UN’ALTRA GUERRA DIMENTICATA

IL DRAMMA DEL CENTROAFRICA

 

Il colpo di stato del 15 marzo non potrà sciogliere rapidamente i drammatici nodi che irretiscono la vita sociale e religiosa di uno stato dalle tante risorse naturali ma sempre povero di governanti saggi, capaci di dare il primato al bene comune.

 

 “Non tanto un colpo di stato militare nel senso classico del termine, quanto piuttosto una vera sollevazione popolare, una rivoluzione di popolo che ha voglia di cambiare”: così il primo ministro Abel Goumba ha definito il “passaggio brutale” che ha messo lo stato Centrafricano nelle mani dell’ex generale François Bozizé che il 15 marzo 2003 si è autoproclamato presidente della Repubblica.

Secondo quanto ha raccontato all’agenzia Misna il corrispondente della francese Afp, le persone scese in piazza nella capitale Bangui per manifestare a favore di Bozizé sono state circa 100.000, e hanno ricevuto il ringraziamento soddisfatto di Goumba per il sostegno fornito nel rovesciare l’ex presidente Ange-Felix Patassé, eletto nel 1993 e rieletto nel 1999, maggior responsabile della gravissima crisi nella quale il paese è entrato.

Sarà l’inizio di un definitivo risveglio, per lo stato che già all’epoca della colonizzazione francese era chiamato “la Cenerentola dell’impero”?

 

UN’ALTALENA

ESTENUANTE

 

Che nella propria storia il Centrafrica ne abbia viste e sopportate molte, umilianti e dolorose è un fatto tanto noto che – forse per averci fatto quasi l’abitudine – è stato più o meno rimosso dalla memoria collettiva internazionale, che assai raramente si è espressa sui grandi mezzi di comunicazione, dimenticando anche i drammi più recenti di quelle popolazioni senza pace.

Colonia francese dal 1905 come Ubanghi-Chari (l’impero) fino all’autonomia concessa dalla Francia nel 1958; indipendente a pieno diritto nel 1960; nel 1965 con un colpo di stato presa del potere da parte di Jean-Bedel Bokassa che si fa nominare presidente a vita nel 1972 e nel 1977 si fa incoronare grandiosamente imperatore; due anni dopo, altro colpo di stato favorito dai francesi riporta al potere l’ex presidente David Dacko deposto nel 1965 e che nel 1981 viene nuovamente spodestato, questa volta dal generale Kolingba.

Prime elezioni democratiche ci sono state nel 1993, quando venne eletto per la prima volta Ange-Felix Patassé (che era stato primo ministro di Bokassa!), ma una rivoluzione armata nel 1996 sconvolge di nuovo l’assetto già divenuto precario del Centrafrica finché porta a un governo di unità nazionale.

L’elemento francese vi è rimasto fino al 1999 quando gli ultimi militari hanno lasciato il paese. Ma la sua ombra ha continuato a incombere sulla vita politica centrafricana, poiché il “ribelle” François Bozizé, il capo di stato maggiore silurato il 28 ottobre 2001, era stato esiliato proprio in Francia; da qui aveva tentato di rientrare in patria attraverso il Ciad, ma intercettato dalle autorità ciadiane era stato riportato a Parigi proprio su richiesta francese.

Ora il potere è dunque nelle mani dello stesso Bozizé ma non sarà agevole neppure a lui, benché acclamato dal popolo, chiudere la lacerazione del territorio del Centrafrica tra il sud con la capitale Bangui sotto il controllo dell’ex presidente Patassé che era sostenuto dai militari libici assieme a quelli del capo ribelle della repubblica Democratica del Congo, il congolese Jean-Pierre Bemba, e il nord-est con la zona centrale del paese nelle mani dei ribelli centrafricani.

 

IL POPOLO

DIMENTICATO

 

E la popolazione? Finora è stata in tutto il paese ostaggio delle due fazioni e con l’angoscia della loro violenza oltre che vittima di un lungo malgoverno; carente di tutto ciò cui ha tuttora diritto non soltanto per una sopravvivenza qualunque ma per una vita dignitosa soprattutto nella stabilità politica e nella pace sociale.

Dice Pierre, uno studente di Bangui alla giornalista Julia Ficatier di La Croix (20 febbraio 2003): “La “mobilitazione” internazionale è ferma “al punto zero” e io sopravvivo appena, come tutti i miei fratelli centrafricani”. Certo ne soffrono maggiormente quelli che vivono nelle zone controllate dai ribelli, dove centinaia di migliaia di persone sono abbandonate a se stesse: mancano cibo e medicinali, vaccini e altri generi e manca anche il petrolio. Da nessuna parte arrivano aiuti, anche perché non esistono “corridoi umanitari” per un eventuale loro transito e neppure le vie di accesso alla capitale sono percorribili. 

