UNA GUERRA ILLEGITTIMA

MA CEDERE AL PANICO È UN ERRORE

 

Di fronte a questa guerra non bisogna “cadere nel panico”. Sarebbe un grave errore. Piuttosto bisogna continuare a essere instancabilmente artefici di pace. Lo afferma il cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger in una breve intervista apparsa sul quotidiano cattolico francese La Croix (21 marzo 2003) e lo ribadisce nello stesso numero del quotidiano il cardinale Etchegaray.

È stato chiesto a Lustiger se lo scoppio di questa guerra non costituisca un fallimento per tutti coloro che operano a favore della pace. “Certamente no”, ha risposto. Dopo aver detto di aver seguito in preghiera le notizie dell’inizio delle ostilità ha proseguito: “Sono rimasto colpito dal panico che si è diffuso nel mondo con la descrizione dei mezzi di guerra e le distruzioni. Ma in molte altre parti del mondo ci sono attualmente guerre in atto di cui nessuno parla. Sono tutte guerre molto crudeli, devastanti per la pace tra gli esseri umani. Ho pensato a Cristo che diceva: “Ci saranno delle guerre… non abbiate paura”. Ciò fa parte della storia. Non ci troviamo quindi di fronte a un fallimento degli artefici della pace; questi devono continuare a battersi contro tutto ciò che provoca la guerra. Cedere al panico che l’effetto mediatico di questo avvenimento sta suscitando in occidente è un errore; un errore contro la ragione, contro la saggezza, un errore contro la speranza cristiana. Ci sono altre guerre e ci saranno altri conflitti. Bisognerà sempre riconciliare, pregare per la pace, digiunare per la pace e fare in modo che gli uomini abbiano a comprendersi. La paura è sempre una cattiva consigliera”.

Di fronte a questa guerra ambedue i capi politici in causa hanno invocato Dio. Come la mettiamo?

“Sono rimasto molto colpito nell’ascoltare i discorsi dei due capi che invocavano Dio per metterlo al loro fianco. Non è un fatto nuovo nella storia. Ma noi cristiani abbiamo una convinzione forte a questo riguardo. Gli uomini di Dio devono pregare per la pace e fare in modo che la pace si realizzi, poiché la guerra non è che un mezzo, il peggiore, il più estremo di tutti. Dio non vuole la guerra. Dio non vuole che l’uomo uccida. Rimango scandalizzato quando vedo che i conflitti traggono a servizio della loro causa le persone di fede. Per noi cristiani, le religioni non devono essere al servizio della guerra. Le guerre non rendono servizio alle religioni, anche se certe persone delle religioni lo pensano. Qualunque siano le posizioni prese, noi cristiani non ci lasceremo trascinare in una guerra di religione”.

Ormai la guerra è in atto. Quale ne sarà l’esito?

“Quando Gesù commenta il comandamento non uccidere”, dice: “Amate i vostri nemici”. Questo atteggiamento non è pacifista, non è il rifiuto della guerra a tutti i costi. Cristo ci domanda di essere dei pacifici, vale a dire di fare la pace; è molto di più che rifiutare la guerra. Significa precisamente amare, perdonare, riconciliarsi. Il problema della pace, per le settimane, i mesi, gli anni a venire in questo conflitto consisterà nel riconciliare gli uomini che portano nell’animo un cumulo così grande di risentimenti.

Bisognerà che gli uomini e le donne compiano questo lavoro. Bisognerà che i cristiani coinvolti in questo conflitto, qualunque sia stata la loro posizione, siano degli artefici di pace, non perché ne hanno il monopolio, ma perché è Cristo che glielo domanda. Non dobbiamo lasciarci trascinare nei conflitti dei politici e ancor meno nella politica del conflitto…”.

In concreto, quale atteggiamento adottare? “Dobbiamo pregare perché Dio cambi i cuori affinché abbiano a cessare le sofferenze della guerra e aiutare le vittime, ma soprattutto lavorare come promotori di pace e di riconciliazione. La politica è una realtà straordinariamente complessa. L’odio come la guerra, mettono in opposizione i due campi. Ma la realtà non è manichea. Invito i cristiani a continuare a pregare perché venga la pace nei cuori, a digiunare per rinunciare ai mezzi di potenza, affinché tutti sappiano donare più che prendere. Ciò non vuol dire rimanersene in disparte, ma scegliere la vera lotta per la quale siamo fatti: in mezzo ai rumori e alle guerre. Lavorare ed essere promotori di pace. La profezia cristiana del nostro tempo non è la denuncia, ma consiste esattamente nell’assumere questa missione di Cristo promotore della pace che passa attraverso la croce”.

