LA FORMAZIONE NELLA
VITA MONASTICA
TRA RISCHI E
OPPORTUNITÀ
La situazione attuale è estremamente critica non solo per i tanti problemi
istituzionali e vocazionali. Vi è una crisi formativa e di testimonianza che va
riconosciuta. È un rischio, ma anche una feconda opportunità.
Nell’esortazione
apostolica post-sinodale Vita consecrata c’è un’insistenza tutta particolare
sul tema della formazione. Il documento attira l’attenzione sull’esigenza che
questa sia inserita e attuata tenendo presente l’attuale situazione storica e
culturale e di conseguenza i cambiamenti avvenuti nel mondo d’oggi.
In effetti “la vita
consacrata ha il compito profetico di ricordare e servire il disegno di Dio
sugli uomini, come è annunziato dalla Scrittura e come emerge anche
dall’attenta lettura dei segni dell’azione provvidente di Dio nella storia”. Ma
per “compiere opportunamente questo servizio le persone consacrate devono avere
una profonda esperienza di Dio e prendere coscienza delle sfide del proprio
tempo, cogliendone il senso teologico profondo mediante il discernimento
operato con l’aiuto dello Spirito”. E questo perché “negli avvenimenti storici
si cela spesso l’appello di Dio a operare secondo i suoi piani con un
inserimento attivo e fecondo nelle vicende del nostro tempo… È necessario
pertanto, aprire l’animo agli interiori suggerimenti dello Spirito che invita a
cogliere in profondità i disegni della provvidenza. Egli chiama la vita
consacrata a elaborare nuove risposte per i nuovi problemi del mondo d’oggi”.
Il documento sottolinea: “Sono sollecitazioni divine che solo anime abituate a
cercare in tutto la volontà di Dio sanno raccogliere fedelmente e poi tradurre
coraggiosamente in scelte coerenti sia col carisma originario che con le
esigenze della situazione concreta” (73).
Questa insistenza
assume un rilievo tutto particolare in ordine all’impegno dei consacrati nella
nuova evangelizzazione, che, come scrive ancora il documento “esige da
consacrati e consacrate piena consapevolezza del senso teologico delle sfide
del nostro tempo. Queste sfide vanno esaminate con attento e corale
discernimento, in vista del rinnovamento della missione” (81).
UNA SITUAZIONE
DI PROFONDA CRISI
Ci si può ora
chiedere quale impatto hanno avuto o dovrebbero avere questi principi sulla
formazione nella vita monastica. A chiederselo è Stefano M. Pasini, osb, in una
riflessione apparsa su Commentarium pro religiosis et missionariis dedicata
appunto a questo problema.1 Il suo non è un interrogativo puramente accademico.
Piuttosto, “il problema della formazione deve essere affrontato tenendo
presente la gravità della crisi che attraversa il monachesimo almeno nell’area
culturale occidentale, come anche soltanto un rapido sguardo alla situazione
dei singoli monasteri delle congregazioni monastiche italiane dovrebbe
immediatamente mostrare, ponendo davanti alla prospettiva tutt’altro che
irrealistica della possibile estinzione della vita monastica”. La situazione
attuale, a suo parere, “è estremamente critica: non semplicemente problematica,
bensì essenzialmente critica; non vi sono soltanto tanti problemi sotto il
profilo istituzionale e sotto il profilo vocazionale, sul piano della
formazione e sul piano della testimonianza; vi è una vera e propria crisi che
chiede di essere riconosciuta come tale, nella sua natura e nel suo valore”.
Questo riconoscimento, sottolinea, “costituisce sempre un rischio inevitabile
ma anche, nello stesso tempo, una feconda opportunità”.
