ALLE QUERCE DI MAMRE IERI E OGGI
Una molteplicità di volti è quella che di Abramo, padre sempre giovane dei credenti e modello alla loro fede, ci viene offerta nella Bibbia e nelle tradizioni che ne hanno perpetuato il ricordo mostrandone una figura cangiante nel tempo e perennemente suggestiva di proposte attualizzanti. Anche per i nostri giorni, nei quali “il mondo moderno può trovare nella figura di Abramo una guida che l’aiuterà a esplorare vie nuove di dialogo e cercare uno spazio in cui gli avversari e i nemici di ieri potranno coabitare nella stima e nel rispetto reciproci”. È ciò che si propone di dimostrare Jean-Louis Ska, gesuita belga e professore al Pontificio istituto biblico in Roma, nel libro Abramo e i suoi ospiti1 contenente un gruppo di studi molto densi sulla figura del patriarca quale appare nel libro della Genesi, nella Tradizione ebraica, nel Nuovo Testamento e per l’Islam nel Corano.
Nel piano del libro, il primo capitolo sintetizza i tratti salienti dell’Abramo biblico, “il vegliardo che alla sera della propria vita si lancia in un’avventura di cui non può conoscere le conclusioni, ciò che altri fanno all’alba della loro giovinezza” ma, come Ulisse nel poema omerico, conoscendo il punto d’arrivo del proprio itinerario di ritorno, mentre Abramo parte senza sapere la meta e per non tornare più.
Il secondo capitolo segue del padre Abramo la biografia movimentata che ne fa il modello dei credenti dall’ebraismo antico alle prime interpretazioni nel libro del Siracide, dall’Apocrifo della Genesi a Qumran al Libro dei Giubilei e ai testi Midrashici; e ancora dalla tradizione rabbinica nella Mishna e nel Talmud al giudaismo ellenistico, che vede Abramo come un saggio, un erudito, un filosofo secondo l’ideale greco, quale si presenta, molto diversamente che nella visione del rabbinismo, in Giuseppe Flavio e in Filone d’Alessandria. Tale percorso è giustificato dall’autore sia per il fatto che il Nuovo Testamento dipende in parte dalla tradizione ebraica dell’epoca, sia per il fatto che “la tradizione ebraica è la prima a reinterpretare Abramo per far fronte alle sfide che le lanciano le vicissitudini della storia”.
ABRAMO
PER I CRISTIANI
Come ritorno alle sorgenti è vista, nel terzo capitolo, la considerazione che di Abramo troviamo nel Nuovo Testamento, dove il patriarca può vantare 73 citazioni: più di Davide, che vi è nominato 59 volte e sette volte meno di Mosè. Naturalmente l’importanza del primo patriarca non si riferisce soltanto a questo dato statistico: infatti “il Nuovo Testamento non poteva manifestare il suo carattere di novità senza parlare di Abramo, il padre dei credenti per il popolo di Israele” con la cui fede i primi cristiani si sentivano legati. Restava tuttavia la difficoltà riguardo all’entrata dei pagani nella comunità cristiana: se i cristiani “volevano accettare i pagani all’interno della loro comunità e reinterpretare, a questo scopo, l’osservanza della Legge di Mosè, non potevano continuare ad affermare che erano ancora i “discendenti di Abramo””. È il dilemma dal quale il cristianesimo, come mostra il prof. Ska in questo capitolo, secondo il Nuovo Testamento cerca di uscire: inizialmente annettendo a sé Abramo per farne un esempio di comportamento cristiano, poi ponendo il problema della paternità di lui e infine innovando con Paolo (nelle lettere ai Romani e ai Galati), il quale “risolve tutti i dilemmi del Nuovo Testamento facendo di Abramo il “padre dei credenti”, ma in quanto detentore di “una duplice paternità: in primo luogo, per la fede è padre dei circoncisi e degli incirconcisi; poi secondo la carne è padre del popolo ebraico”. Le due paternità – prosegue l’autore – non si escludono “ma la “paternità” secondo la fede precede la paternità secondo la carne, e la prima è, di conseguenza, più importante”.
