I CARMELITANI SCALZI VERSO IL CAPITOLO

RITORNO_ALL’ESSENZIALE

 

In preparazione al capitolo i carmelitani si sono interrogati su che cosa è essenziale nella loro regola, nell’esperienza e dottrina di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce e nelle loro costituzioni. Da qui poi intendono ripartire per vivere il loro futuro.

 

Ritornare all’essenziale e ripartire di qui con “un’identità rinnovata e riaffermata” per far fronte alle nuove sfide che si profilano all’orizzonte in questo inizio di millennio. È l’impegno che si sono assunti i carmelitani scalzi e anche l’argomento che farà da sfondo all’89° capitolo generale che si accingono a celebrare ad Avila, dal 28 aprile al 18 maggio prossimi, non solo per riaffermare questa volontà, ma anche per trovare le vie adatte per esprimerla nelle scelte più opportune. In preparazione a questo importante evento, per oltre due anni essi hanno riflettuto sulla necessità di “tornare all’essenziale del vangelo, della vita consacrata e del carisma carmelitano teresiano, accompagnati da Teresa di Gesù e Giovanni della croce”, con l’aiuto di uno strumento di lavoro, intitolato Setting out from essentials, (partire dall’essenziale) che, studiato e discusso dal Definitorio straordinario di Nairobi (gennaio-febbraio 2001), ha assunto il titolo definitivo In cammino con santa Teresa di Gesù e san Giovanni della croce: ritorno all’essenziale.

Il capitolo sarà anche elettivo e dovrà trovare il successore (preposito generale) a p. Marcelo Maccise che ha terminato il suo mandato.

I punti di ispirazione e di riferimento che guideranno il capitolo sono la regola, l’esperienza e la dottrina di santa Teresa e di san Giovanni della Croce e le costituzioni rinnovate in cui carisma e spiritualità sono presentati nella luce della dottrina e del cammino postconciliare di tutta la Chiesa.

 

NELLA REGOLA

DI SANT’ALBERTO

 

Anzitutto, che cosa è essenziale, e quindi irrinunciabile, nella Regola di sant’Alberto? La risposta si trova percorrendo le costituzioni nella parte dove queste descrivono il “modello di vita” proprio del Carmelo. Aspetti essenziali sono:

– aderire a Cristo, servirlo con cuore puro e buona coscienza, guardare a lui solo in ordine alla salvezza e, nell’obbedienza ai superiori in spirito i fede, tenere la mente rivolta più a Cristo che al superiore;

– meditare incessantemente la legge del Signore nelle Scritture, rafforzare il proprio cuore con pensieri santi, in modo da avere sempre la parola del Signore nel cuore e sulle labbra, lasciandosi guidare da essa in tutto ciò che si fa;

– riunirsi insieme quotidianamente per la celebrazione della santa liturgia;

– indossare l’armatura di Dio, vivendo un’intensa vita di fede, speranza e carità, in spirito di evangelico rinnegamento di sé e di generoso impegno nel lavoro, sull’esempio di Paolo apostolo;

– promuovere una genuina condivisione di vita, avendo a cuore il bene della comunità e la salvezza delle anime, sostenuti dalla carità della correzione fraterna; tenere tutto in comune sotto la guida di un superiore posto a servizio dei suoi fratelli;

– condurre una vita di incessante preghiera nel silenzio e nella solitudine, aderendo all’ammonimento del vangelo di pregare e vigilare;

– usare una prudente discrezione in tutto ciò che si fa, specialmente quando ciò implica qualcosa di più di quanto è prescritto dal dovere.

“Questi punti della Regola, sottolinea lo strumento di lavoro, continuano a essere validi, ma bisogna incarnali e viverli con le sfumature dei segni dei tempi e dei luoghi… Essi dovranno essere considerati oggi sotto i vari punti di vista ecclesiale, sociale e culturale, che sono come diverse finestre che aiutano a scoprire la loro integrale ricchezza e capacità di rispondere alle nuove sfide della vita teresiana carmelitana, espressa nelle varie culture”. In effetti, “attualmente l’ordine è sparso in tutti i continenti e in mezzo alle più diverse culture. Ciò richiede che si assumano gli elementi fondamentali della regola per poterli esprimere nelle altre culture. Ed è importante anche tenere presente la rilettura femminile della regola”.

