MARIA DOMENICA MANTOVANI

UNA BONTÀ LUMINOSA

 

Sarà proclamata beata da Giovanni Paolo II il prossimo 27 aprile: è la serva di Dio Maria Domenica Mantovani, fondatrice col beato Giuseppe Nascimbeni dell’istituto delle Piccole suore della sacra Famiglia, fiorente oggi da un umile seme.

 

Tra le caratteristiche della vita santamente vissuta dalla serva di Dio Maria Domenica Mantovani spicca quella che si potrebbe dire la più semplice e verificabile delle virtù umane: la bontà. Una bontà innata, ma che faceva trasparire in estrema semplicità la luce interiore di grazia che unificò tutti gli aspetti dell’esistenza cristiana prima della piccola Meneghina (diminutivo familiare di Domenica) e poi della giovane donna consacrata e abbastanza presto confondatrice di un istituto religioso.

Non furono per lei i grandi orizzonti geografici entro i quali si muovono attualmente le Piccole suore della sacra Famiglia (PSSF) né si registrano della sua esistenza fatti straordinari, se non si considera fuori dal comune il suo modo di essere assolutamente fedele, in ogni circostanza e fino all’ultimo respiro, a Dio dal quale si sapeva amata e chiamata.

La chiamata le giunse presto, preceduta da un tirocinio di vita spirituale in famiglia e in parrocchia e di impegno nell’associazione delle Figlie di Maria, a guida delle quali la designò il parroco del piccolo centro sulle rive del Garda, Castelletto di Brenzone (VR) dov’era nata, primogenita di una modesta famiglia di quattro figli, il 12 novembre 1862. E fu proprio quel parroco, ora beato Giuseppe Nascimbeni, a farsi mediatore della vocazione di lei, dopo averne saggiato le capacità incaricandola pure dell’insegnamento del catechismo nel quale ella riuscì benissimo; un mediatore sicuro, quindi, delle qualità della giovane, la quale pur soffrendo non poco a causa delle forme sconcertanti, nella loro ruvidezza, in cui il parroco la trattava, credette fermamente che la strada indicatale fosse per lei quella della volontà divina.

 

COME NACQUE

L’ISTITUTO

 

Un paesetto allora di appena 800 anime, Castelletto di Brenzone tuttavia doveva avere, secondo d. Nascimbeni che vi giunse dapprima quale curato e maestro e vi fu poi, nel 1885, nominato parroco, una parrocchia non solo viva nella fede ma pure dotata di tutti i mezzi adeguati a incrementarne la vita cristiana sotto ogni aspetto, compreso quello della carità verso le persone bisognose. Gli occorreva perciò anche una comunità di suore, uno di quegli istituti che egli vedeva in quell’ultimo scorcio di secolo moltiplicarsi in molte diocesi italiane.

I primi tentativi di d. Nascimbeni per ottenere ciò che desiderava si diressero a chiedere a diverse fondatrici di istituti già sorti e in via di consolidamento un primo nucleo di comunità religiosa, almeno due o tre suore alle quali “naturalmente” si sarebbero aggiunte in seguito le vocazioni locali riguardo alle quali non aveva dubbi.

Ma le condizioni che il parroco di Castelletto poneva ai vari istituti erano poco realistiche: le suore da mandare dovevano essere colte, almeno una anche con diploma; dovevano impegnarsi ad aprire una casa di noviziato; stare alle dipendenze di lui in tutto e – clausola di estrema importanza – dovevano essere “santissime, superiori a ogni elogio”. Naturalmente ebbe solo risposte negative e alla fine d. Nascimbeni si decise a “farsi da sé” le suore come le voleva: più che sante e alle proprie dirette dipendenze.

Cominciò con l’abbozzare una regola che il suo vescovo il cardinale Luigi di Canossa approvò e col far costruire su terreno della parrocchia un minuscolo edificio: piccoli ambienti per la vita comune delle suore, una cappellina e sei cellette così piccine che qualcuno le assimilò a dei loculi. Era secondo lui quanto bastava per cominciare, e cominciare sullo stile della “Sacra Famiglia”, come poi l’istituto si sarebbe denominato.

