UNA VITA CONSACRATA
AFRICANA
OLTRE IL MODELLO DEI
MISSIONARI
Per
i consacrati africani è giunto il tempo di andare oltre il modello ricevuto dai
missionari e sviluppare una forma di vita consacrata profondamente radicata
nella cultura del continente e nei suoi valori, quale condizione per avere un
futuro.
L’umanità intera è
entrata in un nuovo millennio cristiano e ciò ha permesso agli uomini e alle
donne di buona volontà, non solamente di tracciare dei bilanci della loro vita
e delle loro attività passate, ma anche di delineare certe prospettive che
riguardano il futuro in quasi tutti i campi della vita: sociale, economica,
politica, ecclesiale, ecc. Anche la vita consacrata non è rimasta ai margini di
questo movimento.1
Per quanto riguarda
la vita consacrata, prima di collocarla entro un contesto concreto come quello
dell’Africa, è preferibile iniziare col descrivere che cosa essa è e che cosa
ha di essenziale e di universale. Infatti, questa forma di vita è oggi vissuta
in tutte le culture e gli ambienti dove ci sono dei cristiani.
In effetti, la vita
consacrata non appartiene unicamente né agli europei, né agli americani, né
agli indiani, né agli africani; non è l’esclusività di una razza, di un popolo
o di una civiltà; è la chiamata che Dio rivolge a tutti gli uomini a seguire e
a imitare la forma di vita del suo Figlio, il primo consacrato, colui che il
Padre aveva consacrato e inviato nel mondo (cf. Gv 10,36). Per questa ragione la
nostra riflessione farà prima allusione alla vita consacrata in generale e alle
sue caratteristiche essenziali e universali prima di situarla nel contesto
africano attuale. Questa semplice riflessione affronterà così tre punti. Prima
di tutto, richiamerà ciò che la vita consacrata è ed è sempre stata nella sua
essenza in quanto chiamata di Dio rivolta a tutti. In secondo luogo, essa ci
permetterà di considerare come i consacrati africani hanno compreso e vissuto
la vita consacrata fino a oggi. Infine, ci aiuterà a scoprire ciò che la Chiesa
e la società africana possono aspettarsi da questa forma di vita all’inizio del
terzo millennio.
VITA CONSACRATA
NELLA SUA ESSENZA
L’esortazione
post-sinodale Vita consecrata è ben predisposta per aiutarci a comprendere ciò
che è essenziale e universale nella forma di vita consacrata. In effetti, ci
presenta la vita consacrata come una forma di vita che certi fedeli sono
chiamati a vivere sotto l’azione dello Spirito Santo per seguire fedelmente le
orme di Cristo, mediante una vera e totale consacrazione a Dio e al suo
servizio, attraverso i consigli evangelici, in una vita di comunione per
continuare la missione di Gesù, nella fedeltà al carisma di un istituto
concreto.
Se questa
affermazione può essere considerata come una definizione sintetica della vita
consacrata, allora possiamo dire che in essa troviamo tutti gli elementi che il
documento Vita consecrata sviluppa come essenziali di tutta la vita consacrata,
vale a dire:
– vivere sotto
l’azione dello Spirito Santo
– seguire fedelmente
Cristo
– fare della vita
una vera e totale consacrazione a Dio e al suo servizio
– professare
pubblicamente i consigli evangelici e viverli
– realizzare la vita
e la missione di Cristo in una vera comunità di vita
– rimanendo fedeli a
un carisma concreto.
Questi elementi
essenziali e universali appartengono alla vita consacrata come sua essenza;
sono infatti stati vissuti da Gesù di Nazaret e proposti a tutti coloro che
vorranno seguirlo nel tempo e nello spazio.
