IL RECENTE SOCIAL FORUM DI PORTO ALEGRE

UN PROGETTODIVERSO DI SOCIETÀ

 

Nel tambureggiare ossessivo di una propaganda che minaccia di monopolizzare tutta l’attenzione della gente sui rumori di guerra contro l’Iraq, ogni altro avvenimento sembra destinato a perdere di importanza ed essere ben presto dimenticato.

 

Non avanza tempo, in questi nostri giorni, per fermarsi a riflettere, anche quando sarebbe invece doveroso e importante. Si profilano all’orizzonte sempre nuovi avvenimenti, spesso gonfiati ad arte, che premono. I potenti hanno bisogno di creare consenso e cercano in tutti i modi di influenzare l’opinine pubblica.

Tra gli avvenimenti quasi dimenticati ci pare di poter collocare anche il recente Social Forum mondiale 2003 che si è tenuto a Porto Alegre (Brasile) dal 23 al 29 gennaio, con la partecipazione di almeno centomila persone, spontaneamente confluite per invocare un processo di mondializzazione alternativa a quella attualmente in corso, e chiedere che si attui un progetto di società diverso, fondato sul pri­ma­to e la dignità della persona umana.1

In questa prospettiva assume un particolare rilievo anche la presenza di oltre 6.000 tra religiosi e religiose, consacrati, presbiteri e prelati che hanno voluto mischiarsi con tutti gli altri e dare così la loro testimonianza diretta. Forse a uno sguardo superficiale può sembrare che quella dei religiosi/e sia stata poco più che una partecipazione di carattere folcloristico. In realtà non si muovono seimila persone, così fortemente impegnate, se non c’è dietro una precisa motivazione; in questa circostanza, il desiderio di coinvolgersi in prima persona per cercare di porre un fermento evangelico negli avvenimenti che segnano il cammino della nostra storia contemporanea.

 

GLOBALIZZARE

LA SOLIDARIETÀ

 

Il punto cruciale della partecipazione al Social Forum, e ad altre manifestazioni analoghe, sta nella precisa volontà di non cadere nella trappola della globalizzazione così come oggi sta configurandosi. La globalizzazione neoliberale si trova a un crocevia: o continuare per la sua strada con tutti i rischi del caso, oppure, come tanta gente chiede, optare per una scelta diversa: per una politica alternativa alle armi; una politica della solidarietà economica, che non pregiudichi l’uso dei beni pubblici essenziali e non adotti il mercato come unità di misura; una politica, infine, che imprima una nuova direzione, all’attuale ordine, così che non sia la società soggetta all’economia ma questa sia a servizio della società.

Si è a volte sentito ripetere che l’attuale sistema economico mondiale non è sostenibile. Le ricchezze si concentrano in poche mani, si allargano a macchia d’olio le disuguaglianze e l’esclusione. C’è il rischio dell’esaurimento delle risorse. In questione è la sopravvivenza della vita umana e non solo del sistema.

Il forum di Porto Alegre si è sviluppato tenendo presente questa cornice. Nel corso dei lavori sono stati presentati anche i risultati di una ricerca, realizzata in collaborazione con l’istituto Environics International di Toronto, in 15 diversi stati, nei mesi novembre-dicembre 2002, con il coinvolgimento di 15mila persone. È risultato che il 61% degli intervistati ritiene che la globalizzazione debba focalizzare gli obiettivi sociali (diritti umani, povertà, democrazia) insieme alla crescita economica; solo il 31% dà priorità a quest’ultima. Inoltre, il 55% denuncia una globalizzazione manipolata dalle multinazionali che guida più sul versante della “concentrazione dei beni” nelle mani di pochi mentre il 38% vede la globalizzzione una “opportunità per tutti” e aiuto nella “condivisione delle ricchezze”. Infine, il 53% dichiara che la globalizzazione cura primariamente gli “interessi economici” delle multinazionali e per il 38% è il risultato di una “naturale evoluzione dell’economia”.

Di fronte a questi dati non è una sorpresa constatare che la politica alternativa proposta dal forum trovi consenso sempre più ampio in ogni parte del mondo. Tra i leit motiv ricorrenti a Porto Alegre vi è stata la forte richiesta di “globalizzare la democrazia”. A partire da questo dato il forum, può essere guardato da due angolazioni diverse: come esempio di una nuova istituzione che si propone di incarnare semi di democrazia globale; come spazio per quei soggetti che vogliono e possono costruire prospettive democratiche, a livello locale e globale.

Il forum, al livello in cui è giunto, si pone ormai come un potenziale soggetto politico.Il processo innescato, a mio modo di vedere, è di passare “dall’anti all’alternativa”. I due termini dividono il dibattito attuale sulla globalizazione. Se si assume il concetto di “anti” privilegiamo le scelte rivoluzionarie, mentre se si sceglie il termine “alternativa” si pensa maggiormente a come democratizzare il mondo. È una differenza semantica non indifferente, anche se spesso si inquinano i termini e confondono i significati.2

Dal Social Forum mondiale sono emerse alcune chiare tendenze che richiedono di essere appoggiate, sostenute e diffuse: anzitutto che il mondo non è una merce; inoltre che occorre costruire una civiltà della solidarietà; infine che bisogna essere testimoni di una scelta.

La prima tendenza, la civiltà della mercantilizzazione universale, pone un quesito non accademico ma politico: condividiamo la politica del bene comune o del bene economico? In effetti, se condividiamo la politica del bene economico finiamo col privilegiare la logica quantitativa dove il denaro e il capitale trasformano tutto in mercanzia: la terra, l’acqua, l’aria, la vita, i sentimenti, le convinzioni, l’educazione in vendita al miglior offerente. A Porto Alegre è stato scelto di operare per una civiltà basata sui valori qualitativi, etici e politici, sociali e culturali, irriducibili a una quantificazione monetaria.

