UNA PROSPETTIVA AFRICANA

UNA SPIRITUALITÀ_INCULTURATA

 

La spiritualità della vita consacrata in Africa si trova oggi di fronte al compito di inculturarsi per essere significativa agli occhi del popolo. Occorre dunque sviluppare delle modalità africane per vivere_i voti religiosi.

 

La vita religiosa, come modalità radicale della sequela di Cristo, costituisce un valore evangelico perenne che può esprimersi in varie forme e stili di vita. Da questa ferma convinzione parte una interessante riflessione del tanzaniano padre Rogath Kimaryo1, membro della congregazione dello Spirito Santo, che rilancia alcune indicazioni già emerse in un nostro recente speciale (dal titolo Oltre il modello dei missionari, n. 7/2003) per ribadire la necessità che la vita religiosa stessa si incarni in particolare nella cultura africana. Una incarnazione che va inquadrata nel più generale processo di rifondazione (“un modo per esaminare in tutta onestà come un istituto religioso sta rispondendo alle nuove sfide del nostro tempo alla luce del Vangelo e del proprio carisma”) e che sollecita la crescita di una capacità di ascolto, di accoglimento e di adattamento verso i doni manifestati dalle Chiese più giovani e dalle nuove province.

Gli africani hanno iniziato a interrogarsi sul significato della fede cristiana messa a confronto con i loro valori tradizionali: si rendono conto che esiste una certa tensione tra il cristianesimo e la propria cultura e che devono impegnarsi per renderlo parte integrante della loro vita. Secondo p. Kimaryo si può dire che oggi la Chiesa in Africa si sta avviando verso un periodo di transizione che si spera arrivi a manifestare uno stile completamente nuovo di essere Chiesa per i milioni di cattolici del continente. In questo senso allora, perché ci sia una vera incarnazione della vita religiosa, è importante evidenziare le caratteristiche della spiritualità africana.

 

PROSPETTIVA

AFRICANA

 

Una fondamentale caratteristica delle società africane consiste nella non separazione tra religione e vita. La religione è un elemento costitutivo del modo di essere africano e ha una grande influenza sui modi di comportarsi e di celebrare l’esistenza. Si tratta di una grande ricchezza che va esplorata da religiosi/e africani per riuscire a influenzare la società, proprio come nel medioevo fecero i monaci a riguardo della cultura cristiana in Europa.

In generale si può affermare che la maggior parte delle società africane è caratterizzata da una spiritualità semplice basata sull’osservazione della natura. La maggioranza della gente d’Africa infatti vive in villaggi e la loro mentalità è modellata dalle situazioni dell’ambiente circostante: la pioggia, i prati verdi, gli animali al pascolo, il volo degli uccelli. Di volta in volta però si è minacciati da siccità, alluvioni, fame, locuste e animali selvatici, terremoti, scoppio di qualche epidemia: ecco perché si sviluppa una spiritualità anche a partire da situazioni di angoscia, di conflitto e di privazioni. Per tutte queste ragioni è naturale che le popolazioni pongano tutta la loro fiducia in Dio e nell’intercessione degli antenati. In fondo si può paragonare questa spiritualità a quella del seminatore, il quale vive un’esperienza connotata dall’affidamento al seme, al terreno, alla pioggia e dalla messa in conto di imprevisti che possono ritardare il raccolto. Una spiritualità di speranza che non dipende da risultati immediati. Una spiritualità dunque di totale confidenza e fiducia nelle potenze soprannaturali, che può essere segno forte della sottomissione a Dio per il mondo attuale che tende invece a metterlo ai margini della vita.

P. Kimaryo, alla luce di queste prospettive, ci aiuta a identificare due aspetti della spiritualità africana decisive per incarnare la vita consacrata: l’insicurezza e l’orientamento comunitario.

