LA PACE TRA PROFEZIA E POLITICA

 

Un recente volume1 consente una valutazione di come la cristianità abbia sperimentato, nel corso della storia, l’oscillazione tra pacifismo profetico e pacifismo politico.

Il primo è nato dalla volontà di osservare alla lettera il comandamento di Dio “Non uccidere!”, precisato e rafforzato da Gesù nel Discorso della montagna: “Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6,27-29). Per mediare tra questo ideale puro e la realtà di fatto si riconobbe presto valore normativo al pacifismo politico. A questo riconoscimento i cristiani arrivarono partendo dagli annunci del profeta Isaia, in particolare da una delle sue straordinarie formule: “Frutto della giustizia sarà la pace, conseguenza del diritto una sicurezza perpetua” (Is 32,17). La pace di valore è quella che, come il concetto ebraico di shalom, comprende il rispetto del diritto, ossia la giustizia. Perciò è ammissibile il ricorso alle armi in condizioni di attentati contro l’umana convivenza. Ora l’ingiustizia può assumere forme molto diverse: può essere l’azione terroristica specialmente se colpisce degli innocenti, ma anche l’oppressione sistematica esercitata mediante meccanismi economici. L’autore del libro, Francesco Pasetto, ritiene auspicabile dunque unire i due tipi di pacifismo e cita come esempio di ciò la lettera inviata dal presidente della Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti, mons. Fiorenza, al presidente George Bush dopo la tragedia nazionale dell’11 settembre 2001 (pp. 79-81). Il documento definisce diritto-dovere difendere il bene comune contro attacchi terroristici anche mediante il ricorso a iniziative militari e contemporaneamente raccomanda la moderazione. Anzitutto rispettando alcuni tradizionali principi mutuati dalla teoria della “guerra giusta” (probabilità di successo, salvaguardia delle popolazioni civili, proporzionalità tra aggressione e reazione); suggerendo poi un’azione politica rivolta ad alleviare le tensioni e le ingiustizie sociali.

 

PER UNA TEOLOGIA

DELLA PACE

 

Il grosso del volume (pp.85-284) offre dunque una rilettura storica degli sforzi compiuti per mettere in dialogo fra di loro le due tendenze del pacifismo cristiano, con l’intenzione di indurre a giudicare più correttamente le scelte drammatiche del nostro tempo. Emergono alcuni punti fermi. Anzitutto non è vero che la teoria della “guerra giusta” sia di origine romana o cristiana: risale al filosofo greco Aristotele. Del resto non è corretto parlare di una dottrina della guerra giusta, quando ce ne sono state molte e diversissime fra di loro. Non è neppure vero che i cristiani prima dell’imperatore Costantino siano stati tutti pacifisti convinti, come non è vero che solo successivamente abbiano deciso di accantonare ogni riserva sulla partecipazione alla vita militare. La storia, anche in questo caso, risulta molto complessa, perché è la vita che vi si riflette con i suoi intensi contrasti. Un punto di svolta decisivo è indicato nell’enciclica Pacem in terris del 1963 (è incompatibile con la ragione adottare la guerra come strumento di giustizia o di riparazione dei torti) e dal conseguente abbandono della vecchia terminologia della “guerra giusta” operato dal Vaticano II, pur ammettendo il diritto di legittima difesa e non escludendo che sia moralmente lecito “servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli” (Gaudium et spes 79). Il concilio invita a trattare l’argomento con mentalità completamente nuova: lo esige il progresso delle armi scientifiche che ha enormemente accresciuto l’orrore e l’atrocità della guerra (GS 80). Si esorta a “preparare il tempo, nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra” (GS 82). Dal contesto si arguisce che i padri conciliari, sulla linea del pacifismo che abbiamo definito “politico o realistico”, intendevano limitare la liceità morale ai soli interventi di polizia condotti dalle comunità dei popoli o dalle istituzioni internazionali.

Su questa scia conciliare vanno letti, secondo il nostro autore, gli interventi del papa attuale, culminanti in particolare nel messaggio della Giornata per la pace 2002 (Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono). Egli non parla mai di azioni belliche e tanto meno approfitta dell’occasione per risuscitare la comoda illusione della guerra giusta. Ribadisce piuttosto che il “diritto alla difesa deve rispondere a regole morali e giuridiche nella scelta sia degli obiettivi che dei mezzi” e insiste che solo per questa via i popoli potranno sperare di giungere alla sconfitta della strategia terroristica. Questo spirito è riscontrabile in un discorso del gesuita p. Drew Christiansen (p. 282): “Penso che la sfida che abbiamo tutti davanti è riuscire a elaborare per noi stessi una concezione moderna della guerra e della pace che vada ben oltre la teoria della guerra giusta e che integri la tradizione della guerra giusta con gli elementi che costituiscono la visione cattolica contemporanea della pace, ossia il rispetto dei diritti umani, l’impegno per lo sviluppo e per la giustizia negli affari internazionali e fattori più nuovi e recenti come la non violenza e il perdono. Il tempo in cui la teoria della guerra giusta da sola poteva esprimere la riflessione cattolica sulla guerra e la pace è passato da lungo tempo. L’11 settembre ha reso evidente al mondo tormentato nel quale viviamo l’importanza della nostra più ampia e profonda visione della pace. Facciamoci tutti strumenti di questa pace!”

Pasetto conclude la sua ricerca indicando l’importanza di far crescere un’etica della convinzione responsabile, con i suoi valori ritenuti arbitrariamente inconciliabili (il rispetto assoluto di ogni vita umana; il rifiuto di avallare le violenze dei prepotenti o dei criminali terroristi, l’intervento a favore degli aggrediti sotto l’egida della comunità internazionale, la ricerca costante della cooperazione tra i popoli per ridurre le sperequazioni e sconfiggere la miseria e la fame). Un esempio di ciò lo si ritrova nel discorso del card. Carlo Maria Martini nella solennità di s. Ambrogio del 2001: “La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani. Vi saranno al limite casi di legittima difesa di beni irrinunciabili. Però il contrasto all’azione ingiusta, non di rado doveroso e meritorio, deve restare nei limiti strettamente necessari per difendersi efficacemente. Potranno anche essere necessarie coraggiose azioni di “ingerenza umanitaria” e interventi volti alla restituzione e al mantenimento della pace in situazioni a gravissimo rischio. Ma non saranno ancora la pace. Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio. Pace è frutto di alleanze durature e sincere, a partire dall’Alleanza che Dio fa in Cristo perdonando l’uomo, riabilitandolo e dandogli se stesso come partner di amicizia e di dialogo, in vista dell’unità di tutti coloro che Egli ama. In virtù di questa unità e di questa alleanza ciascuno vede nell’altro anzitutto uno simile a sé, come lui amato e perdonato, e se è cristiano legge nel suo volto il riflesso della gloria di Cristo e lo splendore della Trinità. Può dire al fratello: tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di me stesso, le tue cose mi importano più delle mie. E poiché mi importa sommamente il bene tuo, mi importa il bene di tutti, il bene dell’umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della tribù, della razza, dell’etnia, del movimento, del partito, della nazione, ma il bene dell’umanità intera: questa è la pace. Ogni azione contro questo “bene comune”, questo “interesse generale” affonda le radici nella paura, nell’invidia e nella diffidenza. Genera i conflitti e nutre gli odi che causano le guerre.Ci vorrà una intera storia e superstoria di grazia per compiere questo cammino. Ma è questa la pace che è meta della vicenda umana”.

 

M.C.

1 PASETTO F., Pacifismo profetico e pacifismo politico, EDB, Bologna 2002, pp. 306, € 16,00.