NUOVE FORME DI VITA
CONSACRATA
ORIZZONTI DI
SPERANZA
Il punto fragile della vita religiosa oggi è non vedere il segnale debole
nascosto tra mille segnali forti, non individuare il dato importante, garanzia
di futuro. Ma il nuovo non si presenta mai con clamore, è un granello piccolo,
una increspatura, un niente.
Le considerazioni
qui espresse partono da un dato di fatto: la vita religiosa nata per rispondere
a delle sfide, ora si trova a dover sfidare se stessa, finora con esiti non
confortanti.
C’è chi trova
esagerata questa visione appellandosi al fatto che le vocazioni provenienti da
altre fronti, per lo più di missione, colmerebbero il deficit europeo. Ma i
dati ufficiali dicono che il numero complessivo dei religiosi/religiose (nel
mondo) negli anni dal 1978 al 2000 è sceso del 18%, da 1.225.056 a 995.639.1
Eppure il vincolo
della fraternità evangelica, oggi non meno di ieri, è in grado di coagulare –
tra loro – le persone ai fini di un progetto di discepolato. Lo si desume dal
fatto che le persone appartenenti a nuove forme di vita evangelica sono in
aumento, dunque in controtendenza al fenomeno riguardante la vita religiosa.
Il papa parla di
“nuovi orizzonti di speranza”: questo è un invito a riporre la speranza che è
nei nuovi orizzonti.
Certamente stiamo
vivendo una stagione ricca di opportunità e di stimoli per religiosi e laici;
il rischio è di non saperli cogliere: “Quando vedete una nuvola salire da
ponente, subito dite: viene la pioggia e così accade… sapete giudicare
l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete
giudicarlo?” (Lc 12,54-56). Il punto debole della vita religiosa oggi è quello
di non saper vedere il segnale debole nascosto tra mille segnali forti, di non
individuare il dato importante garanzia di futuro. Questo richiede intuizione,
sensibilità: il nuovo non si presenta mai con la grancassa, è un granello
piccolo, una increspatura, un niente.
DOVE STA
LA DIFFERENZA?
La domanda
ricorrente è: cos’è che fa la differenza tra le nuove forme di vita evangelica
e la vita religiosa?
Le coordinate entro
cui si muovono le nuove forme sono diverse da quelle della vita religiosa anche
se i valori sono gli stessi, ma espressi più intuitivamente e creativamente,
ricchi di acquisizioni dell’oggi che se ben considerate non sono contrarie ma
in linea con le esigenze evangeliche.
In sintesi enucleo
alcune di queste diversità che caratterizzano il nuovo:
– la vita di
comunità viene intesa prevalentemente come vita fraterna piuttosto che come
vita in comune, dando spessore al convenire (conventus) piuttosto che alla
residenzialità di tipo totalizzante, con relazioni conseguenti al fatto di
essere ”conosciuti” e “riconosciuti e dunque avulse da stereotipi formali;
– l’associarsi non è
in funzione della gestione delle opere ma della possibilità che viene data ai
singoli di far fruttificare i carismi ricevuti dallo Spirito secondo la mistica
del fermento sparso, di lievito, di segno;
– viene evidenziata
l’identità carismatica piuttosto che l’identità istituzionale;
– non predilige
sistemi organizzativi complessi, inevitabilmente caratterizzati da spinte
spersonalizzanti e che creano dipendenza: fraternità e “compagnia” più che
regimentazione. Di conseguenza la configurazione giuridica è meno
gerarchico-istituzionale e più sacramentale; meno verticistica e più
“collegiale” con conseguente corresponsabilità allargata a tutti in prima
persona, “traduzione concreta dei principi di partecipazione, di comunione, di
solidarietà”;2
– adotta forme
comunitarie che diano risposta al desiderio di autenticità, di realizzazione,
in fedeltà anche a se stessi cioè alla propria verità e al nome scritto da Dio
in ognuno;
– l’esperienza è
vista buona in sé per l’oggi delle persone che l’hanno fondata o fatta propria,
consapevoli che nella logica della parabola umana ogni organismo cresce,
invecchia e muore, soddisfatti, in ogni caso, dell’aver generato tracce di cui
altri si serviranno per nuove inculturazioni;
– la preferenza è
data al cammino di fede piuttosto che alla routine della osservanza; alla
santità della vita più che alla sacralità dello status;
– la configurazione
giuridica più diffusa è di “associazione privata di fedeli” e quindi con
orizzonti prevalentemente diocesani, conseguenti alla riscoperta della
centralità della chiesa locale;3
– le norme
costitutive dell’associazione sono definite secondo il principio dello sviluppo
con possibilità per gli associati di non essere solo consumatori ma “facitori”
del carisma;
– c’è attenzione
“alla centralità assunta dal concetto di libertà, in particolar modo nel suo
carattere individuale. Oggi il grande tribunale di ogni proposta appare
essenzialmente la libertà con i suoi desideri e le sue aspettative” ;
– la scelta di
appartenenza non proviene in ultima analisi da argomentazioni teologiche ma
piuttosto da esperienze concrete;3
– lo scopo è di
rispondere alla domanda di cristianità, investendo sul kerygma anziché sulla
conservazione della religiosità;
– l’orizzonte è la
contemporaneità piuttosto che la storia con relative storicizzazioni;
– la ricerca di
profezia non è sbilanciata verso realtà troppo lontane (funzione escatologica)
ma è intesa come “presenza che interpella in ordine a qualcosa di importante
che manca in rapporto alla costruzione del Regno”.4
Queste sono alcune
delle prospettive delle nuove forme di vita consacrata che nascono come
proposte alternative e nello stesso tempo concrete, indicatrici di orientamento
per uscire dai modelli preesistenti fortemente in crisi.