Ma in che cosa
consiste effettivamente questa crisi? Consiste “nell’assenza di una prospettiva
che sappia illuminare e orientare il compito del monachesimo nell’attuale
situazione storica e culturale, in un’epoca che – come spesso si ripete –
sembra essere contraddistinta da una preoccupante e crescente confusione”. Dom
Pasini è consapevole che questa osservazione “potrebbe anche causare una certa
irritazione”. Ciò nonostante, scrive, “non ci si può esimere, neppure per uno
studiato calcolo diplomatico (al quale del resto così spesso si viene
richiamati!) dall’affermare che il compito attuale del monachesimo può
esprimersi soltanto nel senso di una riforma alla quale il concilio Vaticano II
stesso ha esortato tutti gli istituti religiosi, ma che il monachesimo non
sembra aver intrapreso con quella determinazione necessaria che senza limitarsi
ad alcuni appariscenti quanto insignificanti cambiamenti, sappia riconoscere i
segni dei tempi e comportarsi di conseguenza con coerenza”.
Non si tratta di un
fatto irrilevante dal momento che riguarda il compito fondamentale a cui è
chiamata oggi la vita monastica se vuole rispondere a quel ruolo profetico che
le compete e farlo in maniera significativa. Infatti, “ciò di cui l’epoca
contemporanea sembra proprio avere bisogno corrisponde a ciò che costituisce il
fondamento stesso dell’esperienza monastica, a ciò di cui l’esperienza
monastica dovrebbe veramente vivere”.
FORMAZIONE
UMANA
In una prospettiva
del genere acquista un ruolo determinante la formazione, soprattutto quella
umana, anzi, sottolinea dom Pasini, “integralmente umana”, tale da “restituire
l’uomo a se stesso” e da affrontare “nella prospettiva di una concezione
autenticamente cristiana dell’umana esistenza”.
Due sono gli aspetti
fondamentali su cui attira l’attenzione: il rapporto nella vita monastica tra
contemplazione e azione e tra lo spazio e il tempo.
A proposito del
primo binomio – proprio perché l’uomo non può non essere considerato nella sua
unità e totalità – occorre, scrive dom Pasini, “chiarire l’equivoco celato
dalla diffusa distinzione tra contemplazione e azione: distinzione che non è
priva di una certa efficacia, a condizione che non si dimentichi che si tratta
pur sempre di due dimensioni strettamente legate fra loro, con un importante
risvolto sia teologico sia antropologico”. È indispensabile trovare la giusta
armonia fra le due realtà: “chi vuole più azione ha bisogno di migliore
contemplazione; chi vuole formare di più deve ascoltare e pregare più
profondamente; chi vuole raggiungere più scopo deve comprendere l’assenza di
scopi e l’inutilità, il vivere senza rendita, perché questa è quel disinteresse
e quell’incalcolabilità che è propria dell’eterno amore di Cristo, e
nell’imitazione di Cristo, anche di ogni amore cristiano”.2
In effetti, rileva
dom Pasini, “la contemplazione come anticipazione della visione beatifica
attiene all’interiorità ed esprime l’amore di Dio. L’azione come anticipazione
della lode perenne concerne l’esteriorità ed esprime l’amore del prossimo”.
La distinzione, che
a volte ancora si sente, tra vita contemplativa e vita attiva (o apostolica) e
la qualificazione del monachesimo come “vita contemplativa” rivelano tutta la
loro inadeguatezza se si considera che alle origini della vita monastica vi era
l’ideale dell’imitazione della vita apostolica nella comunità gerosolimitana
descritta dagli Atti degli Apostoli… I monaci non volevano affatto essere dei
“contemplativi” in contrapposizione al “cristiano attivo nel mondo”; volevano
realizzare nella sua purezza la sintesi originariamente cristiana e porla di
nuovo davanti agli occhi della Chiesa che si andava mondanizzando”.
L’osservazione è di Hans Urs von Balthasar.
In questa
prospettiva, la formazione, prosegue dom Pasini “è formazione per l’interiorità
mediante il raccoglimento (contro la dispersione) dell’esteriorità che conduce
(attraverso l’unificazione dell’uomo interiore) alla verità, al cuore
dell’esistenza dell’uomo; la formazione è propriamente “educazione all’amore”,
considerando la relazione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo nel
rapporto tra interiorità ed esteriorità”.
