IL SERVO
TRASFIGURATO
Al suo morire si fa buio su tutta la terra. Ma la notte
diviene chiara come il giorno. E il giusto risorto ci ridona per sempre_lo
statuto di suoi fratelli e sorelle.
“La sua tomba è con
il ricco”. Il corpo di un suppliziato non poteva essere sepolto nella tomba di
famiglia, perché l’avrebbe contaminata. Doveva perciò essere gettato nella
fossa comune. Per Gesù non è stato così. Come preannunciato da Isaia, il corpo
di Gesù viene deposto nella tomba di un ricco:”e la sua tomba è con il ricco”
(Is 53,9).
Matteo ha cura di
precisare che Giuseppe d’Arimatea era
“un uomo ricco” (Mt
27,57) e che la tomba era scavata nella roccia. Non era certo in tombe del
genere che veniva onorato il corpo dei miserabili. Matteo precisa ancora che la
tomba che Giuseppe si era fatta scavare nella roccia era nuova (Mt 27,60) e
Luca aggiunge che era una tomba “nella quale nessuno era stato ancora deposto”
(Lc 23,53). Come si confà al re, che deve essere il primo in tutto; del resto
era su una cavalcatura “sulla quale nessuno era mai salito” che Gesù era
entrato in corteo nella città del grande re (Lc 19,30;_Mc 11,2). Così, ancora
prima della sua risurrezione, Gesù “spartisce il bottino con i potenti” (Is
53,12): un modo tradizionale di dire che ha riportato vittoria.
Secondo Matteo, la
vittoria sulla morte trionfa appena Gesù ha reso l’anima a Dio. “...la terra fu
scossa, le rocce furono spezzate, i sepolcri furono aperti e molti corpi di
santi morti risuscitarono” (Mt 27,51-52). Il che fa intuire tutta la grandezza
della salvezza e della guarigione recata dal Servo: avendo attraversato la
morte, è da essa che questi libera i figli di Adamo.
Già durante l’agonia
di Gesù sulla croce, il cielo si era manifestato: “Da mezzogiorno fino alle tre
del pomeriggio si fece buio su tutta la terra” (Mt 27,45).
E in risposta al
grande grido del suppliziato che pregava il salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato?”, Dio aveva replicato squarciando in due il velo del tempio
da cima a fondo (Mt 27,51). Del resto “il centurione e quelli che con lui
facevano la guardia a Gesù” non si lasciano trarre in inganno: “Sentito il
terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano:
“Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54).
L’ufficiale romano e
i suoi uomini sono così i primi, tra la moltitudine delle nazioni pagane, a
realizzare la profezia di Isaia: “Come molti si stupirono di lui – tanto
sfigurata era la sua apparenza nei riguardi di un uomo, e il suo aspetto nei
riguardi dei figli dell’uomo –
così si
meraviglieranno di lui molte genti” (Is 52,14).
Occorre cogliere
tutta la dimensione della confessione dei soldati romani, prestando la più
grande attenzione al momento preciso in cui essa viene espressa.
Non è davanti al
Cristo risorto apparso nella sua gloria che essi sono presi da grande timore e
che riconoscono la sua filiazione divina. Gesù è appena spirato, è ancora
inchiodato alla croce, sfigurato dalla morte.
Lo stesso si dica
per gli uomini che prendono la parola
nella maggior parte
del quarto canto del Servo. È lo spettacolo stesso delle sofferenze e della
morte del giusto che comunica loro nel contempo la rivelazione del loro peccato
(Is 53,4-7b) e dell’azione misteriosa di questo Dio la cui “volontà per mezzo
suo riuscirà” (Is_53,10). Secondo Luca, il centurione dichiara: “Veramente,
quest’uomo era giusto!” (Lc 23,47) e aggiunge che “tutte le folle che erano
accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornarono
percuotendosi il petto” (Lc 23,48). È la contemplazione della morte del giusto
che consente alle folle di prendere coscienza della propria ingiustizia.
La terra tremerà di
nuovo, “appena finito il sabato, all’inizio del primo giorno della settimana”,
nell’istante della risurrezione di Gesù (Mt 28,1-2). Le guardie romane, poste a
custodia del sepolcro, ne resteranno tramortite.
Le donne riceveranno
il messaggio dell’angelo che era sceso dal cielo per rotolare davanti ai loro
occhi la pietra del sepolcro. Mentre corrono per adempiere alla loro missione
presso i discepoli, Gesù appare loro. A prima vista, sembra che egli non dica
loro nulla di nuovo. Eppure un orecchio attento capta una novità radicale,
inaudita: “Andate ad annunziare ai miei fratelli...” (Mt 28,10). Al centro
della sequenza della risurrezione, la parola chiave – che cambia tutto – è
pronunciata; qui sta l’illuminazione portata dal Servo, la conoscenza che
salva. Chiamando i discepoli “suoi fratelli” Gesù rivela che il perdono è ad
essi concesso, la filiazione divina viene loro restituita. Il Servo, i servi
sono ormai scomparsi. Per sempre. Restano soltanto dei fratelli. Abele ha
riscattato Caino.
Roland
Meynet
da Morto e risorto
secondo le Scritture, EDB 2003