In effetti, l’uomo
Gesù, mediante la sua forma di vita e come consacrato a Dio per eccellenza, ci
fa comprendere la consacrazione nel suo duplice significato: come consacrazione
passiva, ossia essere chiamati, essere scelti da Dio, essere messi a parte e
unti dallo Spirito Santo (cf. Eb 5,10; Gv 10,38). E come consacrazione attiva:
donarsi interamente a Dio in una disponibilità totale al suo piano, vivere i
consigli evangelici come espressione di questa consacrazione totale.
Per questa ragione
il documento Vita consecrata ci dice che la consacrazione a Dio è esclusiva, è
una donazione totale a Dio e al suo piano di salvezza. Essa sarà valida se
conduce il consacrato a una esistenza cristiforme, vale a dire a un’esistenza
che prolunga nella storia la presenza del Risorto: la sua vita, la sua
donazione incondizionata, la sua consacrazione e missione.
Questa nuova forma
di vita è proposta da Gesù a tutti i
cristiani senza
distinzione di origine o di epoca; si constata
infatti come “nel
corso dei secoli ci sono sempre stati degli uomini che, docili alla chiamata
del Padre e alla mozione
dello Spirito, hanno
scelto la via di una sequela Christi particolare per donarsi al Signore con
“cuore indiviso” (cf. 1 Cor 7,34). Sono persone che hanno lasciato tutto, come
gli apostoli, per stare con lui e mettersi, come lui, al servizio di Dio e dei
loro fratelli” (VC 1).
Così che anche
l’Africa ha abbracciato questa forma di vita. I suoi figli e le sue figlie la
vivono fin da quando il cristianesimo è giunto nelle sue terre, non solo per
abbracciare una sequela Christi particolare o per donarsi al Signore con cuore
indiviso e stare con lui, ma soprattutto per mettersi al servizio di Dio e dei
loro fratelli e delle loro sorelle e trasformare assieme ad essi la società
africana secondo il piano di Dio: “rinnovare tutte le cose in Cristo”.
L’unico
interrogativo che può essere posto è di sapere in che modo questa forma di vita
è stata capita, assimilata e vissuta dai consacrati africani fino all’inizio
del terzo millennio.
IL SUO VISSUTO
IN AFRICA
L’esortazione
apostolica Ecclesia in Africa rievoca la storia del cristianesimo nel
continente africano: una storia che “risale all’epoca stessa della nascita
della Chiesa. La diffusione del Vangelo in Africa è avvenuta in diverse fasi.
I primi secoli del
cristianesimo hanno visto l’evangelizzazione dell’Egitto e dell’Africa del
nord. Una seconda fase, riguardante le regioni di questo continente situate al
sud del Sahara, ebbe luogo nei secoli XV e XVI. Una terza fase, caratterizzata
da una sforzo missionario straordinario, è iniziata nel secolo XIX” (n._30).
È in questa terza
fase che possiamo collocare la nostra riflessione sul modo di comprendere, di
assimilare e vivere da parte dei consacrati africani la vita consacrata.
Infatti, come scrive l’esortazione, numerosi figli e figlie di questo
continente hanno raggiunto le congregazioni missionarie oppure sono entrati nei
“nuovi istituti nati in terra africana, prendendo in mano la fiaccola della
consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo”.
Ma come era stata
compresa, assimilata e vissuta questa consacrazione dai figli e dalle figlie
dell’Africa? È possibile effettivamente sapere come gli africani hanno vissuto
fino ad oggi la vita consacrata ereditata dai missionari venuti da altre terre?
Fra tanti altri, tre
sono gli atteggiamenti di maggior rilievo. Non vorrei essere pessimista, né
drammatizzare la situazione. Faccio semplicemente una breve analisi per
svegliare la nostra coscienza, suscitare la nostra reazione in un senso
positivo e soprattutto per prevedere alcuni nuovi atteggiamenti capaci di far
vivere la consacrazione in Africa nel terzo millennio senza tradire né il
Vangelo né la società africana.