L’Africa è un continente povero. La sua quota del commercio mondiale è meno dell’1%. Qui si trovano alcuni tra i paesi più poveri sulla terra, molti dei quali hanno un debito estero il cui peso eccede il reddito nazionale. In un certo numero di questi paesi oltre il 40% della popolazione è qualificata come “indigente” perchè vive con meno di un dollaro al giorno. È importante comprendere che questa povertà non solo va collegata alla violenza ma diventa una fonte di malattie (come l’epidemia di Aids), instaurando così un circolo vizioso di insicurezza e di umiliazione della vita. Questa incertezza si è radicata nella psiche degli africani a causa delle sofferenze subite non solo in passato (il trattamento delle persone come merce di scambio a causa del commercio degli schiavi; la dominazione straniera in casa propria durante tutto il periodo coloniale), ma anche nel momento presente (vedi lo sfruttamento esercitato dalle compagnie multinazionali). E ancora, nuova insicurezza e nuovo sfruttamento vengono al continente africano dalla realtà della globalizzazione economica e dal persistere di guerre tribali o conflitti di vario genere. Questo sentimento di insicurezza, parte integrante della vita di ogni giorno, viene comunque vissuto dalla gente nella speranza e nella fiducia in Dio con uno stile di umiltà, gentilezza e rispetto.

L’altro tratto caratteristico è dato dallo stile di vita basato sull’aiuto reciproco tra la gente dei villaggi, sulla collaborazione nel lavoro e su varie forme di solidarietà. Una società basata sul villaggio spinge più sull’essere che sull’avere, esalta la condivisione e l’accoglienza dell’ospite. In questo contesto assume grande importanza l’iniziazione per diventare a pieno titolo membro della comunità (tribù o clan) e in futuro essere annoverato tra gli anziani. Un’inculturazione significativa della vita religiosa in Africa può imparare molto dal vissuto comunitario in cui gli anziani hanno autorità e sono rispettati a motivo della loro vita esemplare. Tra i loro compiti emergono quello di comporre i conflitti attraverso una sorta di capitolo comunitario e quello di preservare e trasmettere alle future generazioni l’eredità di saggezza, credenze, valori, capacità artistiche e manuali accumulati nel tempo.

 

PER UNA INCULTURAZIONE

DEI CONSIGLI EVANGELICI

 

Queste brevi pennellate di spiritualità in chiave africana consentono di condurre una rivisitazione dei consigli evangelici, affinché la vita consacrata possa diventare linguaggio intelligibile per il popolo. Presa in tale contesto la povertà diventa il voto radicale, sul quale si innestano i voti di castità e di obbedienza. Ovviamente in questo caso il termine “radicale” rimanda alle radici del discepolato di Cristo: la sequela dei consacrati diventa partecipazione al suo abbassamento e svuotamento riguardante sia i beni materiali che le relazioni, con lo sviluppo quindi di una specifica spiritualità.

La vita religiosa si manifesta dunque innanzitutto con una spiritualità della povertà. Come si è già detto il continente africano è oggi molto povero a livello materiale a causa di una serie di forze esterne. Ma non è sempre stato così nelle società tradizionali: nel passato la povertà non era un fenomeno dominante ed era comunque affrontato dalla comunità che cercava di provvedere ai poveri stessi. Non si trattava dunque di una povertà degradante ed essa non portava a un senso di insicurezza; insomma la tradizionale povertà africana costituiva la base per tutta una serie di ricchezze intangibili, come il prestigio sociale o le relazioni interpersonali o la saggezza culturale. Così, se i religiosi/e africani vogliono offrire una testimonianza significativa della loro povertà consacrata, devono tornare proprio ai valori della tradizione reinterpretata alla luce del Vangelo. La parola che meglio esprime la pratica della povertà nelle tradizionali società africane è “condivisione”: si condivide non perché si ha di più ma perché si crede che sia questa la cosa giusta da fare, ciò che Dio vuole per noi. Il voto di povertà in prospettiva africana dovrebbe dunque essere chiamato “voto di condivisione”.