Ma una domanda inquietante rimane ancora aperta, tra le altre. Dice Ska: per la fede in Gesù Cristo tutti sono diventati figli e figlie di Abramo, per cui tale fede dovrebbe far cadere tutte le barriere religiose, sociali, sessuali e culturali che separano uomini e donne. Ma “il paradosso ha voluto che il messaggio di Paolo abbia avuto nel tempo l’effetto contrario. Invece di riconciliare ebrei e cristiani, ebrei e pagani, lungo i secoli il suo messaggio li ha contrapposti. Per superare questa opposizione e re-instaurare il dialogo, non bisogna forse ripartire dalla figura di Abramo, come ha fatto Paolo?”.
Tanto più che il discorso vale anche per i musulmani, dal momento che la loro tradizione, che fa di Abramo “il prototipo del musulmano”, dipende largamente dalla tradizione ebraica che ha fatto di Abramo un precursore di Mosé e il modello di tutti i pii ebrei che “trovano le loro delizie nella legge del Signore e la meditano giorno e notte”(cf. Sal 1,2). Sulle possibilità dell’interlocutore islamico nel dialogo fra le tre religioni ospiti “alle querce di Mamre”, l’autore del libro argomenta diffusamente nel quarto capitolo, dove presenta la figura di Abramo nel Corano, per concludere “che la figura di Abramo è centrale per la religione musulmana, che vede nel patriarca il suo primo rappresentante”.
DIALOGO
SEMPRE POSSIBILE
Un dialogo che sa di impossibile? Non si direbbe, come del resto crediamo. La storia registra casi come quello della Spagna musulmana che l’autore racconta nel capitolo posto nel libro A mo’ di epilogo, dimostrando come in passato i “figli di Abramo” abbiano potuto dialogare e l’incontro tra musulmani, ebrei e cristiani abbia avuto effetti positivi, malgrado le inevitabili tensioni che ogni incontro di questo tipo necessariamente suppone. E cita prima di tutto la città di Bagdad (!) sotto gli abbasidi e la Sicilia.
E dal momento che la bontà umana non soltanto esiste ma soprattutto è sostenuta, se la vuole, dall’infinita misericordia divina, il dialogo rimane sempre possibile, benché il suo esito di riconciliazione definitiva sembri allontanarsi ogni giorno.
“Bisogna probabilmente lanciarsi verso la terra sconosciuta del dialogo con lo stesso coraggio di Abramo quando partì verso la terra che Dio gli stava per mostrare”. E nel cammino accogliersi reciprocamente, riposarsi ogni tanto insieme con Abramo ospitante all’ombra delle querce di Mamre per ascoltare e assimilare il suo messaggio, rapportandolo costantemente alle situazioni storicamente grondanti interrogativi angosciosi ma anche proposte tranquillamente realizzabili.
Perché – domanda ancora Ska – “non partire dai valori fondamentali sviluppati da queste singole tre religioni? Come tutti sanno, è difficile parlare di alcuni temi senza provocare forti reazioni negative. Ma esiste un punto di intesa, all’ombra delle querce di Mamre, dove la conversazione può svolgersi senza scossoni ed è quello della cultura più che quello della religione. Per essere più precisi, parlo della cultura maturata all’interno di ognuna delle tre religioni monoteiste, di cui Abramo è il comune antenato. Ognuna di queste culture ha potuto, in particolari momenti della sua storia, offrire il meglio di sé all’umanità e ognuna ha ancora molto da offrire al mondo di domani”. Ma una condizione secondo l’autore si pone necessariamente: “Il dialogo sarà fruttuoso se le tre religioni riusciranno a “dimenticarsi” per farsi carico insieme delle sorti dell’umanità intera”.
Z.P.
SKA J.L., Abramo e i suoi ospiti. Il patriarca e i credenti nel Dio unico, EDB, Bologna 2003, pp. 153, E 11,00.