Teresa, attuando la rifondazione, adottò questa regola ricollegandosi alle origini, ma anche applicandola con libertà spirituale e arricchendola con l’esperienza della sua vocazione. San Giovanni della Croce invece non allude mai esplicitamente alla regola, ma i suoi insegnamenti ne rivelano e approfondiscono i valori: adesione a Cristo, Dio il solo assoluto, abnegazione, ascolto della Parola e risposta ad essa mediante la fede, la speranza e la carità.

 

IN TERESA

E GIOVANNI DELLA CROCE

 

Che cos’è invece essenziale nell’esperienza e nell’insegnamento di Teresa? Il Signore l’aveva dotata di un animo naturalmente portato alle relazioni interpersonali e all’amicizia. La sua spiritualità è tutta centrata sul mistero trinitario, da cui si sente attratta e in cui si sente come immersa.

Sperimenta la presenza e la vicinanza del Padre e scrive: “Tutto ciò che dobbiamo fare è ritirarci nella solitudine e contemplarlo nell’intimo di noi stessi”.

Ma un particolare rilievo assume in lei l’attenzione alla natura umana di Cristo. Osserva che il Verbo di Dio ha assunto la nostra fragilità, il nostro lavoro e i nostri limiti ed è così in grado di comprendere i nostri limiti; egli è un compagno e un vero amico. E sottolinea: “Noi non siamo angeli ma abbiamo un corpo; desiderare di essere degli angeli mentre siamo sulla terra… è una follia… e nei momenti di aridità, Cristo è un grande amico”. Per questo, non vuol saperne dei teologi che la esortavano a lasciar da parte l’umanità di Cristo per poter salire ai più alti gradi della contemplazione. Ad essi risponde con forza che per questo non c’è bisogno di separarsi dall’umanità di Cristo.

Secondo la sua dottrina, seguire Gesù sotto l’azione dello Spirito vuol dire anche accettare la nostra natura umana e viverla come una grazia, come un veicolo di grazia, anche se ciò significa sperimentarne i limiti e le debolezze. Per lei, diventare come Cristo vuol dire diventare umani o se si vuole, diventare una persona, essere una persona.

Oltre all’esperienza del Padre e del Figlio, Teresa era consapevole anche della presenza dello Spirito Santo nella sua vita. Osserva: “Mi sembra che lo Spirito Santo debba essere un mediatore tra l’anima e Dio: Egli è colui che guida la vita delle persone e comunica ad esse la fede, come agli apostoli. Egli ci accompagna nella preghiera e ci fa sperimentare la presenza del Padre e del Figlio”.

Il suo itinerario spirituale, come è stato da lei vissuto e più tardi insegnato, consiste nella preghiera, considerata come amicizia. Essa è il “mezzo” e il “luogo” per eccellenza della sua esperienza di Dio. Nel suo insegnamento sottolinea l’importanza di incontrare il Signore nel silenzio e nella solitudine, ma giunta alla pienezza dell’unione con Dio scrive che “il Signore cammina anche in mezzo alle pentole e ai tegami”. Dio perciò si comunica in molti modi non solo quando ci appartiamo in un angolo.

La preghiera è il centro e l’asse del suo messaggio spirituale. Intesa come amicizia, essa si estende all’intera esistenza e porta a diventare amici di Dio. Deve essere accompagnata dall’amore fraterno dal distacco e dall’umiltà intesa come verità, tutte “cose necessarie per coloro che intendono intraprendere la strada della preghiera”.

Questo approccio le consente di offrire delle indicazioni sulla vita di comunità, altro punto essenziale della sua dottrina. Paragona le sue comunità al gruppo dei Dodici attorno a Gesù, che chiama il “collegio di Gesù”. La comunità sorge dal fatto che è stato il Signore a riunirci e renderci parenti gli uni degli altri. Per questo diventiamo una nuova famiglia.

