazione; l’esigenza di vivere integralmente tutte le dimensioni del mistero; l’ansia ecumenica di arrivare a una sola Eucaristia; la raccomandazione di metterci alla scuola dei santi e in ascolto di Maria (59-62).
ALCUNI
RILIEVI
Alcuni elementi come lo Spirito Santo, la tensione escatologica, il rapporto con la vita ecc. sono espressi in modo positivo e originale (una sintesi al n. 60).
Certamente il documento, rispetto ad altri dello stesso pontefice – ad esempio Dominicae cenae (24.2.1980) o Vicesimus quintus annus (4.12.1988) – è più riduttivo ed anche più pessimista.
Ci sarebbero dei rilievi sull’aspetto mariano, così come evitiamo di sottolineare forse un eccesso di autoreferenzialità.
Come vocabolario si continua nel tradizionale abbondante uso di “santo” e “santissimo” applicato alle realtà eucaristiche, mentre il NT, com’è noto, riserva la terminologia liturgica alla vita dei fedeli e usa il linguaggio delle azioni profane quando parla dei riti e in particolare dell’Eucaristia: mai “santa messa”, ma «cena» del Signore, il cui altare è la «tavola» del Signore (1Cor 11,20; 10,21). Inoltre, mentre le preci eucaristiche parlano di “santificazione”, il documento continua a usare il termine “consacrazione”.
Nell’impianto generale, a parte alcuni cenni, manca un’attenzione proporzionata ad alcune realtà: l’assemblea e gli altri ministeri oltre il presbitero (cf. il vocabolario del n. 4 dove il presbitero “celebra” e la comunità “partecipa”, attenuando così l’assemblea soggetto della celebrazione); la liturgia della Parola (che è un unico atto di culto con la liturgia eucaristica); il rendimento di grazie; l’intera preghiera eucaristica. Ora la comprensione dell’Eucaristia astraendo da tutto questo è pericolosa e rischia di costruire una Chiesa che non è quella scaturita dal Vaticano II e dalla riforma liturgica.
In conseguenza di quanto sopra, c’è una identificazione delle parole di Cristo e del “Fate questo in memoria di me” con “Questo è il mio corpo/sangue” (2.5 ecc.) e non con tutta la preghiera eucaristica, anzi con tutta la celebrazione. Ciò ripropone l’obiezione a che cosa servono le restanti parole della preghiera eucaristica, domanda alla quale anche san Tommaso d’Aquino non seppe rispondere. Va notato che la Santa Sede (cf. L’Osservatore Romano 26 ottobre 2001, p. 7) ha ritenuto valida la preghiera eucaristica di Addai e Mari usata dalla Chiesa assira d’Oriente, nella quale non figurano chiaramente le parole “Questo è il mio corpo/sangue”. Ora, se non si vuole ritrattare tale accordo ecumenico, la strada obbligata è di partire dal “Fate questo in memoria di me” e da “tutta” la preghiera eucaristica, evitando di centrare l’attenzione quasi unicamente su “Questo è il mio corpo/sangue”. Ovviamente senza rinunciare alla presenza “reale”, che però, stando a Trento è «vera, reale, sostanziale» e forse la saggezza sta nel tenere insieme i tre aggettivi evitando di concentrarsi su di uno solo.
Va da sé che “Eucaristia” dal punto di vista terminologico è limitata alle specie eucaristiche (cf. nn. 49 e 59, ma bisognerebbe citare tutto il documento) e ciò impoverisce alquanto il discorso.
Gli aspetti devozionali e il culto eucaristico fuori della Messa sono ribaditi senza precisare che si tratta di prassi della Chiesa latina. Il che può aprire la strada a qualche disagio ecumenico. Ad esempio quando si dice che l’Eucaristia va presa integralmente come celebrazione, colloquio e adorazione (61): ciò vale per la Chiesa latina o per tutti i cristiani? Se vale per la Chiesa latina, tutto bene. Ma se vale per tutti, anche i protestanti e gli ortodossi, dopo una auspicata piena unione, dovranno praticare il culto eucaristico al di fuori della Messa. E se non sono d’accordo, che senso ha continuare a partecipare a incontri ecumenici?
Questi rilievi possono aiutare a leggere l’enciclica in modo nuovo. Dovrebbero anche indurre a una moderazione di linguaggio verso chi li formula, evitando di subito sentenziare che «è uno che non crede alla presenza reale e non obbedisce al papa». Piuttosto è vero che siamo in un momento di travaglio e di assestamento.
Riccardo Barile