UNA DATA DA SPOSTARE MOLTO IN LÀ

LA GUERRA È DAVVERO FINITA?

 

Forse bisogna spostare molto più in là nel tempo la fine di una guerra: i feriti ancora negli ospedali, coloro che sono rimasti senza casa non diranno che è finita. E le conseguenze del largo uso di armamenti e di sostanze chimiche impiegate avranno effetti destinati a protrarsi negli anni futuri.

 

Quando sarà dichiarata finita la guerra ai danni dell’Iraq? Quando questi fogli saranno nelle vostre mani forse il presidente degli Stati Uniti avrà già pronunciato un solenne discorso in cui, dopo aver fatto il bilancio delle operazioni belliche e aver scrupolosamente elencato il numero delle vittime americane e dei giorni di combattimento…, dichiarerà ufficialmente conclusa la “campagna irachena” o l’operazione militare. Ma quando si può dire veramente conclusa una guerra? Quando terminano i bombardamenti, le esplosioni e i combattimenti? Quando hanno fine i disordini che seguono puntualmente a ogni situazione caotica creata dalla guerra? Quando i primi soldati (o tutti i soldati) tornano alle loro case?

Forse bisogna spostare molto più in là nel tempo la fine di una guerra a tal punto da non riuscire più a trovarne il termine preciso. I feriti che sono ancora negli ospedali ad esempio non credono affatto che la guerra sia finita, coloro che sono costretti ad abitare in alloggi di fortuna o sotto una tenda perché la loro abitazione è stata distrutta saranno portati a dire che la guerra finisce nel momento in cui potranno tornare ad avere una vita dignitosa e normale. Ma nella guerra in Iraq si è ancora una volta fatto largo uso di armamenti e di sostanze i cui effetti sono dolorosamente destinati a protrarsi negli anni futuri. Le mine antipersona, le bombe a grappolo, l’uranio impoverito, i residuati e le sostanze chimiche… segneranno ancora il corpo dei nascituri e tormenteranno gli abitanti delle città che ne sono state colpite. Cancri, malattie respiratorie, amputazioni e protesi non sono che gli effetti più riconoscibili dei terribili “colpi di coda” della guerra.

 

CONDANNA

DELLA GUERRA TOTALE

 

Ancora una volta il tributo più alto viene pagato dai civili inconsapevoli e dalle generazioni future. Una strage degli innocenti che non può riceve alcuna giustificazione etica e tanto meno giuridica alla luce delle convenzioni e dei trattati del diritto internazionale. I dati sensibili dei danni della guerra ci pongono in una prospettiva molto differente rispetto al canto di vittoria o alla pretesa “riuscita delle operazioni” con cui molti mezzi di informazione e rappresentanti della politica hanno salutato l’ingresso a Bagdad delle truppe americane. Per quanto riguarda poi i credenti, ai piedi della croce e all’alba del primo giorno dopo il Sabato abbiamo appreso la lezione della vita e della sua sacra inviolabilità. Essa è dono di un Dio che non ha esitato a sperimentare egli stesso la morte e la discesa agli inferi per poterci prendere per mano e portarci verso un destino di salvezza e di vita piena, di liberazione e di riscatto dall’antico avversario del male e della morte. Agli occhi del Dio confitto sul legno, la vita di uno solo di quei bambini rimasti uccisi dai bombardamenti, feriti dai crolli o traumaticamente segnati dalla guerra… non vale tutti i nobili motivi che hanno spinto i “paladini della sicurezza e della democrazia” a perseguire la strada della guerra. D’altra parte era questa la prospettiva in cui anche il concilio Vaticano II si muoveva allorquando – pur tra mille spinte contrastanti rappresentate dalle sensibilità differenti dei padri conciliari – pervenne a quella condanna della guerra totale che si legge nel n. 80 della Gaudium et spes. Un concilio pastorale che fino a quel momento non aveva espresso scomuniche e anatemi, quando tocca il tema della guerra, sente il bisogno di ricorrere all’uso della condanna esplicita: «Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato». È la condanna della cosiddetta guerra totale che farebbe affermare a taluni commentatori che non ci troviamo di fronte a una esclusione morale della guerra tout court. Di fatto però oggi la guerra e la sua pianificazione non può prescindere dalla distruzione delle case e dal pesante coinvolgimento dei civili. Per quanto possa apparire paradossale, proprio la cosiddetta guerra chirurgica che punta a selezionare gli obiettivi, a limitare i danni, a escludere il coinvolgimento dei civili e ad affrettare la fine delle operazioni militari, è destinata nei fatti a provocare un numero maggiore di vittime nel corso del tempo. Proprio la tipologia di armamenti che vengono utilizzati per rendere più veloci, efficaci e precise le azioni militari, prolunga nel tempo i propri effetti. Pur non perfettamente consapevoli delle devastanti conseguenze delle guerre moderne i padri conciliari arrivavano ad ammonire: «Scongiuriamo tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità» (GS 80). D’altra parte le dichiarazioni e la condanna del Vaticano II non erano che il seguito naturale del giudizio espresso in modo netto nella Pacem in terris che al n. 67 arriva a qualificare il ricorso alla guerra come alienum est a ratione. Il concilio Vaticano II non fa altro che dettagliare maggiormente quel giudizio ponendo in evidenza la pericolosità assoluta degli strumenti e delle modalità secondo cui si attua la “follia” della guerra moderna.

