NON BASTA DIRE NO ALLA GUERRA

 

In queste ultime settimane si sono moltiplicati all’infinito anche nell’ambito degli istituti di vita consacrata gli appelli e le dichiarazioni – pare purtroppo non ascoltati – contro la guerra in Iraq. Impossibile riportarli tutti. Qui riprendiamo una breve riflessione di p. Aquilino Bocos, superiore generale dei claretiani, scritta per il bollettino interno NUNC dell’istituto, anche perché ci pare colga bene il senso di questi appelli – e potremmo dire anche delle marce e delle manifestazioni – soprattutto quando afferma che non basta dire “no alla guerra”, ma che bisogna andare oltre, ossia che occorre lavorare positivamente per la pace.

 

 

Le insistenti notizie su una possibile guerra contro l’Iraq, in cui sarebbero implicati molti paesi, stanno provocando insicurezza e paura. Si allargano gli scenari di morte. Sono troppe le vittime delle guerre conosciute e sconosciute. Basta aprire gli occhi davanti alla carta geografica del mondo per vedere quanti sono i paesi che oggi soffrono gli orrori della guerra: morte di innocenti, feriti, famiglie distrutte, senza tetto, malati, fame… Ora, in un confronto armato con l’Iraq gli effetti negativi aumenteranno oltre ogni misura. La cultura della violenza e i conflitti bellici non sorgono solo per interessi economici, ma sono questi spesso a prevalere sulla vita e la dignità delle persone.

In tutto il mondo si sono moltiplicate le dichiarazioni e sono state innumerevoli le mobilitazioni a favore della pace, in concreto, contro questa guerra che può e deve essere evitata. Giovanni Paolo II sta dando un esempio di fermezza e costanza nella sua missione di pace. Tuttavia continuano a risuonare i lamenti del salmista: “Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra” (119.7), e del profeta Geremia: “Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: “Bene, bene!” ma bene non va” (6,14).

Siamo convinti che non basta dire no alla guerra. Bisogna andare oltre il negoziato e la tregua, il disarmo effettivo e la distruzione delle armi. Dobbiamo continuare a implorare e lavorare per la pace, che è un dono e un compito. La riceviamo come regalo e la costruiamo con la fatica. Incrementiamo la preghiera con Maria per quella pace che il mondo non può dare. Coltiviamo e difendiamo la spiritualità della pace e educhiamoci alla pace.

Il Segretariato di Justitia et pax ci ha sensibilizzato su questo punto. Molti membri della famiglia claretiana si sono impegnati in azioni in favore della pace. Non possiamo accontentarci di essere persone di pace. Dobbiamo essere artefici creativi di pace. Costruire la pace sta al cuore stesso della nostra missione profetica. Unendoci al coro di quanti invocano la pace, lo facciamo come cristiani, come missionari che cercano di rendere effettiva la fraternità universale dei figli di Dio. Pochi scoprono nella persona di Gesù il dono della pace e la via per mantenerla. Poco vale il disarmo se non c’è il riconoscimento dell’eredità lasciata da Gesù tornando al Padre: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27). Che cosa ha fatto Gesù nella sua vita se non realizzare il Regno, instaurare la giusta relazione dell’uomo con Dio e il prossimo? In Gesù “giustizia e pace si baciano” (Sal 85,11).

La via della pace, della concordia e della solidarietà è lunga e difficile. Presuppone la conversione, l’apertura a valori diversi, dialogo, condiscendenza e compassione che non possono fiorire se si fomentano gli egoismi, i pregiudizi, l’odio, i risentimenti e il fanatismo politico e religioso.

“Fin tanto che esiste la povertà, i ricchi non avranno pace”. Così affermava il presidente dalla Banca mondiale, James Wolfenshon, analizzando quanto è avvenuto l’11 settembre. E aggiungeva: “Se non tenderemo una mano alla gente che vive nella povertà e non attuiamo una migliore distribuzione della ricchezza, non ci sarà pace”. È un avvertimento serio per quanti la cercano

 

Aquilino Bocos, C.M.F.