Più volte si è sentito ripetere che il mondo non sarà più come prima. Viviamo in un’epoca storica? “Questo sconvolgimento, ha risposto il cardinale, è già iscritto da lungo tempo nei fatti. L’evoluzione attuale dell’Asia, dell’Africa, della Russia o dell’islam legato ai rapporti di forza specialmente in ragione del petrolio, non è di ieri. Ogni ora è storica, ma chi conosce la fine della storia?”.

Secondo Lustiger è improprio parlare di scontro di civiltà. Chi la pensa così giudica le cose superficialmente, secondo quanto sente dal telegiornale della sera.

Riguardo agli Stati Uniti, dove si è recato di recente, gli è stato chiesto se laggiù esiste una mentalità che gli europei fanno fatica a capire.

“Noi, ha detto, non riusciamo a immaginare che cosa significhi per gli americani l’11 settembre (giorno dell’attentato alle due torri gemelle). Lo schock è stato terribile. Ciò tuttavia non giustifica le decisioni prese dal governo degli Stati Uniti”.

Come allora uscire dalla mediatizzazione del conflitto? “Nella mediatizzazione tutto è ridotto a un’opposizione manichea: o si è pro oppure contro. Il giudizio profetico del cristiano è allora costretto ad allinearsi immediatamente al conflitto politico… Certo i politici devono fare il loro mestiere. Non spetta al papa farlo al loro posto”.

 

Fra i vari pareri, è interessante anche quanto ha dichiarato su questo conflitto il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Consiglio pontificio Justitia et pax, e inviato speciale di Giovanni Paolo II in Iraq dal 10 al 17 febbraio scorso, per tentare una mediazione a favore della pace. In una dichiarazione al citato giornale La Crox (21 marzo) ha detto: “Finora la storia ci parlava di due guerre mondiali. Ma quella appena scoppiata può essere definita anch’essa mondiale poiché la sua deflagrazione scuote realmente il mondo intero, non solo l’Iraq o il vicino oriente. Ma non ne possiamo ancora misurare tutte le conseguenze per la famiglia umana, soprattutto sul piano politico, sociale, culturale e religioso. I mass media stanno compiendo delle prodezze per informarci e tenerci col fiato sospeso. Mi auguro che possano aiutarci a essere ancora degli strateghi della pace e non della guerra. Abbiamo costatato che la pace è più difficile da ottenere in tempo di pace che non in tempo di guerra. Ciascuno di noi, col suo modo di vivere con gli altri, sceglie di essere pro o contro la pace. È quanto il papa ci insegna invitandoci continuamente a pregare, alla conversione del cuore, all’impegno quotidiano per la giustizia. Tutti gli sforzi in favore della pace, di cui Giovanni Paolo II è stato un ostinato protagonista, non sono stati vani: hanno contribuito ad acutizzare la coscienza dell’umanità su un compito prioritario. Dopo aver conosciuto a Bagdad e a Mossul le sofferenze e le aspirazioni del popolo iracheno – musulmani e cristiani – vorrei in questo momento, sia a coloro che sono chiusi nelle loro case o in una condizione di profughi sulle strade dell’esodo, assicurare la mia solidarietà più fraterna. Il cantiere della pace nel mondo è aperto ed è più grande che mai, è aperto a tutti”.

 

Da segnalare a questo riguardo anche quanto hanno dichiarato tra gli altri quindici movimenti di Chiesa francesi: “Anche se questa guerra dovesse abbattere rapidamente il potere di Saddam Hussein, noi continuiamo a giudicarla illegittima per le sue gravi conseguenze a medio e lungo termine: per l’attentato portato al diritto internazionale; la destabilizzazione di tutta la regione; il rischio di uno squilibrio dei valori che desideriamo vedere sviluppati; infine per l’enorme spreco economico…”.