 

LETTURA RIDUTTIVA

DELLE PAROLE DEL PAPA

 

Giovanni Paolo II è stato più che un fedele esecutore del concilio: ne è un interprete autorevole e fecondo che è riuscito di volta in volta (ma senza perdere alcuna occasione) ad alzare la propria voce contro la guerra. Dalla guerra del Golfo ai Balcani, dall’Afghanistan all’Iraq… non si è mai tirato indietro sulla condanna esplicita della guerra e delle sue conseguenze. Oggi molti commentatori laici e insigni intellettuali sono pronti a esaltare il valore morale e la radicalità del giudizio del papa sulla guerra ponendone più in evidenza il fatto d’essere riuscito ad allontanare lo spettro di un più pesante e determinante coinvolgimento delle religioni nello scontro, piuttosto che la sua fortissima preoccupazione per la salvaguardia della vita umana compromessa con la guerra stessa. Insomma si tende a leggere le posizioni del Papa quasi fossero il risultato di un calcolo strategico per il quale egli intendesse preservare una sorta di neutralità della cristianità da ciò che poteva essere interpretato come un arruolamento delle Chiese in una pericolosa crociata. Tutto sommato, notano certi editoriali, le sue posizioni sono state funzionali alla guerra “americana” perché ne hanno impedito un allargamento sul piano del coinvolgimento del mondo religioso islamico che avrebbe potuto avvertire il richiamo forte della difesa di suoli per esso sacri e l’intento di una penetrazione religiosa, oltre che culturale, della cristianità e dell’occidente. A leggere queste considerazioni emerge un magistero pontificio preoccupato di dire al mondo islamico: «i cattolici e i cristiani si chiamano fuori da questa guerra» e così facendo spunta le lance pronte di tutti i fanatismi cui manca l’appiglio per caricare il terrorismo con la loro rabbia. Al contrario le posizioni del pontefice vanno lette nella loro estrema e coerente purezza. Sono piuttosto il risultato di un discernimento che la cristianità tutta va compiendo sulla guerra e che conduce alla condanna e all’esclusione esplicita del ricorso alla violenza in ogni caso, a riprendere saldamente l’annuncio radicale delle beatitudini evangeliche e della nonviolenza che genera un nuovo stile di relazioni. L’altro segno della critica verso il papa è stato invece l’accusa di antiamericanismo. Anche in questo caso penso che chiunque abbia il buon senso di leggere senza pregiudizio le parole di Giovanni Paolo II e di guardare ai gesti che ha posto, possa dire con serenità che non vi sono sentimenti “contro” quanto piuttosto il desiderio di accompagnare anche il popolo e l’amministrazione americana a una maggiore coerenza riguardo ai valori che provengono dalla tradizione della sua democrazia. D’altra parte il papa non poteva che porre in evidenza l’importanza delle istituzioni internazionali e del multilateralismo della comunità internazionale. Anche in questo caso si tratta di un’eredità preziosa ricevuta dai pontificati che lo hanno preceduto immediatamente e dal concilio Vaticano II: «Per reprimere l’abuso della violenza, è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali vadano maggiormente d’accordo, che siano coordinate in modo più sicuro e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace» (GS 83). Giovanni Paolo II non ha mai smesso, neppure dopo la cessazione dell’attività bellica in Iraq, di sollecitare la comunità internazionale a percorrere la strada della responsabilità comune e non quella delle azioni unilaterali e di ricordare il dovere della pace ai rappresentanti di tutte le religioni. Nella stessa omelia del giorno di Pasqua ne abbiamo una sintesi preziosa: «Pace in Iraq! Con il sostegno della comunità internazionale, gli iracheni diventino protagonisti d’una solidale ricostruzione del loro paese. Pace nelle altre regioni del mondo, dove guerre dimenticate e conflitti striscianti provocano morti e feriti tra il silenzio e l’oblio di non poca parte della pubblica opinione. Con profonda pena penso alla scia di violenza e di sangue che non accenna a finire in Terra Santa. Penso alla tragica situazione di non pochi paesi del continente africano, che non può essere abbandonato a se stesso. Ho ben presenti i focolai di tensione E gli attentati alla libertà dell’uomo nel Caucaso, in Asia ed in America Latina, regioni del mondo a me ugualmente care. Si spezzi la catena dell’odio, che minaccia l’ordinato sviluppo della famiglia umana» (Omelia per la s. Messa di Pasqua, 20 aprile 2003). Cosa che ha fatto dire al SIR, l’Agenzia della CEI: «È evidente, dall’evoluzione politico militare in Iraq e nell’intera area mediorientale, fino alla Terrasanta, che il traguardo della pace va molto al di là del dato militare e anche di quello politico. Implica orizzonti di civiltà, orizzonti di speranza. È il registro proprio di Giovanni Paolo, prima e dopo la guerra: è il senso del messaggio pasquale del Papa» (SIR, 30).