PRINCIPI
ORIENTATIVI
Dopo questa
carrellata, tornando alla vita religiosa, è opportuno rilevare che quando si
dice che il nuovo è nato in contrapposizione alla vita religiosa, non si dice
alla vita religiosa in sé ma ad alcune irreformabili concretizzazioni storiche;
ecco perché si parla di rifondazione e non di rinnovamento. Certamente i valori
di questa hanno nuove possibilità espressive ma devono trovare posto nell’oggi,
con le forme che in esso si colgono. Una vita consacrata radicata nelle sfide,
forte unicamente del Vangelo ritrovato.
Contemporaneità,
dunque, con l’occhio attento al futuro: quando non si esplora più l’orizzonte
ma ci si accontenta del presente, avviene come in un organismo che smette di
essere vigile, attento: si impigrisce, non reagisce. Succede ai partiti
politici, alle imprese sociali, alle associazioni: dopo una fase di espansione
subentra il ristagno e la decadenza. Vengono lasciate cadere le sfide, la visione
strategica è sostituita dalla tattica, al posto dell’innovazione subentra la
routine. Allora anche la creatività degli individui si spegne e viene
inghiottita dalla mediocrità. C’è una legge ineludibile: nessuno può restare se
stesso senza evolversi, nessuno può conservare il sapere senza imparare
continuamente, nessuno può ripetere senza inventare.5
Per costruire un
discorso con più ampi spazi di attuazione nella realtà del futuro, la vita
religiosa ha bisogno di principi orientativi che la portino a non essere
esclusa dai circuiti della vita. Uno di questi principi è quello della
autenticità. Il nostro tempo conosce un passaggio dalla centralità della verità
alla centralità della autenticità: è il vitale, è l’esperienziale, è
l’originale a imporsi come dato importante e decisivo. In altre parole è la
“mia“ vita l’orizzonte su cui le persone misurano la propria organizzazione di
esistenza, le proprie scelte e le proprie progettualità.
Un altro principio è
quello del pluralismo. Qui subito si affaccia la domanda: è possibile stante la
situazione in cui ci troviamo? La questione non è numerica ma di mentalità:
“noi siamo segnati da un modello di vita consacrata poco permeabile al
pluralismo e pertanto non abbiamo sviluppato meccanismi che lo possano sostenere
anche teologicamente”. Veniamo da un tempo in cui il religioso era formato a
“fare bene” quanto l’istituto da sempre proponeva. Il configurarsi e
l’uniformarsi era la norma. La vita religiosa aveva unicamente la funzione di
cambiare le persone e non quella che le persone potessero cambiare la vita
religiosa.