Dell’adesione di Maria Domenica – che nel 1886 aveva emesso nelle mani del parroco il “voto irrevocabile di verginità” – era sicuro, e la mandò con altre tre giovani, che sapeva disponibili, a Verona perché nel monastero delle Terziarie francescane di s. Elisabetta compissero un breve noviziato. Qui dopo un mese, il 4 novembre 1892, Maria Domenica “emette la professione religiosa sulla base delle Regole francescane delle Terziarie Regolari, attualizzate secondo le indicazioni del fondatore” d. Nascimbeni.

Il giorno dopo ecco rientrare a Castelletto il piccolo gruppo, e già il 6 le neoreligiose riunite col fondatore acclamano questi come “padre” (che resterà anche superiore generale fino alla morte) e Maria Domenica, che si chiamerà soltanto Maria, come “madre”, che solo alla morte di lui verrà eletta superiora generale.

 

BONTÀ

VINCE UMILTÀ

 

Era nato l’istituto delle “Piccole suore della sacra Famiglia”: nome ispirato al culto per la Famiglia di Nazaret molto sentito da d. Nascimbeni e potenziato in quel tempo dal “Breve apostolico” di Leone XIII, Neminem fugit (1892).

Le forme di governo dal punto di vista giuridico erano quelle che potevano essere in quell’epoca; e anche per questo i primi anni di vita e le prime attività delle PSSF, allora prevalentemente svolte a Castelletto di Brenzone e nei prossimi dintorni a favore dei malati e dei poveri, erano regolati – come si legge specialmente nelle biografie di madre Maria – su un tipo di obbedienza al fondatore, e superiore, che oggi – occorre dirlo – non è proponibile. Erano modi, infatti, secondo Nascimbeni intesi a formare all’umiltà ma ora non più consoni con la stima anche esterna dovuta e sempre riconosciuta nella Chiesa, teoricamente ma non solo, alla dignità della persona umana e della donna in particolare.

Si può pensare che se si fosse estesa subito anche alle PSSF la possibilità di godere della figura giuridica della superiora generale – ottenuta dai “nuovi istituti” fin dagli inizi della seconda metà del secolo XIX – una superiora come la madre Mantovani non soltanto avrebbe brillato ancor più quale trasparente testimone della dolcezza divina ma avrebbe risparmiato alle suore il disagio vissuto, ad esempio, da quella che le sarebbe succeduta nel governo della congregazione, sr. Fortunata Toniolo: personalità forte ma anche molto motivata spiritualmente, viva e creativa intelligenza, provata competenza nel servizio infermieristico e soprattutto decisa nella vocazione religiosa, aveva corso il rischio di lasciare l’istituto a causa delle umiliazioni cui il superiore la sottoponeva. A “salvarla” fu proprio il sostegno della saggia bontà di madre Maria, che dell’umiliazione conosceva bene il sapore e con la sua semplice fede l’accettava “per amore di Gesù che si è umiliato fino alla morte di croce”.

Questa come tante altre vittorie della bontà di madre Maria sulle “prove dell’umiltà” dirette a lei e alle consorelle ci ricordano anzitutto che la storia non si fa al condizionale, per cui rimane certo il fatto della sua santità di vita: santità di una donna dotata di intelligenza normalmente reattiva e di saggezza pratica, che non sapeva di alta teologia ma ne viveva la pura essenza sapienziale perché il suo autentico vivere era Cristo e Cristo crocifisso; e ci dicono che proprio su quel modo di vivere la vita religiosa femminile si stese senza ombre la luminosità della sua persona: che arrivò pure ad addolcire i modi del fondatore, il quale nel tempo della malattia di cui poi morì nel 1922 rivelò una insospettata carica di affetto e una stima profonda e comunicativa verso la confondatrice.

 

NOBILTà

DELLA PICCOLEZZA

 

Un carisma entra a volte così, nella vita consacrata, come di soppiatto: arriva come un seme sconosciuto, viene gettato sotterra senza che se ne interpreti se non la ruvida scorza e coltivato nel suo germogliare e crescere finché una particolare fioritura ne rivela l’indubbia identità e il vero nome.

