CRISTIANI IN IRAQ

QUALE FUTURO_DOPO LA GUERRA?

 

In Iraq, come è noto, vive una piccola minoranza di cristiani. Chi sono questi cristiani, da dove vengono, quali conseguenze avrà questa guerra su di essi e sui cristiani dei paesi vicini, quale sarà il loro futuro?

I dati a cui ci riferiamo riguardano la situazione fino alla vigilia di questa guerra, per cui bisognerebbe ormai usare i verbi al passato, ma gli interrogativi riguardanti il futuro rimangono.

Verso la fine degli anni ’90, la popolazione dell’Iraq era valutata sui 21-22 milioni di abitanti, la maggioranza dei quali musulmani (90%). Nello stesso periodo, il numero dei cristiani si aggirava tra i 600.000 e gli 800.000, vale a dire il 4% della popolazione. Nel secolo scorso essi rappresentavano il 20% della popolazione – alcuni dicono il 30%.

Attualmente il gruppo più numeroso, costituito da 400.000 fedeli, è quello dei caldei: comprende nove diocesi e un patriarcato, con a capo Raphael Bidawid I. Questa chiesa è unita a Roma fin dal secolo XVI.

Accanto a questo gruppo vi sono 90.000 cristiani assiri, riuniti in una chiesa chiamata “Chiesa apostolica d’Oriente”. Questa vanta la sua origine dall’apostolo Taddeo e fu conosciuta in passato come chiesa nestoriana. Essa si spaccò nel 1964 e ora ha un patriarca a Bagdad e uno nell’Illinois (USA/Teheran - Iran). Gli assiri hanno una comune tradizione ecclesistica con il ramo cattolico dei caldei e sono orgogliosi di poter usare fino ad oggi nella liturgia un dialetto che ha parlato Gesù.

Gli altri cristiani in Iraq sono suddivisi in varie chiese. Fino alla metà degli anni ’90 erano così ripartiti: 60.000 siro-cattolici, 40.000 siro-ortodossi, 30.000 armeni ortodossi, 8.000 armeni cattolici, 4.000 greco-ortodossi, 4.000 cristiani latini, 1000 melchiti e 10.000 protestanti.

Ma sono cifre che non corrispondono più alla realtà. A partire infatti da quell’epoca, i fedeli si sono quasi dimezzati: dei 400.00 caldei non ne sono rimasti che 220.000. Per le altre chiese la realtà non è migliore anche se non si hanno dati precisi. Si calcola tuttavia che la partecipazione dei cristiani al totale della popolazione irachena, dal 4% sia scesa al 2%.

Prima che scoppiasse questa guerra, quindi fino a poco più di un mese fa, queste piccole chiese formavano nel paese un simpatico quadro policromo, ciascuna con una sua storia. Il governo iracheno ne riconosceva 14 ed esse godevano di quel diritto formale di protezione che viene garantito nei paesi musulmani alle minoranze. La costituzione laica del 1958 era stata concepita in modo tale da garantire la parità dei diritti di tutte le religioni nel paese. Ma nel 1995 fu cambiata e l’islam fu proclamata religione di stato con l’obbligo che il presidente del governo fosse un musulmano. Rimase tuttavia garantita la libertà di religione. Ai cristiani era consentito di celebrare i loro riti e anche di impartire l’insegnamento catechistico. Nei colleges registrati era consentita la formazione teologica sia dei laici sia dei sacerdoti. I centri più noti di formazione sono quelli di Mossul, nel nord del paese, e il Babel-College a Bagdad. Nel paese fu imposta una certa restrizione di riunione e di opinione, sia ai cristiani sia ai musulmani. Ai cristiani era tuttavia concesso di prendere parte al governo del paese. La personalità più nota è stato il vicepremier Tariq Aziz, della chiesa caldea.

Dopo la precedente guerra del Golfo con l’embargo e in seguito alla politica di Saddam Hussein la situazione economica e sociale in Iraq era notevolmente peggiorata. Ciò indusse molti cristiani a emigrare verso i paesi occidentali. Essi appartenevano tradizionalmente alle classi più colte e benestanti della società e furono quindi anche le più colpite dalle conseguenze dell’embargo.

