P. W. STECKLING
AGLI OBLATI
“QUESTA NON È GUERRA NOSTRA”
In occasione della Pasqua, padre Wilhelm Steckling, superiore generale degli Oblati di Maria, ha scritto questa breve riflessione sulla guerra in Iraq e nelle altre parti del mondo e sulla lezione che ne possiamo ricavare.
Alessandro Solzenitsyn nell’Arcipelago Gulag scrive di coloro che venivano prelevati tra la mezzanotte e le prime luce dell’alba per essere deportati in Siberia. Si riferisce al rimorso di qualcuno: se avessero saputo che cosa avrebbe significato quell’ora per i successivi dieci anni della loro vita, non se ne sarebbero andati in silenzio, ma avrebbero urlato a squarciagola per avvertire almeno i vicini.
Di fronte a questa guerra mi chiedo spesso: non siamo forse troppo silenziosi? Dovremo forse rammaricarci di avere protestato così poco solo quando a distanza di anni ci renderemo conto delle conseguenze di questo conflitto?
Vivendo a Roma si può costatare che almeno il nostro papa e la diplomazia vaticana non sono rimasti in silenzio. I grandi titoli dell’edizione quotidiana dell’Osservatore Romano di questi giorni possono fare concorrenza a qualsiasi tabloid di ogni parte del mondo: C’è ancora spazio per la pace?; La follia della guerra, ecc. I caratteri sono alti 4 cm e occupano tre righe.
Personalmente ho partecipato all’una o l’altra attività a favore della pace, come la marcia verso la piazza San Pietro organizzata dalla comunità di Sant’Egidio il 1 gennaio. Che cosa altro si può fare? Vorrei qui indicare alcune cose che rientrano nelle nostre possibilità di Oblati. Ne vorrei indicare due in particolare.
La prima è di tenersi informati su che cosa è in gioco circa la pace e la guerra al di là delle normali notizie della televisione, usando la rete di collegamenti che abbiamo come missionari.
– Non è facile cogliere in tutta la sua pienezza la realtà della guerra. Solo negli anni ’90 ci sono stati 56 conflitti armati. Probabilmente gran parte della nostra mancanza di conoscenza riguarda il fatto che il 90% delle guerre scoppiate a partire dal 1945 hanno avuto luogo nei paesi poveri. Questi paesi non fanno molta notizia. Ma noi oblati disponiamo di un accesso privilegiato all’informazione attraverso i nostri confratelli che stanno vicini alla gente nello Sri Lanka, nel sud delle Filippine, nella Repubblica democratica del Congo e in Colombia, ecc. Io stesso ho potuto visitare questi oblati sul luogo.
– Avendo l’opportunità di conoscere i conflitti nei nostri luoghi di missione, possiamo informarne gli altri. Vorrei attirare l’attenzione sulla guerra dimenticata nella Repubblica democratica del Congo: dal 1998 ci sono stati due milioni di vittime, due milioni di profughi e quattro milioni di rifugiati. Non possiamo stare in silenzio di fronte a questa realtà.
– La nostra rete di informazione missionaria ci può aiutare a interpretare anche gli attuali avvenimenti in Iraq. Questa guerra è significativa non perché sia peggiore della altre ma perché si svolge davanti alle telecamere e molti la interpreteranno come un conflitto tra cristianesimo e islam. I nostri missionari in Pakistan, Bangladesh, Nigeria, Camerun, Ciad, Sahara, nelle Filippine e forse persino in Francia avvertiranno le minacce che vengono da questo genere di interpretazione. Per amore di pace in molti paesi, non solo in Iraq, assieme al papa dobbiamo gridare forte e chiaramente: Questa non è guerra nostra.
Una seconda cosa che possiamo fare è di ricorrere a Dio mediante la conversione e la preghiera.
– In quanto oblati siamo religiosi che attribuiscono grande importanza alle beatitudini su cui fondiamo i nostri voti e nello stesso tempo siamo coscienti della resistenza che il Vangelo trova nella nostra vita. Questo è un tempo di conversione. C’è ancora della violenza nei nostri atteggiamenti? Non dobbiamo forse fare attenzione dal rallegrarci della violenza, anche verso i criminali? Le comunità cristiane che serviamo sono inclini a emozioni e azioni che potrebbero in definitiva portare alla guerra? Ma soprattutto dobbiamo cercare la nostra conversione e quella dei seguaci di Cristo, ascoltando nuovamente le parole dette da Gesù a Pietro: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt 26,52).
– Inoltre dobbiamo pregare per la pace. È un dono di Dio. Troviamo in questo un parallelo nella preghiera per il nostro pane quotidiano. In teoria, l’umanità dovrebbe essere in grado di garantire il pane quotidiano a ciascuna persona del nostro pianeta. In pratica, tuttavia, ciò non avviene. Per quale ragione? Semplicemente per il nostro peccato. Perciò è bene pregare per il pane quotidiano, pregare affinché Dio ci liberi dai peccati che provocano la fame. Allo stesso modo dobbiamo pregare per la pace, un dono che può venire solamente da cuori convertiti. Bisogna che disarmiamo i nostri cuori. E solo la grazia di Dio può attuare questa conversione.
Possa la guerra in Iraq, e tutte le altre guerre, offrirci almeno la salutare opportunità di convertire noi stessi e tanta altra gente alla pace di Dio. Cristo ci ha indicato la via che conduce alla pace quando ha rifiutato di sfoderare la spada scegliendo piuttosto la via della croce. Egli è la sola via alla verità e alla vita, alla libertà e alla pace. Cristo ha vinto il peccato e la morte: Egli è la nostra pace.
Wilhelm Steckling OMI
superiore generale