Il missionario aveva
incontrato Cristo nella sua cultura e nel suo ambiente di vita, ne
aveva accolto e
abbracciato la forma con tutto il genio della sua cultura e dei valori
essenziali della sua tradizione. Venuto in Africa, senza prima conoscere il
genio africano e i suoi valori essenziali quali “germi del Verbo” seminati dal
creatore in ogni cultura, si mise a predicare e a presentare agli africani Gesù
visto e contemplato con lo sguardo della sua cultura, fino a dire che per
accettare questo Gesù e per seguirlo bisognava prima distruggere tutto ciò che
riguardava la loro cultura: in una parola, bisognava prima “essere circoncisi
nella cultura del missionario” per seguire il Cristo del Vangelo.
In questo modo
l’africano ha accettato di seguire Cristo alla maniera del missionario. Di
conseguenza, si constata oggi che nelle nostre diverse comunità religiose si
vive la consacrazione alla maniera spagnola, se i missionari sono stati
spagnoli, alla maniera belga se sono stati belgi, alla maniera francese se sono
stati francesi, alla maniera americana o inglese se essi sono stati americani o
inglesi. Chi di noi non sente spesso dire: “È così che si fa da noi in Belgio,
in Francia, in America, in Inghilterra”? Oppure, chi di noi non sente spesso
ripetere: “Da noi non si fa così”? Il risultato è che le comunità religiose dei
missionari sono state semplicemente trapiantate in Africa e gli africani sono
stati iniziati a seguirli adottando le loro maniere.
È quanto sr. Marie
Odile vuol dire quando scrive che “essere se stessi e vivere la vita religiosa
nella propria cultura è il desiderio più profondo di ogni religiosa africana.
Ma purtroppo, l’attuazione effettiva di questo nobile desiderio pone dei
problemi enormi. In effetti, la vita delle religiose africane è innestata sul
ramo-madre della vita consacrata occidentale. Trasportata in Africa, la vita
religiosa è stata introdotta nel disprezzo e nel rifiuto totale dei valori
culturali locali. E le stesse persone che l’hanno portata in questa forma
accusano oggi la religiosa africana di non essere religiosa perché non vive
quello che le è stato inculcato”.
La domanda che ci si
deve porre di fronte a una situazione del genere è di sapere che cosa fare
affinché la vita consacrata sia a casa propria in Africa. A chi spetta dare la
risposta?
Oggi viviamo in una
società in piena continua ricerca dell’avere, dell’efficacia e degli onori. Più
si ha e più si è considerati nella società.
Il consacrato
africano lo ha ben compreso. È la ragione per cui invece di imitare il Cristo
nel suo abbassamento totale e nel suo impegno al servizio degli altri, egli si
consacra a Dio per essere considerato nella società e per avere il più
possibile di beni.
In effetti oggi, nel
contesto africano, il religioso sul_piano materiale, su quello del sapere, sul
piano della considerazione, della sicurezza di vita, ecc. è un privilegiato, ha
tutto ciò che gli occorre e alle volte in abbondanza in rapporto a coloro che
lo circondano: è tutto, salvo che povero, ha la comprensione della gente”.
Quale messaggio può
il consacrato africano far giungere alla sua società africana e alla Chiesa in
cui molti suoi compatrioti sono già impegnati in una corsa sfrenata al potere,
all’avere e al piacere? Bisogna dirlo con coraggio: il messaggio che il
consacrato africano dovrebbe offrire alla società africana non giunge perché
non esiste.
Ci si potrebbe
domandare allora come vivere la consacrazione religiosa oggi in Africa affinché
essa possa far giungere un messaggio alla società africana? Qual è il vero
senso che il consacrato africano dovrebbe dare alla sua consacrazione affinché
possa trasformare anche i propri concittadini?