La civiltà della solidarietà richiede come ingrediente la democrazia. Una democrazia sociale di cui le scelte socio-economiche, le priorità degli investimenti, gli orientamenti essenziali in merito a produzione e distribuzione vengano democraticamente discussi e stabiliti dalla popolazione stessa e non da un gruppo di sfruttatori o da pseudo “leggi di mercato”. Nella civiltà della solidarietà va anche chiarita la dialettica tra democrazia delegata e democrazia diretta, ossia l’intreccio tra esercizio del voto e diretto coinvolgimento della popolazione sulle scelte strategiche che riguardano la città. L’espressione “civiltà della solidarietà” potrebbe essere il contenitore di una progettualità e quindi di un progetto alternativo che riparta dalla dimensione locale.

 

Essere testimoni di una scelta. Quale scelta? Una volta fatta, una volta che si è preso posizione bisogna agire perché non si può essere neutri di fronte alla storia. Qual è la nostra posizione circa l’illegalità della povertà per impedire, ad esempio, la riduzione del bene comune a bene economico? A questo riguardo, è attuale l’opposizione crescente che si riscontra nell’opinione pubblica nei confronti dell’inclusione dei servizi pubblici nella lista dei servizi che saranno oggetto di un ciclo di negoziati mondiali, a partire da settembre 2003, a Cancun in Messico, nel quadro del GATS. Negoziare su tali servizi significa assistere inevitabilmente allo smantellamento dei servizi pubblici nazionali e alla mercificazione generale di tutti quei beni e servizi che dopo tanti decenni di lotte civili e sociali sono diventati uno dei pilastri principali del welfare sociale europeo e un simbolo effettivo dell’applicazione dei principi di giustizia e di solidarietà tanto proclamati dal mondo.

 

PROPOSTE

ALTERNATIVE

 

A Porto Alegre, i “senza terra” insieme ad africani, sindacalisti filippini, combattenti per la libertà, palestinesi, popoli indigeni e ampie delegazioni di attivisti della società civile dall’India, dal Nord America, dall’America latina e dall’Europa non hanno chiesto la “riforma” della globalizzazione. Piuttosto, questo variegato movimento si è confrontato cercando di individuare percorsi ed elaborare processi per un ordine mondiale alternativo. La voce si è alzata a favore dei diritti umani, contro la violenza e l’imperialismo. Ciò che ha unito i partecipanti non è stata l’ideologia, ma la diversità; la coscienza delle differenze e la somma della diversità di punti di vista. Il dato unificante: la volontà di pace. L’auspicio: l’economia mondiale a servizio della persona.

A tal fine, è stato sottolineato, l’economia ha bisogno di una politica etica. Il forum ha alzato la bandiera per una democrazia internazionale e una giustizia economica e sociale. Ha posto due domande sia ai poteri costituiti sia a se stesso: si possono affrontare i problemi del pianeta ripartendo dai diritti e dalle responsabilità globali? Si possono estendere le pratiche di una globalizzazione dal basso?

La sfida ora consiste nel discutere e definire le strategie per costruirle, sia dal punto di vista sociale (le alleanze e le convergenze di interessi da costruire) sia da quello politico (le strade per far cambiare politica ai governi nazionali e alle istituzioni internazionali). Il nodo del cambiamento è il superamento della distanza tra la sfera dei discorsi su “l’alternativa” e la “realtà” dei processi economici e sociali.

La credibilità oggi si pone sull’azione comune. Le forze sociali per sviluppare progetti alternativi a breve e medio termine ci sono. Non esiste invece una volontà politica comune per realizzarli.

Il Social Forum di Porto Alegre può essere considerato come una scuola dove imparare a elaborare l’ipotesi di un mondo condiviso e l’accoglienza della diversità di esperienze e culture; e, in seconda istanza, dove apprendere a costruire vincoli internazionali, attraverso le reti dei movimenti che l’attraversano, su questioni di attualità planetaria. Ciò farà maturare e offrirà soluzioni ad alcuni nodi strutturali del forum: come organizzare a livello politico un movimento plurale e senza centro? e garantire la democrazia al suo interno? come conciliare movimenti e partiti? come far pressione sull’opinione pubblica? come operare uniti per una trasformazione radicale del sistema capitalista?

Nel corposo elenco delle prospettive sono emersi alcuni denominatori comuni: stabilire un’agenda di proposte alternative da portare nei parlamenti del mondo, a partire dalla pace; passare dalla “gestione consensuale” alla “riprogettazione condivisa” del territorio; superare la logica della denuncia per assumere la fatica della democrazia partecipativa; ripensare i tavoli di concertazione come risorsa di “riequilibrio” per le disparità di potere decisionale; costituire laboratori di critica sociale per riscattare la fantasia dalla violenza simbolica e l’aggressione ideologica e per costruire un immaginario in cui sia possibile la convivenza tra i popoli e l’autodeterminazione di questi.

Il processo attivato nei diversi contesti socio-culturali sta maturando coscienze critiche, proposte alternative, la consapevolezza di essere cittadini del mondo di cui fanno parte anche le persone consacrate. Ma questo è un altro capitolo da affrontare.

 

Maria Trigila

 

1 Alla riunione hanno preso parte 20.763 delegati di 5.717 organizzazioni di 156 Paesi, 19mila giovani delegati di circa 700 associazioni e 4.094 giornalisti accreditati per la copertura dell’evento di 1.423 testate di 51 paesi.

2 Un altro forum, questa volta dedicato a una politica alternativa dell’acqua, sul piano mondiale e locale, avrà luogo a Firenze nei giorni 21-23 marzo prossimi.