Cambierà finalmente qualcosa per la popolazione stanca di aspettare, dopo che – come ha detto Goumba nel citato comunicato dell’agenzia Misna – “il furto e la menzogna hanno caratterizzato il governo di questo paese per dieci anni a discapito della miseria e della rabbia della gente”?

Non mancano, del resto, nella Repubblica Centrafricana risorse naturali che le permetterebbero di riprendersi con un saggio governo dalla situazione in cui si trova: per una autosufficienza alimentare, per potersi avvantaggiare delle esportazioni di rame, cotone, legno, diamanti, caffè; non solo per riparare i danni del lungo periodo di lotte interne ma pure, ad esempio, per potenziare il sistema sanitario e le infrastrutture, ritenute già di basso livello, e favorire la formazione di personale qualificato in tutti i campi e specialmente per la gestione dell’economia nazionale e locale. E ciò quantunque non abbia sbocchi sul mare, trovandosi ben chiusa con i suoi 3.500.000 abitanti tra vicini di casa non si sa quanto interessati al suo benessere e al suo sviluppo futuro: Ciad, Camerun, Congo, Repubblica Democratica del Congo e Sudan.

Clero locale con i suoi vescovi, missionari e missionarie hanno sempre condiviso con la popolazione i disagi, le paure e le sofferenze dei lungi anni trascorsi.

Si è appreso delle tre missionarie comboniane, delle quali due italiane e una spagnola, che si sono viste costrette ad abbandonare la propria comunità di Batangafo situata a 375 chilometri dalla capitale Bangui, e a rifugiarsi in Ciad. Avevano deciso di non lasciare il paese per rimanere accanto alla popolazione tanto a lungo provata, ma hanno dovuto desistere da tale proposito dal momento che la gente stessa ha fatto il vuoto attorno a loro fuggendo a nascondersi nella boscaglia dopo che persino l’ospedale di Batangafo era stato saccheggiato e distrutto dai ribelli del generale Bozizé.

Per le suore Figlie di Maria ss.Incoronata una buona notizia è stata data il 12 marzo da Vidimus Dominum: la superiora generale sr. Giovanna Tommasi ha fatto sapere infatti che un gruppo di consorelle di Paoua nella diocesi di Bossangoa sono state liberate “grazie all’intervento di comandanti delle forze militari ciadiane con la mediazione del console italiano e della rappresentanza pontificia, dietro la loro espressa richiesta di essere evacuate”. Anche queste suore hanno trovato rifugio in Ciad presso il vescovado di Gorè, prima di rientrare a Roma.

Sono due episodi che confermano la drammaticità della situazione in Centrafrica; lo si legge anche nel comunicato di sr. Tommasi alla sua congregazione: “Le sorelle hanno avuto subito a cuore di trasmetterci la sofferenza della gente che è rimasta e che si dibatte nella paura e nella totale indigenza. Credo che tutti siamo d’accordo nel ribadire che non intendiamo dimenticarli!”.

Riguardo a ciò che i vescovi hanno più volte espresso, chiedendo anche un efficace intervento alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale perché si potesse sanare la grave situazione, leggiamo su Nigrizia 1/gennaio 2003: “La conferenza episcopale centrafricana, presieduta da mons. Paulin Pomodino, in un messaggio del 22 novembre 2002 si rivolge alle autorità politiche ricordando che “queste crisi a ripetizione hanno la loro causa nel malessere sociale. Davanti agli occhi di tutti una piccola minoranza ha continuato ad arricchirsi mentre la grande maggioranza degli impiegati aspetta lo stipendio da decine di mesi. Privato del minimo necessario, il centrafricano medio non può più curarsi bene, nutrirsi, né mandare a scuola i propri figli. Le nostre autorità ne sono consapevoli?”. Continuano i vescovi: “ Dal 25 ottobre la popolazione sembra abbandonata a se stessa: è a mani nude che i nostri connazionali dell’interno devono far fronte agli uomini armati che lentamente e in tutta sicurezza stanno conquistando, una dopo l’altra, le grandi città del nostro paese. Non stiamo forse assistendo impotenti alla balcanizzazione del paese? Siamo convinti che la soluzione non è militare. Solo il dialogo sociopolitico può farci uscire dall’impasse attuale. Se proponiamo questa strada alle nostre autorità è perché sappiamo che sono capaci di questo””.

 

Z.P