La storia della vita
religiosa ci presenta grandi uomini e grandi donne che hanno seguito Cristo
perché hanno fatto un incontro personale con lui: è il caso di Francesco
d’Assisi che il Cristo chiama in San Damiano per chiedergli di restaurare la
sua Chiesa; è il caso di madre Teresa che decide di raccogliere gli abbandonati
delle strade di Calcutta; di don Bosco che cerca di alleviare la miseria dei
giovani abbandonati dopo la guerra, o ancora di don Alberione il quale ode una
chiamata personale durante un’adorazione davanti al santissimo sacramento, per
citare soltanto alcuni esempi fra tanti altri.
Queste persone sono
state toccate da una situazione sociale della loro epoca e grazie al loro
incontro con Cristo si sono lasciati configurare a lui in una delle dimensioni
che ha loro permesso di aiutare i propri fratelli e le proprie sorelle e di
partecipare alla trasformazione della vita sociale della loro epoca.
Invece, la sola
convinzione che il consacrato africano
ha è il modello che
il missionario gli aveva presentato. Egli potrà incontrare progressivamente
Cristo nella parola di Dio e nei sacramenti dopo la sua consacrazione; potrà
guardare in faccia la situazione drammatica della sua società solamente dopo la
sua consacrazione; se dopo la consacrazione si dà alla preghiera o alla
contemplazione, forse allora potrà sentire una vera chiamata personale per consacrarsi
realmente.
Ora, la vera
consacrazione segue un ritmo inverso, ossia: cercare prima di tutto Gesù,
incontrarlo e rimanere con lui affinché ti trasformi e ti invii a sua volta a
trasformare gli altri e le stesse strutture. Per esempio:
– “Che cercate? Maestro,
dove abiti? Venite e vedete. Essi andarono e videro e rimasero con lui” (Gv
1,38-39);
– “va, vendi quello
che hai, dallo ai poveri… poi vieni e seguimi” (Mc 10,21);
– “… trova un tesoro
di grande valore, vende tutti i suoi beni e compra quel terreno” (Mt 13,44).
Il problema è di
sapere se il consacrato africano è già capace di offrire dei segni di
convinzione personale del suo incontro personale con Cristo. Una situazione
sociale concreta l’ha già condotto a Cristo oppure ha già identificato la voce
di Dio che lo chiama a seguire il Cristo, a partire da un avvenimento,
attraverso una persona o in un incontro personale con lui?
In tutto ciò, è
vero, sappiamo che in questa folla di religiosi africani ci sono stati già
degli uomini e delle donne che hanno vissuto in questo modo un’autentica
consacrazione a Cristo nel cuore dell’Africa. Ma a dire il vero sono ancora
minoritari in rapporto alla grande folla che porta oggi la consacrazione come
un fardello.
Questa semplice
analisi, imperfetta e incompleta, può già permetterci di affermare che la
maggior parte dei consacrati africani ha vissuto la consacrazione fino a oggi
in modo superficiale: a modo di copia, come una promozione sociale e spesso
senza una convinzione personale profonda.
Per questa ragione possiamo
dire che il nuovo millennio costituisce una sfida per la vita consacrata in
Africa. Continueremo a seguire la vita consacrata sempre alla maniera del
missionario? Il genio africano può manifestarsi nella consacrazione religiosa?
Le situazioni concrete di indigenza presenti nella situazione africana possono
condurci a Cristo per cercare di alleviare la miseria degli africani assieme a
lui?
Ecco perché dobbiamo
qui richiamare alcune prospettive sotto forma di appello che l’Africa lancia ai
consacrati africani all’inizio del nuovo millennio.
APPELLI DELL’AFRICA
AI CONSACRATI
La vita consacrata è
una delle tre forme di vita che costituiscono la Chiesa e la società: laici,
preti e consacrati. È questo trinomio che forma il popolo di Dio come ci viene
spiegato dallo costituzione dogmatica Lumen gentium. Infatti, secondo questo
documento, la prima cosa da considerare nella Chiesa e nella società è la
comunione, l’unità e l’uguaglianza dei figli di Dio, poiché tutto ciò che è
detto del popolo di Dio riguarda ugualmente i preti e i consacrati.