L’altra dimensione
formativa è quella dello spazio e del tempo. A questo riguardo bisognerà tenere
presente il mutamento che è avvenuto nella percezione dello spazio e del tempo,
“ciò che costituisce il punto veramente decisivo della formazione nell’epoca
contemporanea, che non può in alcun modo essere sottovalutato soprattutto in
relazione alla formazione dei giovani tenendo presente che l’esperienza
monastica è essenzialmente una esperienza di carattere non soltanto spaziale
(fuga dal mondo), ma anche temporale (fuga dal secolo)”.
Ora, osserva dom
Pasini, l’iniziativa monastica è di essenza temporale: farsi monaco è “lasciare
il secolo”. Ma la “percezione del tempo” non è uniforme in tutte le condizioni
o situazioni umane, essendo “largamente culturale”; il diritto monastico è orientato
a una percezione del tempo che si contrappone alla concezione profana e sotto
certi aspetti anche a quella del laico religioso, anche a quella del sacerdozio
“secolare”. “Il monachesimo è un tempo “altro” rispetto al secolo e tra i mezzi
che il diritto monastico utilizza per indurre la percezione monastica – se si
preferisce, contemplativa – del tempo, saranno soprattutto i voti a fermare la
nostra attenzione; intendo i voti perpetui e non i voti a breve termine, i voti
sperimentali sempre più diffusi tra i nostri fragili contemporanei”.
STRUMENTI
DELLA FORMAZIONE
“La formazione è
dunque educazione ed espressione della forma, cioè della vocazione di ogni
uomo: “formare” significa aiutare a trovare “la via verso se stessi”. Diventano
allora essenziali le varie fasi attraverso cui si articola questa formazione.
Quella iniziale che
costituisce lo scopo del noviziato e racchiude tutto ciò che in seguito dovrà
essere approfondito e assimilato nelle successive fasi della formazione
monastica. Secondo quanto scrive il Codice di diritto canonico, “il noviziato
con il quale si inizia la vita nell’istituto è ordinato a far sì che i novizi
possano prendere meglio conoscenza della vocazione divina, quale è propria
dell’istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo
il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e le loro
idoneità” (can. 646).
La formazione
progressiva costituisce lo scopo del periodo successivo. Durante questa fase i
membri devono continuare la formazione “perché possano condurre più
integralmente la vita propria dell’istituto e rendersi meglio idonei a
realizzarne la missione”: dovrà essere una formazione sistematica, adeguata
alla ricettività dei membri, spirituale e apostolica, dottrinale e insieme
pratica (can. 659).
Infine, la
formazione permanente che costituisce lo scopo di tutta la vita di coloro che
si impegnano definitivamente con la professione solenne al fine di approfondire
sempre più il senso della loro personale vocazione e del loro proprio compito
secondo il dono di Dio” (cf. can. 661).
Uno degli aspetti
che il magistero della Chiesa invita a considerare è oggi l’allungamento dei
tempi della formazione, ma, sottolinea dom Pasini, non sembra sia stato
adeguatamente valutato il fenomeno della “adolescenza prolungata”. Ciò implica
sempre la possibilità di comprendere, di sé e della propria vita, qualcosa di
decisivo, di fondamentale anche dopo aver preso una decisione di per sé
formalmente definitiva.
Un ulteriore fattore
da considerare è che la maturità della persona non dovrebbe essere intesa in
senso oggettivo, ossia con un riferimento astratto a un modello, ma soggettivo,
con una concreta attenzione alla persona. Può così accadere che il soggetto
““maturo” in un determinato momento e in relazione a una determinata decisione
non possa essere più considerato come tale in seguito, emergendo in lui e di
lui ciò che prima non sapeva né poteva sapere, ma che ne modifica profondamente
l’autocoscienza”. È questa la ragione per cui “la definitività di una decisione
non significa la sua immodificabilità, che la irrevocabilità di una decisione
non significa la sua irreformabilità”.