Pluralismo dice
molteplicità, non significa confusione. “È sorprendente che la Bibbia ci parli
costantemente di un Dio che benedice il “molteplice” nell’uomo, fin da quando
lo creò maschio e femmina. Benedice la molteplicità delle famiglie della terra,
la molteplicità delle nazioni e delle culture, senza dimenticare la
molteplicità genetica che non è mai univoca, né per il colore della pelle, né
per i tratti biologici anche se è sempre uno nella sua umanità”.6 Ora la sfida
consiste nel ritrovare un’unità che non sia monolitica, un’unità povera, ma
un’unità di integrazione. Per la vita religiosa vale il discorso che si sta
facendo per l’ecumenismo: l’unità non è unicità ma, come dice Congar, una comunione
in cui l’unità è il prodotto di una diversità riconciliata. Non è possibile
pensare che le religioni, per la loro diversità, siano unicamente sotto il
segno del peccato dell’uomo, possono essere anche espressione del loro tendere
verso qualcosa di più grande, verso l’alterità.7 L’unità ecumenica è più ricca
di quella già acquisita dalla Chiesa cattolica: è il concetto di unità
diversificata.8 Questo stesso modo di pensare vale, a fortiori, per le
diversità all’interno di uno stesso istituto.
Il termine
pluralismo chiama in causa il problema del controllo di situazioni plurime e
non omogenee vale a dire della complessità. Questa rende problematiche le
metodologie di governo ispirate a un ideale di univocità e di semplicità.
Complessità significa irriducibilità ad un unico criterio valutativo e pratico,
per la compresenza di un’ ampia pluralità di punti di vista e di prospettive. I
modelli conformisti finora in uso non reggono più; vale a dire che il carisma
impiantato fuori del luogo di origine non accetterà di essere un sottosistema
del primo. In altri termini sarà difficile che il latino-americano, l’asiatico,
ecc. accettino il discernimento (conoscitivo e di indirizzo) europeo e
viceversa; e questo avverrà non solo tra nazioni diverse ma tra province diverse
e comunità diverse.
Un altro principio
orientatore è la flessibilità. Cosa ardua per una istituzione in cui la maggior
parte dei soggetti è socializzata ad una realtà stabilizzata. L’attuale
inflessibilità è dovuta oltre che all’età, ad un tipo di formazione
monoculturale. Il concetto di flessibilità non è un prodotto del pensiero
debole ma è una logica che fa parte di un mondo in rapida evoluzione e sarà un
elemento costituente il tipo di personalità del futuro. La mancanza di
flessibilità nelle scelte di una provincia fanno sì che molti religiosi prima o
poi siano indotti a delle logiche di adattamento che rendono passiva
l’appartenenza alla istituzione.
Inoltre, dallo
sguardo sulle peculiarità delle nuove forme di vita consacrata, precedentemente
evidenziate, emerge che il bisogno di aggregarsi è suggerito anche da criteri
che non prescindano da taluni valori fondamentali per l’uomo d’oggi. Ad esempio
c’è presa di distanza da ciò che aliena dall’umano autentico. Oggi non si può
parlare di salvezza in termini cristiani senza avere davanti agli occhi la
salvezza di tutto l’uomo, non solo per la vita eterna ma anche per il
ben-essere quaggiù in coerenza con la sua vocazione umana come immagine di Dio.
Solo un accenno a un
altro pricipio che orienterà in futuro i religiosi: la rinuncia all’
autoreferenzialità. È una istanza fatta propria dall’assemblea dei superiori
generali.9 Oggi si va verso la complementarietà dei carismi, non solo di quelli
degli Istituti di vita consacrata ma anche dei movimenti: “tutto deve essere
fatto in comunione e in dialogo con le altre componenti ecclesiali”.10
La vita religiosa
per uscire dal posto marginale che ha, di fatto, nella coscienza collettiva
della Chiesa ha bisogno di nuove tracce di senso per rendere evidente la sua
funzione di “segno”. Ma il segno, per produrre senso, – è quanto si è inteso
dire – ha bisogno di un impatto reale con le domande e la storia dei
contemporanei. Dire questo significa “accettare di andare aldilà della gestione
dello status quo, al di là delle potature che non prevedono nuove e originali
seminagioni, al di là della lettura dei segni della presenza di Dio nella
storia che non sia anche stimolo di scriverne di nuovi”.11
Rino
Cozza csj
1_A. Amato in
Consacrazione e Servizio n. 2002, 41.
2_B. Secondin,
Problemi e prospettive di spiritualità, Queriniana, 393.
3_Vivere secondo lo
spirito – instrumentum laboris dell’assemblea generale CISM, Palermo, novembre
2002.
4_C. Toninello in
Testimoni n. 13 2002 luglio.
5_F. Alberoni,
L’ottimismo, Rizzoli, 143.
6_C. Geffrè,
Professione teologo, San Paolo, 156.
7_Ib. 161.
8_Ib.
9_USG, Roma, 30
novembre 2002.
10_Vita Consecrata,
74.
11_U. Sartorio, Dire
la Vita Consacrata oggi, Ancora, 92.