Per questa ragione,
per costruire un popolo di figli di Dio in Africa, i consacrati africani, per
la loro fede e la loro consacrazione a Cristo, ricevono anch’essi una chiamata
a partecipare all’edificazione della Chiesa e della società africana fondata su
veri e autentici valori ispirati dal Vangelo.
In effetti,
l’esortazione apostolica Vita consecrata ci dice che i consacrati sono “uomini
e donne che, docili all’invito del Padre e alla mozione dello Spirito Santo,
hanno scelto la via della particolare sequela Christi, per donarsi al Signore
con un cuore “indiviso” (cf. 1 Cor 7,34) lasciando tutto come gli apostoli per
dedicarsi al servizio di Dio e dei loro fratelli, rinnovando la società
attraverso il modo esemplare e permanente di agire e di vivere” (VC 10).
Quello che ci
interessa in questa presentazione che il documento fa dei consacrati sono le
due espressioni che caratterizzano le persone consacrate nella società:
mettersi a servizio di Dio e dei loro fratelli, e lavorare per rinnovare la
società con il loro modo esemplare di agire e di vivere.
Il consacrato,
essendo chiamato a vivere la sua consacrazione in un contesto concreto per
servire Dio e i suoi fratelli e trasformare questo contesto deve, per così
dire, prima di tutto conoscere il contesto, analizzarlo secondo i criteri del
Vangelo in modo da immettere dei veri valori nella società.
Allora, quale
sguardo posare sull’Africa in questo inizio del terzo millennio? In effetti, il
consacrato si trova davanti un’Africa in piena crisi e immersa in numerosi mali
che continuano a divorarla: il fenomeno dei rifugiati, le guerre tribali ed
etniche interminabili, il tribalismo, le ingiustizie a tutti i livelli, la
cattiva gestione della cosa pubblica, la corruzione, la mediocrità politica, la
ricerca sfrenata del potere per il potere, l’individualismo crescente e
assassino, il dirottamento dei fondi pubblici, ecc. È di questa Africa che il
papa diceva: “L’Africa è satura di problemi: in quasi tutte le nostre nazioni
c’è una miseria spaventosa, una cattiva amministrazione delle scarse risorse
disponibili, un’instabilità politica e un disorientamento sociale. Il risultato
è sotto i nostri occhi: miseria, guerre, disperazione. In un mondo controllato
dalle nazioni ricche e potenti, l’Africa è praticamente diventata un’appendice
senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da tutti”.
Questa situazione di
degrado deve interpellare il consacrato africano se non vi è implicato.
Lasciarsi
interpellare è il messaggio che i superiori generali delle congregazioni,
riuniti a Parigi nel 1994 per definire il carisma della vita consacrata nella
Chiesa per il mondo, hanno lanciato ai consacrati per far loro comprendere ciò
che la società in generale si aspetta dalla vita consacrata e possiamo dire più
concretamente ciò che la società africana si attende dai suoi consacrati.
In effetti, i
superiori generali dicono che “l’adesione radicale a Gesù non è in contrasto
con l’impegno vitale a servizio della cultura, della scienza, dell’economia,
della politica, dell’arte, del lavoro, della società. Essa significa che il
vangelo del Regno invita i credenti a introdurre nel processo di umanizzazione
le caratteristiche della pace, della giustizia, dell’amore, della verità, della
difesa della vita e della dignità, della fraternità, della salvaguardia della
natura”.
Davanti a questa
affermazione che interpella, quali sono gli appelli che l’Africa lancia ai
consacrati africani in questo inizio del terzo millennio?
Ciò consiste
nell’essere affascinati da Dio che abbiamo incontrato nella persona di Cristo.