Così è stata l’apparizione nella Chiesa del carisma delle PSSF: il suo aspetto era quello di una semplice devozione alla famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù che la madre Mantovani chiamava con tenero rispetto “i tre santi Personaggi”. Oggetto di imitazione nelle virtù cosiddette domestiche, di preghiere e di celebrazioni festose specialmente di s. Giuseppe nel giorno onomastico del fondatore, la santa Famiglia di Nazaret era sempre presente al cuore di madre Maria, alla sua preghiera e nelle sue esortazioni alle consorelle che chiamava “carissime nella s. Famiglia”. E con tali modalità ella andava creando e incrementando il clima spirituale in cui l’istituto si sviluppò fino a formare quattro province in Italia e stabilire presenze all’estero dove oggi si trovano: in Svizzera, Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Albania e Angola.

La prima fondazione fuori dai confini italiani avvenne appunto in Svizzera nel 1929, prima che madre Maria, da sette anni superiora generale, mostrasse i segni della malattia che nel 1934 (il 2 febbraio) le impose di lasciare questa terra: preparata alla morte come a una festa dovuta, aveva ormai rivelato pienamente la sua capacità di governare con la sua bontà e la sua discreta prudenza le PSSF, che esortava a pregare perché l’istituto, che all’epoca contava 1.002 sorelle, crescendo in numero crescesse anche in santità.

Venne più tardi nella Chiesa il concilio Vaticano II, ed ecco si crearono le condizioni perché il carisma delle PSSF accolto come un seme di quella santità germogliasse e si aprisse nella fioritura d’oggi, propiziata da crescente attenzione ai segni dei tempi, tra i quali il segno della famiglia quale luogo di una presenza di grazia ma anche di particolare “cura” da parte dell’intera compagine ecclesiale.

I passi già compiuti dall’istituto in tale direzione sono confluiti nel Capitolo generale celebrato nel 2002, con la decisione di intensificare la sensibilità di tutte “le sorelle a sentire l’urgenza della pastorale familiare e ad essere aperte alle sollecitazioni dei Pastori” in merito. Intanto – ci comunicano sr. Arcangela e sr. Anna Lucia dal Consiglio generale – “due sorelle, una italiana e una brasiliana, hanno frequentato il Master in Scienze del matrimonio e della famiglia presso l’Istituto “Giovanni Paolo II” dell’ Università lateranense. Circa 20 sorelle, dal 1998 al 2002, hanno frequentato i corsi estivi per operatori di pastorale matrimoniale e politiche familiari a Fano. Una sorella lavora presso l’Ufficio famiglia della Conferenza episcopale italiana (CEI) a Roma, e altre sono inserite nel “progetto parrocchia-famiglia” della stessa CEI. Tra il 2000 e il 2002 sono state aperte tre piccole comunità: Conza Della Campania/AV, Faenza/RA e Bomarzo/VT, che si dedicano a tempo pieno alla pastorale familiare diocesana e parrocchiale. Alcune Case per ferie sono state trasformate in Centri di spiritualità familiare con attività di formazione e accompagnamento per famiglie. In tali Centri, sono proposti fine-settimana e campi-scuola formativi, animati da sacerdoti competenti, da coppie di coniugi e da psicologi esperti in dinamiche di coppia, con l’accompagnamento e la presenza di alcune sorelle. A ciò si aggiungono campi-scuola e fine-settimana per adolescenti, giovani e coppie di fidanzati”.

Ma è da rilevare per il suo significato insolito il fatto che tale qualificata attenzione alle famiglie da parte delle PSSF rientra nel disegno globale di rinnovamento della loro attività apostolica. Infatti sia la pastorale della carità verso persone in situazioni varie di disagio, che quella sanitaria e quella educativa e scolastica sono informate a un’attenzione specifica alla realtà familiare cui direttamente o indirettamente le persone accolte, curate ed educate appartengono (cf. fuoritesto). Si tratta di una scelta che risponde con intelligenza alla vera natura della pastorale della famiglia: la quale ha come oggetto l’intera cellula della società ecclesiale e di quella civile, in tutti gli aspetti del suo svilupparsi, in positivo e in negativo, affinché la promozione di ogni persona umana e di tutta la persona umana avvenga secondo il progetto di Dio.

Non è poco, per quello che appare uno sviluppo del carisma proprio delle PSSF, dove lo Spirito esalta oggi la piccolezza di un seme con una fioritura senz’altro degna della passione quasi ossessiva del beato Nascimbeni per “il povero popolo” e dell’umile e caritatevole fatica illuminata di bontà di Maria Domenica Mantovani, anche lei ormai e giustamente venerata tra i beati.

 

Zelia Pani