Per quanto riguarda la castità, va ricordato innanzitutto che per gli africani il fatto di vivere senza essere sposati e senza procreare figli è visto come qualcosa di anormale se non come una maledizione. Infatti per un africano la vita è per sua natura riproduttiva e quindi essere vivi significa fondamentalmente trasmettere vita. Si tratta dunque di una grande sfida per i religiosi/e africani, chiamati a trovare modi per dare significato al voto di castità. Si tratta di rendere complementari e interdipendenti i valori del celibato e quelli del matrimonio. Proprio per la grande importanza data dalla società alla vita comunitaria, i religiosi d’Africa non dovrebbero pronunciare i voti semplicemente come singoli individui: proprio come il matrimonio è inteso come un patto tra due famiglie, così la vita celibataria va compresa come un accordo tra la propria famiglia di origine e quella particolare “famiglia” della quale il religioso sta diventando membro. Così l’entrata nella vita religiosa diventa un atto collettivo, che coinvolge l’intera famiglia-comunità. Per questa ragione i voti saranno significativi solo se la comunità arriva ad apprezzare il più alto valore e significato della vita consacrata.

Al contrario della castità, l’obbedienza è sempre stata una delle caratteristiche più radicate nella tradizione. Il rispetto dovuto agli anziani e alle autorità è compreso come una forma di fiducia verso gli antenati che si trovano ormai in compagnia di Dio. Obbedire agli anziani manifesta in ultima istanza una sottomissione a Dio stesso. Dare un senso al voto di obbedienza, nel contesto africano, significa fondarlo dunque sulla fiducia. Coloro che sono nel ruolo di leaders devono essere capaci di esigere rispetto in base alla loro naturale autorevolezza: essi devono essere persone in cui riporre fiducia grazie alla propria onestà, sincerità e integrità di vita. Saranno rispettati non perché hanno il ruolo di superiori ma perché sono affidabili. E nel contesto dell’autorità occorre tenere in debito conto anche il criterio dell’età: i superiori non dovrebbero essere troppo giovani. Per ricevere fiducia occorre infatti aver acquistato un grado di maturità che viene da una lunga e ampia esperienza di vita. Infine, dal momento che l’obbedienza dei religiosi è basata su quella espressa da Gesù Cristo fino alla morte, è necessario che emergano due tratti di questa obbedienza che la rendono particolarmente significativa per la cultura africana: l’umiltà e il sacrificio di sé in vista del regno di Dio.

Alla luce delle riflessioni sulla spiritualità della vita religiosa, p. Kimaryo sente il bisogno di fare sintesi ricordando la particolare ricchezza che assume il concetto di “consacrazione” riferita alla figura tradizionale del sacerdote africano: proprio la consacrazione lo rende agli occhi del popolo una persona speciale e irreprensibile, circondata dal rispetto per la sua onestà e sincerità. Vale la pena perciò prendere a prestito quest’idea di consacrazione sacerdotale per far comprendere che anche la vita religiosa esprime una forma di mediazione tra la comunità e Dio. Un esempio di questo viene dalla Chiesa ortodossa di Etiopia: qui i monaci, vivendo in monasteri diffusi in tutto il paese e conducendo una vita molto semplice, sono in un certo modo il segno di una consacrazione che investe l’intera società. Gli istituti religiosi internazionali devono pertanto incoraggiare affinché i propri membri africani facciano tentativi in ordine all’inculturazione del loro carisma in quel continente: spetta infatti a coloro che conoscono le profondità e le sensibilità della propria cultura iniziare il processo che permette di sviluppare un’autentica spiritualità incarnata della vita religiosa.

 

a cura di Mario Chiaro

 

1 Ci riferiamo all’articolo intitolato Towards an african spirituality of religious life pubblicato sulla rivista Claretianum dell’Istituto teologico di vita consacrata di Roma, vol. XLIII, 2003, pp. 237-252.