Ma le persone consacrate, trasformate in amici e spose di Gesù, devono essere un dono per gli altri, nella Chiesa e nel mondo. La preghiera per Teresa non si riduce ad alcuni momenti, tanto meno consiste nel chiudersi in se stessi. Insegna piuttosto alle sue suore a “dedicarsi al bene delle anime e alla crescita della Chiesa”. In altre parole, bisogna fare della propria persona un dono. Ma, osserva: “Non è il dono di sé che santifica, piuttosto è nel donarsi che uno è santificato; in questo modo essi diventano “combattenti per Cristo””. Presenta, inoltre, Maria come l’espressione più alta della vocazione carmelitana: “Avete una madre così buona” e noi dovremmo “vivere come veri figli della Vergine benedetta; la riforma è causa sua e noi siamo il suo ordine”.

 

Accanto a Teresa, san Giovanni della Croce. Questo santo nella sua esperienza e nel suo insegnamento è stato fortemente influenzato dal mistero di un Dio tripersonale che comunica se stesso. Il centro dell’anima, scrive, è Dio. Spiegando la nostra natura in quanto figli di Dio, egli parla del desiderio di comprendere le vie e il mistero profondo dell’incarnazione che fa sì che la persona sia trasformata in Cristo mediante l’azione dello Spirito. Il credente desidera penetrare in queste “caverne”di Cristo per esserne assorbito, trasformato, inebriato, vale a dire, vivere in una reale e totale partecipazione la modalità filiale di essere compagni della natura divina, “uguali e compagni di Dio”. Questo processo di trasformazione in figli nel Figlio si compie mediante l’azione dello Spirito Santo che purifica i credenti da tutto ciò che non è Dio e dona ad essi la possibilità di amare Dio con il suo stesso amore, e di giungere alla pienezza della sua immagine quale noi siamo dal momento della nascita.

L’incontro con Dio deriva sempre dalle virtù teologali. La preghiera-contemplazione approfondisce questo rapporto e lo Spirito Santo è “fiamma viva” che purifica e unisce, “rende divini”. Il viaggio spirituale consiste simultaneamente in un movimento di purificazione e di unione; è un attraversare la notte oscura, ossia “momenti” in cui si sperimenta la purificazione in maniera più intensa e si giunge a morire a tutto ciò che impedisce l’interiore risurrezione dello spirito seguendo le orme di Cristo. Cristo quindi è la porta, la via, anzi la nostra via.

In sintesi, rileva lo strumento di lavoro, ciò che è essenziale nell’esperienza e nell’insegnamento di san Giovanni come anche in Teresa si trova nell’ambito della Trinità: le tre persone divine, Padre, Figlio e Spirito Santo sono quelle che attuano l’opera di unione dell’essere umano con Dio. Ciò si compie attraverso un viaggio illuminato da Cristo, Verbo del Padre, e guidato dallo Spirito Santo. Un viaggio che passa attraverso notti di purificazione che conducono alla maturità della fede, speranza e carità. Queste tre atteggiamenti fondamentali sono mezzi e preparazione all’unione con Dio e guida alla pratica di un’autentica preghiera cristiana. L’umanesimo di san Giovanni della Croce fa un tutt’uno con quello di Teresa. Si trova nella sua sensibilità verso la bellezza della natura, il suo amore per la musica, la sua preoccupazione per i malati e i poveri, e in particolare nei suoi scritti poetici.

 

VINO NUOVO

IN OTRI NUOVI

 

Dopo aver ripercorso gli aspetti essenziali di san Giovanni e di santa Teresa, lo strumento di lavoro si domanda che cosa è essenziale nel carisma e nella spiritualità del Carmelo teresiano, alla luce anche di quanto è affermato nel documento postsinodale Vita consacrata. E sono le costituzioni rinnovate a rispondere.

