LA VITA CONSACRATA A 40 ANNI DAL CONCILIO

IN UNA CONDIZIONE DI DESERTO

 

A quarant’anni dal concilio la VC sta ancora cercando se stessa e vive un momento di grande povertà. Ma proprio questa povertà, letta in una prospettiva di fede, può diventare l’opportunità per diventare più autenticamente noi stessi come consacrati.

 

 

Non si può certamente dire che – a 40 anni dal concilio e con tutte le energie spese per il rinnovamento della VR – il clima che si respira tra noi sia dei migliori e la ricerca continui con il fervore e l’intensità che sarebbero auspicabili. Molto spesso si respira un’aria di stanchezza e di rassegnazione o, per dirla in termini più oggettivi, viviamo una fase di grande povertà.

Mi piace questa parola povertà, perché – a leggerla in termini cristiani – è in realtà una condizione privilegiata per andare in profondità, a ciò che veramente conta, e ritrovare più autenticamente noi stessi come cristiani e come consacrati. Ma si tratta di vedere – forse è proprio qui il punto – che lettura dare della situazione di povertà che ci caratterizza. A me sembra che, ad aprire il discorso in una certa prospettiva – quella della fede – l’interesse e la passione per le cose della VC, nonché diminuire, crescono e trovano ragioni sempre ulteriori per diventare più intensi.

Dicevo della situazione di povertà che ci caratterizza. Per rimanere riferiti alla VR, è il rinnovamento incompiuto di cui parlavano i superiori generali alla vigilia del sinodo sulla VC e che continua anche oggi perfino accentuato: un insieme di acquisizioni molto promettenti sono maturate in questi anni di ricerca, ma non sono state assimilate fino a diventare mentalità diffusa e veramente condivisa. E poi lo scollamento tra teoria e prassi: tante affermazioni spesso ripetute e date per acquisite, ma che non riescono a diventare vita vissuta soprattutto a livello comunitario. Si ripete come “dovrebbe essere” la VR – almeno negli aspetti che già si sono resi chiari – ma poi si continua nella prassi di sempre. La conseguenza più preoccupante è che a rimanere intacca­to è il livello della motivazione, il rischio cioè di non riuscire più a credere neppure noi fino in fondo al tipo di vita che viviamo.

È evidente che a tutto questo bisogna trovare risposta, se non risolutiva almeno come impegno e orientamento di vita. C’è questa risposta? come stiamo reagendo alla situazione che è la nostra oggi in questa VR che amiamo? A guardarci attorno, sono molti gli atteggiamenti e le risposte – o non-risposte – che si costatano. Ecco alcuni esempi, indicati come mentalità e che poi diventano un modo di vivere:

a) rinunciare, stanchi di discutere e di cercare, riconoscendoci dei sognatori poco realisti. Molti fanno così, almeno nella pratica: tirano i remi in barca e non se ne parla più…

b) continuare a “parlare” di rinnovamento, ma senza il coraggio di guardare in faccia la realtà, evitando il confronto con i problemi veri, semplicemente perché ci si ritiene non in grado di risolverli. Tanti/tantissimi lo fanno; mi sembra anzi questa la strada più ampiamente praticata. Si salva la faccia, ma le cose rimangono come sono;

c) procedere a macchia di leopardo, prendendo in esame i problemi, anche quelli veri, ma uno per uno, una volta per di qui e poi di là, parlando di tutto e del contrario di tutto, senza concludere mai da nessuna parte. Oppure andando anche al concreto, in un chiaro confronto con il cambiamento, convinti di dover giocare su questo registro il discorso del rinnovamento della VR. È una linea generosa, che può anche dare l’impressione di essere vivi e creativi, ma che poi lascia con un pugno di mosche, senza mai nulla di importante che giunga a conclusione, perché il cambiamento continuamente ci scavalca ed è rischioso prenderlo a punto di riferimento;

d) c’è anche chi si proietta decisamente in avanti, immaginando sostanzialmente a tavolino come sarà la VR del futuro e operando in funzione di questa immagine. È l’atteggiamento di coloro che considerano l’attuale modello di VR completamente superato, perciò non lo prendono più in considerazione, semplicemente lo saltano, saltando in questo modo anche le persone che ci sono dentro. Una strada decisa e concreta, ma che ignora troppo la realtà, perché non parla più dei religiosi che noi siamo; si proietta su quelli che non esistono e che… quando esisteranno non saranno comunque ciò che noi siamo in grado di pensare oggi.