Il consacrato deve anzitutto essere un vero cristiano. Essere cristiano vuol
dire seguire Gesù fino a identificarsi con lui nel suo modo di pensare e di
vivere la relazione con Dio, con gli uomini e con il mondo. Essere cristiano
consiste nell’identificarsi con Gesù fino a condividere le sue convinzioni e la
sua missione: la costruzione del regno di Dio sulla terra, come il compimento
della volontà di Dio per il mondo e identificandosi con Gesù fino ad assumere
come proprio il suo destino. Sta qui l’identità cristiana. È sempre stato così
dall’epoca degli apostoli fino a noi.
Il consacrato,
essendo egli un cristiano, decide di impegnarsi nella sequela Christi nella
vita consacrata, nel senso che fin dalle origini alcuni sono stati chiamati ad
annunciare e costruire il regno di Dio nelle stesse condizioni sociologiche in
cui erano prima di essere chiamati; mentre altri sono chiamati ad abbandonare
le loro condizioni sociologiche di prima quale esigenza preliminare per seguire
Gesù e sono anch’essi chiamati ad annunciare e costruire il Regno. La missione
è comune. Avviene così che ad alcuni è detto “va’ e annuncia alle genti la
missione del Regno”, mentre ad altri è detto: “Va’, vendi quello che hai e poi
vieni e seguimi”.
In questo modo, ogni
discepolo di Gesù ha una sua identità. Vivere autenticamente la propria
consacrazione a Dio come propria identità con Gesù; avere incontrato Dio e il
suo regno come il più grande tesoro della nostra vita e con questa gioia poter
lasciare tutto per vivere con lui; sperimentare di essere sedotto da Dio e
liberarsi di ogni ingombro per camminare dietro a Gesù fino alla fine senza
guardare indietro (cf. Lc 9,62).
Condurre una autentica
vita di consacrazione a Dio vuol dire anche vivere la fedeltà al carisma del
fondatore o della fondatrice, ciò che il decreto Perfectae caritatis del
concilio Vaticano II chiama il ritorno alle origini di ciascun istituto in un
incontro fedele, fecondo e creativo con lo Spirito e il carisma del fondatore o
della fondatrice.
Se il consacrato
africano vuole trasformare domani la società africana nel regno di Dio, deve
vivere anzitutto egli stesso oggi i valori di questo Regno per brillare in
mezzo ai suoi fratelli e alle sue sorelle come un astro di luce capace di
illuminare coloro che camminano nelle tenebre dell’errore (cf. Mt 5,14-16).
Una vera vita
fraterna in comunità è oggi una necessità primaria per la testimonianza della
vita consacrata in Africa; una vita fraterna fondata sui valori evangelici e
ispirata al senso di comunione della tradizione africana. Una vera comunione di
vita in cui si impara ad amare gli altri come Dio li ha amati e a lasciarsi amare
dagli altri in una vera comunione di vita, condividendo ciò che sono e ciò che
hanno, espressa in un disponibilità agli altri in modo da contrastare
l’individualismo che sta distruggendo i veri valori africani e il senso della
comunione propria dell’Africa.
In effetti, una vera
vita fraterna in comunità è necessaria oggi a motivo di tutti i mali che
rendono l’Africa malata: le divisioni, le classi sociali, il tribalismo, il
razzismo, il regionalismo, ecc. Il consacrato africano è chiamato a divenire un
segno luminoso, una presenza di Dio amore, di Dio comunione per essere l’amore
di Dio presente in mezzo agli uomini.
È per questo che
Giovanni Paolo II dice che “la vita consacrata è considerata nella Chiesa e
nella società come una presenza viva dell’azione dello Spirito Santo; come il
luogo privilegiato dell’amore di Dio per gli uomini e dell’amore del prossimo,
testimonianza del progetto di Dio di fare di tutta l’umanità, nella civiltà
dell’amore, la grande famiglia dei figli di Dio”. È questa vita fraterna in
comunità che permetterà ai consacrati africani di amare gli altri nel cuore di
Cristo, vale a dire, fare della comunità una scuola di amore, di reciproco
perdono dei membri, di comunione; amare al di là delle frontiere umane, poiché
è di questo che l’Africa ha più bisogno oggi per decollare.