Essenziali sono:

– una vita consacrata di adesione a Cristo, sull’esempio e con la protezione di Maria: “Consideriamo la sua vita di unione con Cristo, per così dire, come il prototipo della nostra”;

– la vocazione come grazia e chiamata a vivere una “unione nascosta in Dio” attraverso la condivisione fraterna in cui contemplazione e azione si fondono insieme per diventare un segno di servizio apostolico nella Chiesa;

– la chiamata alla preghiera che abbraccia tutta la vita: “Con il sostegno della parola di Dio e la sacra liturgia siamo condotti a un’intima amicizia con Dio. Per mezzo della fede speranza e carità approfondiamo la nostra vita di preghiera. Con il cuore purificato siamo in grado di condividere più intimamente la vita di Cristo stesso e di preparare la strada per una più abbondante effusione dello Spirito Santo. In questo modo il carisma teresiano e lo spirito originale del Carmelo diventano una realtà nella nostra vita mentre camminiamo alla presenza del Dio vivente”;

– la natura stessa del nostro carisma richiede che la nostra preghiera e la nostra vita apostolica siano ardentemente apostoliche e che ci mettiamo al servizio della Chiesa e dell’umanità e ciò sarà possibile se “la nostra attività apostolica scaturisce da un’intima unione con Cristo”;

– è per questo duplice servizio, contemplativo e attivo, che noi condividiamo la vita in quanto fratelli nella comunità; uniti dal vincolo di amore nella vita fraterna, diamo anche testimonianza all’unità della Chiesa, fedeli in questo alla nostra Santa Madre la quale voleva che le sue comunità assomigliassero al “collegio di Cristo”;

– questo genere di vita dovrà essere sostenuto da un costante ed evangelico rinnegamento di sé.

 

Una volta identificati questi valori bisognerà trovare le strade per tradurli in scelte concrete di rinnovamento per renderli significativi e in grado di far fronte alle nuove sfide nei vari ambiti, sociale, culturale e religioso.

Nell’ambito sociale tenendo presenti i fenomeni della secolarizzazione, con la sua chiusura alla trascendenza, le sfide della libertà e della liberazione, il problema della dignità della persona umana, la difesa dei diritti umani ecc., e il fenomeno della globalizzazione, il quale mentre allarga gli orizzonti della comunicazione, crea anche povertà e isolamento.

Dal punto di vista religioso si tratterà di dare una risposta alla sete di spiritualità, che spesso degenera in spiritualismo, presente in tante parti oggi, di trasformare le comunità in vere scuole di preghiera e di vivere e testimoniare l’esperienza di Dio in mezzo alle sfide presenti nell’ambito sociale, culturale ed ecclesiale. Inoltre bisognerà favorire l’ascolto della parola di Dio per giungere a trovare la verità e il significato della vita umana. In questo senso, la missione delle comunità carmelitane consisterà nel diventare centri di accompagnamento spirituale nella lettura della Bibbia.

Dal punto di vista ecclesiale è sentita l’esigenza di vivere in fedeltà creativa il carisma, creando delle piccole comunità fraterne di preghiera, impegnate nel proclamare il Vangelo, comunità che, vicine alla realtà diventino segno della presenza di Dio nel cuore della storia. Queste comunità dovranno rimanere aperte per condividere il carisma e la spiritualità con i laici e questo “richiede una profonda revisione dei modelli di vita, di organizzazione, dei canali attraverso i quali viene data testimonianza di fraternità, di preghiera e di apostolato. Dovranno essere comunità che vivono la vita carmelitana in modo semplice, umile e più spontaneo nelle condizioni ordinarie per diventare veri luoghi di incontro per coloro che cercano la preghiera contemplativa”.

Dal punto di vista carmelitano, infine, si auspica, quale mezzo per immettere nuova vita nel servizio che il carisma e la spiritualità sono chiamati a offrire, di allargare il dialogo e la collaborazione fra tutta la famiglia teresiana, rimanendo aperti alla diversità culturale.

“Vino nuovo in otri nuovi”, conclude lo strumento di lavoro. Sarà ora compito del capitolo attuare questo impegno.

 

A.D.