 

CON UNO SGUARDO

UMILE E REALISTA

 

Sono alcuni possibili approcci alla nostra realtà di oggi, approcci che hanno degli aspetti di verità ma che, presi da soli, lasciano alla fine inappagato il desiderio di trovare le risposte che occorrono. Come fare? La tentazione è certamente quella di scoraggiarsi. Ma forse proprio nella nostra situazione di povertà si possono individuare le strade che meritano di essere percorse. Una di queste, percorribile non solo da qualcuno, potrebbe forse essere indicata in questi in tre punti.

a) Dare per acquisito che – per riprendere un’affermazione usata dai superiori generali alla vigilia del sinodo sulla VR e legata al tema del “rinnovamento incompiuto” – un modello di vita religiosa è giunto a esaurimento e dunque, così com’è, non ha più futuro. Un’affermazione forse un po’ dura ma inoppugnabile, così mi sembra.

b) Avere nel contempo chiaro che non possiamo sapere oggi come sarà la VR di domani. E dunque – altro punto importante – non possiamo sviluppare il nostro discorso su delle ipotesi elaborate a tavolino.

c) Il terzo punto, decisivo: capire come essere autentici cristiani e religiosi dentro la situazione che è la nostra oggi. Se il punto di riferimento non può essere né il modello di VR ereditato dal passato, né quello che ci riserverà il futuro, bisognerà vedere se non ci sia un riferimento diverso e più profondo, che ci consenta di essere autenticamente noi stessi – e apostolicamente significativi – anche nella situazione di povertà che ci caratterizza oggi. È questa la vera sfida, mi sembra, ed è affascinante perché – a pensarci anche solo un po’ in una prospettiva di fede – ci si accorge che proprio la povertà può diventare la vera opportunità di cui abbiamo bisogno. Il motivo è semplice ed è che il punto di riferimento diverso e più profondo non può essere altro che Cristo Gesù e il Vangelo, e la povertà è condizione perfino indispensabile per incon­trarlo.

 

A PARTIRE

DALL’ESPERIENZA

 

Lo si dice non semplicemente per le persone, ma anche per la VR in quanto tale. Abbiamo faticato tanto in questi anni postconciliari per aggiornare prima (i capitoli speciali) e poi rinnovare, riacculturare, e alla fine rifondare il modello di vita ereditato dal passato. Abbiamo ripensato in profondità la missione, ristrutturato/rifinalizzato opere, speso risorse ed energie immense per la riqualificazione del personale; abbiamo cercato di rinnovare profondamente la formazione…

Erano tutti passaggi che andavano fatti e hanno maturato anche dei risultati importanti, ma ancora non ne siamo venuti fuori. Il rinnovamento rimane una realtà incompiuta e alla fine è maturata la convinzione espressa nella formula già citata che “un modello di vita religiosa è giunto a esaurimento”. Ha senso allora continuare a lavorare attorno ad esso per rinnovarlo, o non si deve piuttosto riconoscere che la strada è più lunga, deve risalire più in su, alle radici stesse della VR e solo dopo, a partire da lì, ritornare ai nuovi modelli che stiamo sognando e di cui c’è bisogno?

Mi sembra che sia qui il punto, ed è un punto che nasconde una grazia, la grazia del tempo presente: nel crollo di tante cose che ieri ci davano sicurezza ed erano punto di riferimento solido – ma anche molto bisognose di essere purificate – siamo messi in grado di ritornare con molta più chiarezza e autenticità a noi stessi, al nostro vero centro.

È vero innanzitutto a livello di identità, e cioè del “perché” profondo della VR, del suo significato nella chiesa. Ammaestrati anche dall’esperienza, abbiamo capito che ci si consacra, come sottolineava il compianto p. Tillard, non “per” le molte cose a cui ci dedichiamo – neanche l’apostolato – ma “a causa di” colui che abbiamo incontrato e per il quale abbiamo lasciato tutto, il Signore Gesù.