Per il consacrato
africano, questa fraternità e solidarietà in comunità trovano il loro
fondamento nella loro cultura africana. In effetti “le culture africane
possiedono un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria… la vita
comunitaria nelle società africane è un’espressione della famiglia allargata”.
Ecco perché Giovanni
Paolo II dice che “è con un ardente desiderio che io prego e chiedo delle
preghiere affinché l’Africa custodisca sempre questa preziosa eredità culturale
e affinché essa non soccomba mai alla tentazione dell’individualismo, così
estraneo alle sue migliori tradizioni”.
Prima di consacrarsi
a Dio, è opportuno sentirsi prima di tutto un autentico africano e di esserlo
realmente per poter avere una base solida per accogliere i valori evangelici;
vale a dire essere iniziati ai veri valori africani, viverli ed essere fieri
della propri identità culturale, poiché è su questa natura solida che la grazia
della chiamata deve essere posata. Autentico africano è colui che ha ricevuto
una formazione culturale in seno a una famiglia, una formazione ai suoi modi di
apprendimento visuale, l’integrazione famigliare e propria del villaggio per
sentirsi membro di una grande famiglia e infine aver ricevuto l’iniziazione
culturale.
La conoscenza dei
veri valori culturali africani è lo sforzo di formarsi a essere un autentico
africano poiché sono i valori culturali che devono permettere al consacrato
africano di offrire alla Chiesa e alla società una vita di qualità nelle sue
espressioni In effetti, l’africano autentico si distingue per il suo profondo
senso religioso, il suo senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio
creatore e di un mondo spirituale, il senso di solidarietà, il suo amore alla
famiglia, la sua integrazione al gruppo, la sua devozione verso la famiglia di
appartenenza, ecc.
L’esortazione
apostolica Ecclesia in Africa afferma che è africano autentico colui che ha la
coscienza della realtà del peccato nelle sue forme individuai e sociali; è
colui che ha un profondo senso della famiglia, dell’amore e del rispetto della
vita. Questi valori permettono al consacrato africano di sentirsi radicato
nella propria cultura per glorificare Dio con la sua sensibilità e il suo
proprio genio.
Il consacrato
africano deve prendere coscienza che non vivrà una vita consacrata autentica se
questa non è radicata nel Vangelo e nella cultura africana, poiché la cultura è
il modo caratteristico di un individuo o di un gruppo di comportarsi, di
pensare, di giudicare, di percepirsi, di essere in relazione con gli altri, di
comunicare, di lavorare e celebrare. Ciò che si costata oggi in certi
consacrati africani è l’assenza di uno di questi due radicamenti, evangelico o
culturale.
Sentirsi
autenticamente africani vuol dire anche saper inserirsi nel proprio ambiente
africano per trasformarlo dal di dentro. Vivere l’inserimento per essere con
gli altri, senza essere come gli altri, per lottare per la loro causa in nome
di Gesù che vuole trasformare ogni uomo in figlio di Dio.
Il contributo del
consacrato africano all’identificazione di una nuova e autentica società
africana per il domani comporta la presa di coscienza di questa identità
culturale e la fierezza di viverla.
Non si può
impegnarsi oggi nella trasformazione dell’Africa senza tener conto della
situazione concreta che attraversa questo continente. In effetti, “come
potrebbe uno non prendere in considerazione la storia piena di sofferenze di
una terra in cui numerose nazioni sono ancora alle prese con la fame, la
guerra, le tensioni razziali e tribali, l’instabilità politica e la violazione
dei diritti dell’uomo?”. E tutti gli altri problemi che ritardano la
trasformazione dell’Africa “come la povertà crescente, l’urbanizzazione, il
debito internazionale, il commercio delle armi, il problema dei rifugiati e dei
profughi, i problemi demografici e le minacce che pesano sulla famiglia,
l’emancipazione delle donne, la diffusione dell’Aids, il sopravvivere in alcuni
luoghi della pratica della schiavitù, l’etnocentrismo e le opposizioni
tribali?”.