Geograficamente i cristiani sono concentrati in gran parte nella capitale Bagdad. A Bassora vivono almeno 1.000 famiglie cristiane con un loro arcivescovo caldeo. Anche questi cristiani hanno sofferto molto, come il resto del popolo iracheno, a causa dell’embargo, dei bombardamenti, delle distruzioni, e per la politica messa in atto da Saddam.

Nel nord, nella cosiddetta No-fly-zone, abitata dai curdi, vivono circa 50.000 cristiani di rito assiro e caldeo. La loro convivenza con i curdi non è sempre stata facile e non sono mancati scontri., ma sostanzialmente tra i curdi e cristiani assiri e caldei si era instaurata da tempo una convivenza pacifica. Ai cristiani, come nel resto dell’Iraq, era concesso di costruire chiese e la libertà di culto. Inoltre nelle loro scuole potevano servirsi della loro lingua madre, che è un dialetto assiro. Ma da diverso tempo queste comunità hanno perduto gran parte della loro importanza: ormai le sedi episcopali caldee di Sulaimaniye e di Aqra sono senza vescovo.

Negli anni più recenti, l’islam ha assunto un’importanza sempre maggiore  nel paese e questo fatto ha influito anche sulla dittatura laica ba’th di Saddam. Questi infatti non ha esitato a servirsi dell’islam per i suoi astuti calcoli politici. È avvenuto così che per la crescente islamizzazione del paese, e la sempre maggiore pressione dell’ “occidente cristiano”, sugli arabi, i cristiani hanno cominciato a essere considerati come la lunga mano delle comunità di fede occidentali.

In seguito al peso dell’embargo, della disastrosa situazione economica del paese e del terrore messo in atto da Saddam, negli anni recenti è aumentato notevolmente il numero dei cristiani che hanno preferito emigrare verso la Siria, la Turchia, la Giordania, in attesa di un visto per raggiungere l’occidente.

 

Ma da dove vengono i cristiani dell’Iraq. Occorre a questo punto un breve sguardo restrospettivo. Un certo numero proviene dall’Armenia: sono cattolici e ortodossi fuggiti al massacro perpetrato dai turchi nel 1917. Altri vengono dal nord del paese abitato dai curdi e sono emigrati verso le città del sud. Per gli armeni la vita in Iraq è sempre stata piuttosto difficile, non essendo arabi. Ciò nonostante, nel 1998, essi poterono inaugurare una nuova cattedrale a Bagdad.

Gli assiri, che nel secolo XIX avevano subito le persecuzioni dei turchi, durante la prima guerra mondiale avevano sperato che il Kurdistan diventasse uno stato autonomo, cosa che non si avverò per mancanza di coraggio delle nazioni vincitrici. Quando nel 1933 un gruppo di essi volle emigrare in Siria, ci fu un massacro da parte delle truppe irachene e curde nella regione di Mossul. La tensione tra assiri e lo stato iracheno è durata fino ai nostri giorni.

La guerre del Golfo hanno provocato anche notevoli danni materiali agli edifici della chiesa. Inoltre nel nord molti cristiani, assieme ai curdi, furono vittime dei gas letali usati dal governo di Saddam per reprimerli.

Anche i caldei furono vittime della rappresaglia scatenata contro i curdi. Per questa ragione la loro sede patriarcale, nel 1950 fu trasferita da Mossul a Bagdad e gran parte della comunità cristiana lasciò le campagne per venire ad abitare nella capitale. Il patriarca Paolo II Cheiko ebbe il suo daffare per cercare di gestire la nuova situazione. Nel 1961 furono distrutti molti villaggi cristiani e nel 1968 scoppiò una persecuzione in piena regola. Nel 1989 fu intronizzato il patriarca Raphael Bidawid il quale riuscì a stabilire buoni rapporti col regime.

La chiesa cattolica a Bagdad ha cercato di coordinare il suo lavoro attraverso il lavoro di commissioni e ha sviluppato anche i rapporti ecumenici tra assiri e caldei, culminati in una dichiarazione cristologia comune tra il catholikos Dinkha IV e Giovanni Paolo II, nel 1994. Il papa aveva espresso anche il desiderio di visitare Ur dei caldei, patria di Abramo, ma per varie ragioni quel viaggio si rivelò impossibile.

 

Ora tutto è rimesso in questione. Il futuro dei cristiani in Iraq dipenderà in gran parte dalla nuova configurazione che assumerà il dopo questa guerra. Per il momento non resta che attendere.