Ed è vero in riferimento a tutto ciò che dobbiamo ridefinire in ordine alla concreta organizzazione di vita che ci dobbiamo dare per diventare ciò che siamo e metterlo a disposizione degli altri nell’apostolato. Solo se ritorniamo effettivamente al Vangelo, saremo in grado di capire come vivere il Vangelo da consacrati nella chiesa e nel mondo d’oggi, formula che, si può ben dire, riassume tutto il problema del modello di vita di cui abbiamo bisogno. È come ai tempi di san Francesco e siamo in linea con il primo criterio dato dal concilio per il rinnovamento: ritornare al Vangelo, “restituire Cristo alla VR e la VR a Cristo” – come direbbe un autore –, non dare per scontato che il Cristo sia veramente il centro né che le nostre comunità siano davvero cristiane…; passare dalle molte cose all’unica cosa, quella che spiega e contiene anche il resto: il nostro essere discepoli consegnati fino in fondo alla causa del vangelo e ciò come gruppi e come comunità.

 

RITORNO

DELLA VITA SPIRITUALE

 

Posto in questi termini il discorso porta a un concetto di rinnovamento che potrebbe essere indicato nella riqualificazione spirituale dei nostri istituti. Riqualificazione non solo delle persone ma degli istituti, appunto. Un ritorno all’apostolica vivendi forma delle origini, alla grande tradizione spirituale della chiesa – all’interno della quale i religiosi hanno sempre svolto un ruolo da protagonisti – e dunque al recupero della vita spirituale – e della formazione spirituale – come punto centrale dell’avventura che è la VR nella chiesa.

C’è dentro veramente molto, anche la necessità di ripensare a fondo la spiritualità e la vita spirituale, prima di mettersi a fare di questo il nodo attorno a cui far girare tutto. Perché anche questa formula “riqualificazione spirituale” dei nostri istituti può nascondere delle ambiguità. Si parla affettivamente molto e dappertutto di “ritorno al Vangelo”, di “ripartire da Cristo”, di primato della spiritualità, ma che cosa si intende con queste formule? Ci sono soprattutto due cose, mi sembra, che devono essere tenute in evidenza per evitare di finire fuori strada.

a) Saper riconoscere e poi vivere la ricaduta che il primato della vita spirituale – o la radicalità evangelica, che dir si voglia – ha non solo sulle persone, ma sul versante comunitario e istituzionale. Si tratta di saper riconoscere i ribaltamenti che un’identità di VR recuperata più decisamente nella linea della fede e della vita spirituale produce nei nostri attuali modi di vivere e di operare come comunità e istituti. Senza questo il deserto e la spiritualità degenerano nell’intimismo e nello spiritualismo, malattie oggi come non mai diffuse, dicono gli esperti.

b) La dimensione apostolica. La VR – quella di oggi come quella di ieri – è per il regno di Dio. Il profeta Elia si inoltra nel deserto, ma la parola che gli viene subito rivolta nel momento dell’incontro con il Signore è categorica: torna sui tuoi passi! Senza questo ritorno – che è l’essere rinviati alla propria missione – il deserto diventa un ripiegamento e una fuga. Lo è stato per Elia e lo può essere per religiosi e religiose d’oggi.

 

UN’OCCASIONE

PER RIFLETTERE

 

Su questo sfondo forse potrebbero trovare risposta anche gli interrogativi che ci poniamo e a cui si faceva riferimento. Ci troviamo nel deserto, senza una città dove abitare: è possibile essere noi stessi in questa situazione? È possibile anche in modo apostolicamente significativo ed efficace? E come fare? Come operare questo spostamento del rinnovamento dal livello istituzionale alle persone, senza tuttavia perdere di vista anche l’aspetto istituzionale e della VR in quanto tale?

Può darsi che qualche lettore condivida questi interrogativi e li senta importanti. In fondo è questa la linea che Testimoni ha sempre seguito; anzi, proprio la spiritualità o, per meglio dire, l’identità teologico-spirituale della VC mi sembra l’elemento che ha dato e dà continuità e coerenza al lavoro della rivista dentro il cambiamento. Una cosa certamente non da poco. Anche perché proprio questa prospettiva appare come il punto sintesi attorno al quale raccogliere – per poi rilanciarlo – tutto ciò che di più positivo e maturato in questi anni di cammino postconciliare.

 

Luigi Guccini

 

N.B. Se qualche lettore di Testimoni fos­se interessato a riflettere su questi temi – e cioè sul rinnovamento della VR come percorso che riporta al vangelo – un appuntamento che si offre può essere la settimana di studio che si terrà a “Casa incontri cristiani” di Capiago (via Faleggia, 6 – tel. 031/460 484) il 16-19 luglio prossimo. L’impostazione della settimana e i temi sono indicati nel riquadro a p. 15.