Altrettanto
importante è tenere presente la diversità che esiste tra formazione e
istruzione: la formazione è educazione ed espressione della forma attraverso la
comunicazione di parole che sono veramente “carne”, cioè “corpo e sangue”,
“spirito e vita”, “parole di vita eterna”; l’istruzione invece è trasmissione
di nozioni e concetti, di criteri e giudizi, prospettive e orientamenti;
anch’essa concorre all’educazione ma senza esaurirne il contenuto. La meta a
cui tendere è offrire una formazione che miri a realizzare l’unificazione della
persona, affinché questa sia realmente se stessa.
Aspetti da
approfondire sono come giungere a collegare le ricchezze della tradizione con
le esigenze del rinnovamento; così pure lo stretto legame che esiste tra la
dimensione umana e la prospettiva monastica dell’esperienza in cui la seconda
illumina la prima rendendo così l’esistenza dell’uomo una esistenza
propriamente cristiana, vissuta in Cristo, e quindi veramente umana, pienamente
umana, totalmente umana.
Scendendo più al
concreto, il padre cita vari altri problemi bisognosi di approfondimento: il
tema della fuga mundi (o del contemptus mundi), il noto assioma ora et labora
che “pur se generalmente considerato come l’espressione tipica della vita
benedettina, non riflette totalmente il contenuto dell’esperienza monastica”;
in questa prospettiva va considerato anche il significato dell’Opus Dei come
compito precipuo del monaco “al quale si ricollega la questione del pluralismo
delle spiritualità, con l’ulteriore duplice risvolto della direzione spirituale
del monaco e dell’appartenenza del monaco ai movimenti ecclesiali”. Inoltre il
tema del labor manuum, in un’epoca in cui prevale sempre più il lavoro
intellettuale nelle sue molteplici forme; così pure quello della stabilitas, al
quale si ricollega la previsione di periodi di formazione all’estero. Da
affrontare è anche il problema della cosiddetta taciturnitas, in un’epoca in
cui l’importanza della parola, del linguaggio e del dialogo nella vita
dell’uomo è sempre più accentuata anche dalla grande diffusione dei mezzi di
comunicazione sociale e dei mezzi informatici.
L’integrazione delle
esperienze, sottolinea il padre, deve fondarsi su una adeguata comprensione
della conversatio morum nella prospettiva dei consigli evangelici (e dei voti e
delle virtù corrispondenti) dell’obbedienza, della povertà e della castità,
variamenti connessi agli aspetti fondamentali dell’esistenza umana: libertà,
verità, amore.
Dopo tutte queste
considerazioni, che qui abbiamo solo in parte raccolto, dom Pasini conclude con
un’osservazione molto importante che è come il succo dell’intero discorso:
“Forse occorre avere anche il coraggio di ripensare la vita monastica in tutte
le sue dimensioni, cioè, propriamente come esperienza, tenendo conto del
radicale cambiamento culturale, e di elaborare una nuova sintesi tra elementi
che nella loro completezza sembrano difficilmente componibili. In questo
contesto la regola di san Benedetto costituisce non un modello che sovrasta, al
quale doversi adeguare, ma un ideale che sospinge, dal quale lasciarsi guidare,
deve essere compresa come un ideale in grado di trasfigurare il monaco
rendendolo capace di vivere pienamente la propria esistenza in tutti i suoi
aspetti, in tutte le sue dimensioni, considerate così come esse lo sono
nell’epoca contemporanea: la formazione deve operare proprio questa
trasfigurazione dell’uomo e del mondo”.
A.D.
1_Afflati et
exhilarati. Il problema della formazione umana nell’epoca contemporanea
considerato nella prospettiva dell’esperienza monastica, vol LXXXIII, fasc. III-IV, 2002,
pp.171-189.
2_HANS URS VON
BALTHASAR, in Il filo di Arianna attraverso la mia opera.