 

RISVEGLIO DI COSCIENZA

NEI CATTOLICI

 

La determinazione del papa nel preservare il valore della pace senza ricorre ad alcuna forma di violenza ha sicuramente pesato in maniera determinante nel giudizio e nella mobilitazione delle comunità cristiane e dei suoi pastori in tutto il mondo e in Italia in particolare. Ciononostante si deve ammettere che l’attenzione inedita che l’avversione alla guerra ha trovato tra tanti cattolici non può essere stata causata soltanto dalle prese di posizione del pontefice. Abbiamo fin troppi esempi di temi sui quali il papa è visto come un leader seguito ma non ascoltato! La guerra anglo-americana in Iraq ha risvegliato la coscienza della pace nei cattolici perché, in questa occasione meglio e più che in altre, si è potuto cogliere la pretestuosità delle motivazioni dichiarate e, al contrario, i reali interessi strategici ed economici che spingevano gli appetiti americani a muovere guerra contro l’Iraq. Motivazioni peraltro ben espresse e presentate da importanti organi di stampa cattolici (Osservatore Romano, Civiltà cattolica, Famiglia Cristiana…), da organismi pastorali (Caritas, Pontificio Consiglio Giustizia e Pace…) e pastori (Conferenze episcopali regionali e singoli vescovi), da tantissimi credenti. Ora alle comunità il compito fondamentale di organizzare questi moti dell’anima che si sono ribellati alla logica della violenza sulla spinta emotiva di una minaccia armata affinché siano trasformati in prassi pastorale, insegnamento catechistico, riflessione teologica. Bisognerà mettere in atto quanto si legge nel documento che Pax Christi ha diffuso al termine della propria assemblea annuale tenuta in occasione del decimo anniversario della scomparsa di don Tonino Bello: «Proponiamo a tutti i presbiteri della chiesa italiana che approfondiscano nel loro ministero gli itinerari educativi, celebrativi e di testimonianza sui temi della pace. Ai catechisti di tutte le comunità proponiamo la ricerca di strumenti pedagogici, esperienziali e di autentico accompagnamento che conducano ragazzi, giovani, adulti e famiglie a raggiungere le dinamiche personali e comunitarie per la piena maturazione di una coscienza di non-violenza e di pace. Pax Christi Italia si fa carico di proporre ai teologi italiani un momento di riflessione e di approfondimento perché si elaborino ricerche e approfondimenti sulla teologia della pace e sulla spiritualità della pace, temi intuiti da don Tonino, realizzati nella sua esperienza e che devono diventare patrimonio comune delle nostre chiese».

 

Tonio Dell’Olio

Coordinatore nazionale di Pax Christi