Tutto ciò ci porta a
dire che la trasformazione dell’Africa che richiede oggi la collaborazione del
consacrato africano non potrà realizzarsi se non sarà fondata su un triplice
impegno:
– vivere la fedeltà
creativa. Rimanere fedeli a Cristo e al carisma della propria famiglia
religiosa, ma saper integrare questa forma di vita negli ambienti africani in
modo che sia attraente per quanti/e ci vedono viverla, creando delle strutture
di liberazione dell’uomo, come hanno fatto i monaci per la costruzione
dell’Europa;
– saper analizzare e
criticare le situazioni africane a partire dal Vangelo e dai suoi valori ed
essere capaci di proporre delle soluzioni costruttive per il bene di tutti;
– introdurre in
Africa i veri valori di un mondo giusto e fraterno in cui non ci sia
distinzione di razza, tribù, regioni e paese, ecc., poiché tutti sono figli e
figlie di uno stesso Dio, chiamati a costruire un mondo dove sia bello vivere.
In conclusione,
vivere pienamente e fedelmente la consacrazione a Dio fa sì che la persona
consacrata sia nella società, non per identificarsi con essa, ma per
trasformarla in regno di Dio sulla terra, per combattere le ingiustizie,
l’odio, le divisioni e tutti i mali che distruggono l’immagine di Dio
nell’uomo. Il consacrato, vivendo nella società, non potrà rimanere
indifferente ai problemi che conducono alla sua rovina, ma prenderà parte alla
sua trasformazione dal di dentro.
Si può affermare che
la vita consacrata costituisce un’opportunità per la società africana e la
Chiesa africana? Perché questo sia vero, i consacrati africani dovranno essere
uomini e donne che, pieni dello Spirito di Dio, con la loro testimonianza di
vita e le loro azioni concrete sappiano trasmettere il gusto di vivere alla
società africana oppressa da mali di ogni sorta che la rodono da tutte le
parti.
I consacrati
africani del terzo millennio devono diventare persone che sono “con la loro
vita segni di una totale disponibilità a Dio, alla Chiesa, ai fratelli…; la
loro testimonianza può divenire un appello al mondo e alla Chiesa stessa”.
In effetti, in
questo nuovo millennio, l’Africa chiede alla vita consacrata di suscitare tra i
suoi figli e le sue figlie africani di Bernardo, Benedetto, Domenico, Teresa,
Caterina, Francesco d’Assisi degli africani che siano capaci di introdurre con
creatività e coraggio i valori evangelici nella società e purificare i valori
africani alla luce del vangelo. Il contributo offerto dai monaci nella
costruzione e il successivo sviluppo dell’Europa devono grandemente ispirare i
consacrati africani allo scopo di introdurre, in nome della fedeltà al Vangelo
la parola d’ordine monastica Ora et labora per ridare all’uomo africano tutta
la sua dignità e condurlo a Dio. In effetti, la vita consacrata, soprattutto
nei periodi difficili, è una benedizione per la vita umana, per la società e
per la vita stessa della Chiesa.
Alfredo
Maria Oburu, cmf
1 Questo articolo è
stato pubblicato sulla rivista Claretianum dell’Istituto teologico di vita
consacrata di Roma, vol XLIII, 2003. È intitolato La vie consacrée en Afrique
et ses perspectives d’avenir, a firma di A. M. Oburu, religioso claretiano,
licenziato in teologia della vita consacrata, presso il Claretianum; è stato a
lungo rettore e maestro di formazione a Kinshasa (Repubblica democratica del
Congo) e a Yaoundé (Camerun). Recentemente è stato nominato vescovo in Guinea
equatoriale.